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Il DNA della globalizzazione: le nuove questioni nell'agenda della società civile dopo Seattle e Davos
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Esiste ormai un "popolo di Seattle". Un arcipelago di ONG, associazioni terzomondiste, fondazioni culturali, associazioni di consumatori e semplici cittadini che erano in parte presenti anche al World Economic Forum di Davos. Esiste una società civile internazionale che non ci sta a subire la mondializzazione senza regole, che chiede maggiore democrazia economica e che si oppone con forza all'omologazione culturale che non riconosce la dignità delle minoranze e dei più deboli.
Saluto
Vera Slepoj, (Assessore alle politiche sociali della Provincia di Padova)
Relatori
Susan George, Direttore Associato, Transnational Institute, Amsterdam, "Chi scriverà le nuove regole della mondializzazione?"
Wolfgang W. Reinicke, Banca Mondiale, Washington, "Un mondo senza povertà"
Maurizio Meloni, Rete di Lilliput, Italia, "Il popolo di Seattle si organizza"
Moderatore
Jean Leonard Touadì, RAI
Conclusioni:
P. Alessandro Zanotelli, "Il tam tam dei poveri nelle orecchie di Gulliver"
Vera Slepoj (Assessore alle politiche sociali della Provincia di Padova):
Globalizzazione non deve essere qualcosa di illusorio, ma deve essere possibilità per raggiungere altre civiltà. Il problema delle istituzioni è dare segnali precisi di politiche, di indirizzi. Se il problema dell'ecologia e dell'ambiente interessa la gente è la dimostrazione che le grandi battaglie si fanno su quello che tocca le nostre radici.
Jean Leonard Touadi (RAI):
Grazie a questa città di Padova che da anni accoglie Civitas. Diamo la parola a Wolfgang Reinicke, che collabora con la Banca Mondiale e il segretario delle Nazioni Unite al progetto GPP.
Wolfgang H. Reinicke (Banca Mondiale, consigliere del Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan):
Mi fa piacere vedere giovani e bambini. Il futuro della globalizzazione appartiene alla vostra generazione. Bisogna che ci sia un accesso maggiore ai processi decisionali, oggi distaccati dalla gente. Spesso non si avvalgono delle esperienze che esistono a livello locale. Tutti dovrebbero avvantaggiarsi delle opportunità della globalizzazione e determinare le decisioni.
L' UN Vision Project on Global Public Policy è finanziato dal rapporto Millennium delle NU. Molti dicono che non abbiamo ancora risposto alla globalizzazione. Però un numero sempre maggiore di reti politiche sociali globali, a livello di base, si occupano di cosa? I due vuoti che ci connotano sono il gap operativo - i governi non possono più affrontare determinati problemi all'interno del loro territorio. E' il gap operativo .E un gap di partecipazione: anche se ci fosse volontà di trovare risposte a livello internazionale, questi processi non sono trasparenti e partecipati. Quali i problemi della globalizzazione?
Problemi che non possono più essere risolti solo all'interno degli stati. Secondo, la velocità dei processi: le burocrazie statali non riescono a tenere il passo con la velocità dei cambiamenti.
Alleanze trisettoriali: governi, gruppi di base, organizzazioni sociali, fondi, privati, e organizzazioni internazionali: possono aiutare a creare contesti per risolvere e trattare questi problemi. Ci sono vari modi per mettersi in relazione. Noi abbiamo un Web site. Considerando le reti esistenti abbiamo considerato che queste reti definiscono un'agenda, fanno emergere i problemi a livello globale. Per es. il movimento contro le mine antiuomo, o contro i soldati bambini, Ma queste reti possono anche definire degli standard: ci sono organizzazioni ambientali, governi ecc. che stanno definendo regole per costruire dighe dall'impatto sostenibile. Ci sono reti che diffondono la conoscenza. Alcune reti diffondono conoscenza e idee su come affrontare il problema dell'acqua. Queste reti creano anche dei mercati. Ad es. Contro la malaria. Le grosse aziende non hanno investito per creare medicine contro la malaria. La Banca Mondiale e altri organismi stanno lavorando per avere vaccini, perché ritengono che avranno un mercato. Altro esempio la Grameen Bank che ha ampliato il mercato del credito. E ancora la intercooperazione: reti tra società private e governi. I governi da soli non ce la fanno, non conoscono i problemi di base. Altro problema: queste reti riempiono il vuoto di partecipazione, permettono alle persone di partecipare e farsi sentire.
Tutto questo suona facile, ma non è così. E' una sfida costante. I due principali problemi sono la sfida duplice dell'esclusione; se studiate queste reti, vedete che a livello locale non c'è così grande rappresentanza, queste reti sono dominate da paesi delle élite del mondo. Abbiamo bisogno dei paesi in via di sviluppo. Serve una partecipazione dal basso, dobbiamo coinvolgerle dal basso. I problemi della sanità mondiale non possono essere risolti a Manhattan.
Perché questa società civile è così importante? Questi risultati sono dovuti alla rivoluzione tecnologica e alla capacità di collegarci. Tra gli stati spesso la collaborazione è più spinosa. Ci sono problemi di sovranità, ad es. Se la società civile vuole assumere un ruolo più potente nelle reti di politica pubblica globale, deve affrontare alcune sfide: utilizzare questo potere con saggezza: con maggiore trasparenza a interna e con responsabilità.
La società civile esternamente dovrebbe cercare di impegnarsi in modo cooperativo con il business. Da sole le due entità non possono farcela. E' importante pure che i governi non percepiscano queste reti come una minaccia, devono capire che sono meccanismi di sostegno che possono dare loro legittimità, man mano che cresce la loro incapacità di affrontare i problemi globali.
Queste reti in definitiva possono aiutare lo sviluppo sostenibile.
Touadì:
I problemi di cui parliamo oggi hanno superato le dimensioni dello stato nazionale. E' importante che altri soggetti all'interno della società possano partecipare ai processi. La parola a Susan George, di cui è uscito da poco in Italia il libro "Rapporto Lugano", ed. Asterios. Altri titoli: "Come muore la metà del mondo"; Feltrinelli; "Il boomerang del debito", ed. Lavoro. Autrice di saggi di politica globale. Scrive per Le Monde Diplomatique.
Susan George:
E' un grande onore far parte di questa iniziativa unica, che può far da modello per altri paesi. E' un'impresa eccezionale, istituzioni pubbliche, organizzazioni, che lavorano per un obiettivo comune.
La logica di Davos e di Seattle sono diverse. Davos va avanti da 30 anni, è composta dal 95% di uomini, per il 95% da amministratori delegati delle multinazionali, con rari esempi di sindacalisti e Hong Sono gli apostoli della globalizzazione, è il loro vangelo. Se ci sia stata una crisi come la asiatica, o no, per loro è la globalizzazione che ci porta verso la terra promessa. Può portare solo cose eccellenti: benessere, occupazione.
Seattle non è stata una specie di big bang: è il risultato di anni e anni di lavoro, da parte di chi lavora come soldato di fanteria per includere nell'agenda delle istituzioni del mondo questi problemi. Seattle per il 98% non violento, con persone non violente. Anche se i mezzi di informazioni, hanno fotografato le poche vetrine infrante, la situazione era molto diversa. Io c'ero.
Che cos'è il DNA della globalizzazione? E' codificato per ottenere tre esiti:
1. la globalizzazione crea maggiori disuguaglianza. Dall'Unctad alle altre ricerche dicono che le disuguaglianza stanno aumentando. Da quando la Russia è un paese indipendente l'aspettativa di vita per l'uomo è diminuita di 7 anni. Una cosa senza precedenti.
2. Anche il potere viene spostato dal basso verso l'alto. Anche ai governi si chiede di introdurre politiche di deregolamentazione: liberalizzare il mercato del lavoro, che è più precario. In particolare nel sud del mondo i governi sono obbligati a fare così. Nel contempo cresce il potere del FMI e dell'OMC (WTO) che sta prendendo decisioni che hanno impatto su tutti noi senza che come cittadini possiamo intervenire.
3. La globalizzazione crea un numero vastissimo di perdenti. La globalizzazione prende il meglio e ci lascia il peggio. E' vero per le persone, per i paesi, per interi continenti.
Questo è il codice genetico della globalizzazione.
Davos nulla ha da dire dei perdenti, che sono invece quelli di cui voi vi occupate.
La gente di Seattle si occupa degli esclusi. Seattle si occupa di diritti umani, di ambiente, di tutela di aree che non devono diventare oggetto di mercato: la sicurezza alimentare, la salute, la sicurezza idrica. E' importante che grazie a Seattle (e grazie due settimane fa a Washington) che i mezzi di informazione si stiano rendendo conto che c'è anche una società civile.
Ciò che dobbiamo fare non verrà fatto grazie alla cooperazione tradizionale, gli aiuti. Primo passo è cancellare tutti i debiti di tutti i paesi poveri. Dobbiamo annullare tutti i debiti, con delle condizioni: nelle decisioni dobbiamo coinvolgere la società civile, non possono essere le élite. Dobbiamo tassare il capitale, le transazioni finanziarie: sono i soldi che ogni giorno girano per il pianeta: 3 miliardi e mezzo di dollari. Che non finanziano l'economia reale. 400 miliardi di dollari solo l'anno scorso,. Ci sono le possibilità tecniche per tassare questi soldi. Altrimenti sono i vostri consumi, le vostre case che saranno sempre più tassati. Questa ridistribuzione non dovrebbe essere gestita solo dai governi o dai loro agenti dell'OMC e della Banca Mondiale. A Seattle la gente ha capito che dobbiamo stare insieme. Se l'agricoltore si interessa solo di agricoltura, perderà. E così via. Tutti verremo fatti fuori uno a uno. Quando l'agricoltore si occupa di agricoltura e ambiente, allora la prospettiva cambia. Allora riusciamo a far sentire la nostra voce.
Altro aspetto interessante è che io giovani tornano a interessarsi di politica.
Siamo in un periodo di transizione, in cui sta cambiando la politica. Una volta era facile capire dove si era collocati nella gerarchia politica, nella scala sociale. Adesso siamo vicini a una fase pericolosa, che potrebbe svilupparsi velocemente secondo la logica di Davos: la nuova domanda sarà: Chi ha il diritto di sopravvivere, e chi non ce l'ha. Se le uniche persone che possono sopravvivere sono quelli che contribuiscono all'economia, come produttori o consumatori, allora gli altri saranno esclusi.
Ammiro quello che il terzo settore sta facendo in Italia e nel mondo, come vi collegate nel mondo, come create un forum sociale mondiale, Unimondo, ma vi avverto: non accettate di raccogliere le briciole lasciate dalla globalizzazione, di affrontare la miseria. Fate un passo in più: unitevi alla lotta politica, create per questa gente una situazione in cui non riceveranno la carità, ma avranno diritti. Possiamo farlo, tutti insieme.
Touadì:
L'enfasi di Susan George per questa parte della umanità. Il DNA della globalizzazione: take the best, leave the rest. Per uno come me che viene da un continente che pesa per il 2% nell'economia mondiale, queste parole sono un monito. Ha sottolineato l'importanza di lavorare in rete, non isolati, di ritrovare un dinamismo della base. I mass media hanno scoperto la globalizzazione a Seattle? La maggiora parte dei reportage Rai da Seattle era la battaglia tra i poliziotti e i dimostranti, occultata la vera battaglia.
Maurizio Meloni a Seattle c'è stato. Ne ha tratto un libro. Cosa è stata questa battaglia? In Italia che sta succedendo? La rete di Lilliput?
Maurizio Meloni (rete di Lilliput)
Prima voglio riflettere sul titolo. Se c'è un elemento costitutivo della globalizzazione, è che essa si basa su una specie di baratto. Ci viene dato un mondo di infinite possibilità tecniche, ma dobbiamo accettare di perdere la possibilità di orientare i processi. Ci fanno accomodare su un treno veloce, bello, purché non discutiamo la direzione di questo treno. Questo patto spiega perché il movimento di Seattle ha creato tanta simpatia. Prima facevamo convegni tra addetti ai lavori. Al ritorno, parlando di Seattle molta simpatia: del piccolo commerciante, imprenditore, agricoltore, a dire finalmente qualcuno che dice qualcosa di diverso. Siamo in una realtà in cui ormai qualunque cosa avvenga ci si domanda come risponderà la Borsa, il mercato. Seattle è una svolta nel rapporto tra potere degli attori privati e l'emergere di una società civile che mette in discussione ciò.
Altro elemento di interesse: nuovo modo di fare società civile. E' il momento che la società civile diventi un po' incivile, che esca più allo scoperto. Anche rispetto a questo Seattle ha dato un segnale di inversione di tendenza.
Seattle ha avuto un effetto moltiplicatore in Italia, di cui la rete di Lilliput è un pezzo accanto a tanti altri.
Altre Seattle in preparazione: Ancona, controvertice. A Genova Mobilitebio (accanto a Tebio). A Bologna a vertice dei paesi Ocse sulle piccole e medie imprese.
Touadì:
La parola a padre Alex Zanotelli. Jamboo. Prima però una barzelletta su due turisti italiani. P. Alex vive in quella Nairobi che gli italiani che vanno in Kenya da turisti non conoscono. Due turisti italiani in Kenya: Uno dice: Bene a venire in Kenya. L'altro: "Peccato che ci siano anche qui gli extracomunitari".
P. Alex Zanotelli (missionario comboniano, Nairobi, Kenya):
Non volevo venire a Padova. Ma i comboniani mi hanno portato su per la storia dei Grandi Laghi. Andare in giro mi fa stare male, lontano da Korogocho. Se siamo qui deve avere un significato. Confesso la mia poca fede. Che mi fa tentare di credere è il mistero degli incontri. Ci deve essere Qualcuno che tira qualche filo. Sono qui come rappresentante di una tradizione religiosa che è quella del giubileo. Che è veramente grande. La tradizione giubilare è insita nel cuore stesso della fede di Israele e di Gesù. Un biblista americano la esprime così: "Il sogno di Dio". Il sogno messo da Dio nelle mani di un poveraccio, Mosè. Dio sogna un'economia di uguaglianza, dove i beni del mondo sono a beneficio di tutti; una politica di giustizia, apparati amministrativi che lavorano per avere un'economia di giustizia; l'esperienza religiosa di un Dio che è il Dio degli oppressi, degli schiavi, degli impoveriti. Questa è la tradizione giubilare: il tentativo di esprimere umanamente il sogno di Dio. Dio è il vero Dio se è quello che si impegna a fianco del povero. In questo spirito vi parlo dai sotterranei della storia. Quando vivete a Korogocho capite cosa è la globalizzazione. Un rappresentante della Banca Mondiale è venuto a Korogocho. Si è infangato perché pioveva. Poi senza cambiarsi è andato a un incontro della Banca Mondiale. Ha preso la parola e ha mostrato il suo vestito, dicendo: "Non stiamo facendo nulla per i poveri".
Abbiamo di fronte problemi enormi. Nairobi è il mondo. Quest'anno abbiamo lanciato una campagna sulla moralità. E' morale che il 60% della popolazione, 2 milioni su quasi 4, vivono sull'1,5% della terra di Nairobi, nelle baraccopoli. E' assurdo. E', in piccolo, il sistema mondiale.
Un esempio semplicissimo. Mi arriva in baracca una ragazzina. "Come ti chiami, che etnia sei?". "Non lo so". Aveva 4, 5 anni, sulla strada. La mamma dice: "Sono vissuta per anni nella discarica. Mi hanno violentata, una , due volte. Dalla discarica mi hanno cacciata. Ho cambiato zona". Mi ha detto: "Perché i miei genitori non mi hanno lasciato dov'ero?". E' la prima volta che sento un Africano parlare così. Il primo effetto della globalizzazione è la perdita della scolarizzazione. Il 50% dei bambini non andrà in prima elementare. Finiranno sulla strada. Saltano tutti i bisogni essenziali: servizi per la salute. C'è sempre più gente che non riesce neanche a trovare i soldi per seppellire i propri cari. A Korogocho c'è parte di quel miliardo e 200 milioni di persone che la Banca Mondiale definisce inutili.
Dato l'importanza dell'economia, mi meraviglio di questa cosa: mi sorprende che l'Europa è così provinciale e voi corti e beceri da non capire che quello che avviene negli USA lo pagherete voi domani. Il cosiddetto Nafta for Africa lanciato da Clinton nel suo viaggio del '98, bocciato dal Senato una prima volta, ora è approvata. C'è una Conferenza che tra pochi giorni preparerà un testo unificato e Clinton ci metterà la firma. Verranno spazzati gli accordi unilaterali, tutto. Eppure finora non se ne parla. Avrà ripercussioni incredibili in Africa. E' l'apertura alla politica del MAI. Quando è venuto Veltroni, gliene ho parlato. Come fate a non fare questi discorsi.
E il debito: tutte le campagne sono importanti. Non voglio fare polemiche. Quello che non mi trova d'accordo sono le azioni dei grandi. Finora cosa è stato cancellato? Quanto promesso tocca l'1 per cento. A Colonia ci hanno abbindolato. A chi rimetteranno i debiti impongono i piani strutturali. Vogliamo fatti. I fatti sono la gente che soffre.
C'è una strettissima correlazione tra debito e remissione del debito e il consumismo della società occidentale. Il nostro sistema è basato sul debito.
Usciamo dalla lotta dei diritti umani per la borghesia del 20% del mondo. I bisogni fondamentali - cibo, casa - sono i diritti della maggior parte della popolazione mondiale. Non difendiamo solo i diritti di una borghesia. Diritti umani concreti, dei bisogni concreti. Sono grato della campagna Del Monte, che in Kenya comincia a far sentire i suoi effetti. E' partita con un lavoro lillipuziano.
In Italia vedo che si lavora con un metodo lillipuziano. Ci sono voluti tre anni. Voglio che la rete di Lilliput cominci a incidere e che in questo paese, per quanto a destra possa andare, si sappia che c'è una rete alternativa.
Un accenno alla legge sulla cooperazione: quella che sta passando in Italia è brutta. Pensiamo alla cooperazione in maniera alternativa. Non è possibile fare rete tra le ONG, costituire un ministero che risponda alla società civile