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Il Brennero è di nuovo inviolabile, ma per gli immigrati
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Una vera e propria manna dal cielo i treni della OBB (Österreichische Bundesbahnen), le ferrovie austriache che da Bologna o da Venezia giungono a Monaco di Baviera in poche ore. Comparti puliti e silenziosi, convogli puntuali e frequenti, personale bilingue: è un piacere viaggiare su questi treni che risalgono la Valle dell’Adige oltrepassando il Trentino e l’Alto Adige per poi immergersi in Tirolo e proseguire per la Germania, o nel percorso al contrario. Il panorama fuori dal finestrino cambia gradualmente e in maniera pressoché impercettibile, così come impercettibilmente si potrebbe oltrepassare la frontiera del Brennero, se non fosse per una ampia pausa del locomotore in stazione. Spettrale l’atmosfera registrata fra i casermoni ormai in disuso e lasciati in stato di abbandono sul confine tra Italia e Austria, sancito al tavolo della pace della Conferenza di Parigi alla fine della prima guerra mondiale nel 1919. Allora lo Stato italiano, vincitore, ottenne dal disfatto Impero austro-ungarico il territorio irredento del Trentino, “italianissimo”, ma pretese per ragioni di sicurezza e difesa il Tirolo meridionale, il Südtirol, ribattezzato Alto Adige, e inglobò così sotto la giurisdizione nazionale una popolazione etnicamente e linguisticamente tedesca.
Le istanze della popolazione locale per il godimento di una amministrazione che garantisse l’uso della lingua tedesca e per la concessione di una autonomia politica determinarono un problema di ardua soluzione.
Fino alla fine degli anni ’90, con l’attuazione del Pacchetto di disposizioni a tutela dei diritti della minoranza di lingua tedesca, la cosiddetta “questione altoatesina” costituì una spina nel fianco nei rapporti fra Roma e Vienna. Il Brennero costituiva il simbolo di questo scontro. Fino alla fine degli anni ’60 le bombe esplosero tanto nelle valli dell’Alto Adige quanto in quelle del Trentino, colpendo in particolare le forze armate e di polizia, che in gran numero erano state inviate a presidiare il territorio, oltre ai beni pubblici dello Stato. Il Brennero era allora intensamente presidiato per impedire lo spostamento di materiale e uomini che avrebbero potuto fomentare il terrorismo sudtirolese.
Fino al 1955 l’Austria, divisa in quattro zone e occupata dalle forze alleate vincitrici della seconda guerra mondiale al pari della Germania, a cui era stata unita nell’Anschluss del 1938, non ebbe la configurazione di uno Stato. Per questa ragione il suo Trattato di pace, firmato esattamente il 15 maggio di 60 anni fa, assunse la configurazione di un Trattato di Stato, ossia reintegrò Vienna nelle sue funzioni. Tra queste, anche quella di rivendicare una migliore tutela della popolazione di lingua tedesca presente in Alto Adige, in sede di incontri bilaterali come dinanzi agli organi multilaterali, quale l’Organizzazione delle Nazioni Unite. La decisione di confermare la frontiera al Brennero tra Italia e Austria assunta alla fine della seconda guerra mondiale contravveniva infatti il principio di autodeterminazione dei popoli ma recepiva l’impegno degasperiano a forme di autonomia politica del territorio nonché di tutela linguistica e culturale della popolazione. Una prospettiva che volle cancellare dalla memoria l’infausto accordo del 1939 tra Mussolini e Hitler che, in nome di una omogeneità etnica, aveva “invitato” (le virgolette sono d’obbligo) gli altoatesini a “optare” per la cittadinanza tedesca o italiana, in base alla propria lingua ed etnicità. I treni passarono allora il Brennero pieni di entusiastici altoatesini speranzosi di trovare una buona comunità di accoglienza, sfuggendo alle vessazioni messe in atto dal regime fascista, e incontrarono però solo guerra e miseria, finché tali transiti furono presto interrotti per l’entrata in guerra anche dell’Italia.
La storia di queste terre, ripercorsa brevemente a ritroso, è intrisa di contrapposizioni, violenza, rappresaglie. Per chi la conosce, anche solo sfogliando le pagine del celebre romanzo di Francesca Melandri “Eva dorme”, è una emozione indescrivibile attraversare queste regioni nella più assoluta tranquillità, scambiando qualche chiacchiera cordiale col vicino mitteleuropeo.
A distanza di alcuni decenni Schengen ha infatti cambiato tutto: la costruzione di un’Europa unita è passata non solo sul piano della produzione e del commercio ma anche della libera circolazione dei capitali, delle merci e delle persone. Almeno per quanto concerne le valigie, i risparmi e i corpi dei cittadini con passaporto europeo. Le frontiere interne all’Europa e i controlli transfrontalieri appaiono negli ultimi mesi rivitalizzati per far fronte agli immigrati sbarcati sulle coste meridionali dell’Italia che tentano di dirigersi verso altri Paesi dell’UE per avanzare la propria richiesta di asilo e avviare la ricerca del lavoro. Ed è per questa ragione che nella stazione ferroviaria di Brennero, dove ogni giorno transitano decine di convogli tra treni merci e treni adibiti al trasporto dei passeggeri, hanno iniziato a riapparire gli agenti di polizia, italiani, austriaci, ma talvolta anche tedeschi, data la principale tratta dei treni a lunga percorrenza OBB. Schengen non vale per il migrante-clandestino, che può essere “riammesso passivamente nel territorio da cui si presume essere arrivato irregolarmente”. Come già accaduto in passato a Ventimiglia, al confine con la Francia, e a Tarvisio, con la Slovenia, le autorità austriache al Brennero bloccano o rimandano in territorio italiano i presunti clandestini che tentano di attraversare quel confine.
Anche se alcune testimonianze delle stesse forze di polizia parlino di una vera e propria “caccia al nero”, l’azione austriaca appare legittima dal punto di vista giuridico poiché la normativa UE prevede che la domanda di asilo debba essere presentata dal migrante nel primo Paese europeo in cui giunge. Che sia l’Italia, Malta, o anche la Romania o la Svezia. Non va dimenticato che l’immigrazione via mare è solo uno dei canali, e neanche il più consistente, attraverso cui i migranti giungono sul territorio europeo; infatti, nonostante gli impressionanti numeri degli sbarchi registrati dall’inizio di questo anno, l’ultimo rapporto di Frontex ha definito che ad aprile 2015 sono 23mila le persone giunte via mare a fronte delle 34mila che hanno scelto la terraferma, specie dai Balcani, passando attraverso i varchi della Slovenia e dell’Ungheria.
Dinanzi alle reciproche accuse delle cancellerie degli Stati europei di non farsi carico a sufficienza dei migranti e dei rifugiati, giusto mercoledì scorso è giunto l’annuncio dell'Alto Rappresentante della Politica Estera della Commissione Europea, Federica Mogherini, dell’approvazione di una agenda per una nuova politica dell’immigrazione che prevede la rivisitazione dell’accordo dei Paesi membri dell’UE sulla norma che impone che la richiesta sia effettuata nello Stato europeo di primo ingresso e sulla definizione delle quote di accoglienza dei richiedenti asilo. La parola passa ora ai governi degli Stati membri.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.