Il 30% degli alberi del Pianeta rischia di scomparire

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Foto: Unsplash.com

Sono a rischio estinzione a livello planetario. Sono i puntelli degli ecosistemi e la loro mancanza potrebbe causarne il collasso. E la ragione che più pesa sul loro faticoso destino è l’agricoltura. Parliamo degli alberi, sì. Che stanno scomparendo per circa il 30% della quota mondiale (58.497 specie).

Queste e altre minacce sono messe in luce dallo State of the World’s Trees report, edito recentemente da Botanic Gardens Conservation International (BGCI), organizzazione indipendente nata nel 1987 per monitorare le specie arboree e supportare, mettendoli in rete all’insegna del comune obiettivo della conservazione, giardini botanici in oltre 100 Stati del mondo. Nel report rilasciato si raccolgono i risultati di 5 anni di ricerche internazionali che hanno visto la collaborazione di molte organizzazioni per la conservazione nel mondo, riunendo dati raccolti su oltre 17.500 specie di alberi minacciati, una cifra che corrisponde al doppio della somma di tutti i mammiferi, gli uccelli, gli anfibi e i rettili in pericolo di estinzione.

Solo il 41,5% degli alberi, nel mondo, sta davvero bene. Gli altri, se non sono in pericolo di estinzione, sono comunque possibilmente esposti a minaccia o valutati in maniera insufficiente. E non parliamo solo dell’Amazzonia, anche se il pensiero va subito lì, a quella terra martoriata e prigioniera delle contraddizioni e degli interessi politici, dove recentemente attivisti ambientalisti hanno espresso grandi perplessità sull’ipotesi di una svolta “verde” del Paese, volta probabilmente solo a migliorare la propria immagine e a gettare fumo negli occhi con vaghe promesse per il futuro, anziché interrompere con convinzione e in tempi brevi lo scempio di corruzione a favore di un business agricolo indiscriminato e una deforestazione che viaggia al ritmo di oltre 800 kmq al giorno, le cui conseguenze attanagliano le comunità locali, soprattutto quelle indigene.

Non solo Brasile purtroppo, ma anche Cina: dall’eugenia alla magnolia, dalla camelia all’acero, le specie che se la passano male sono parecchie, e a maggior ragione nelle aree tropicali (p.es. l’ebano del Madagascar). E anche in Europa, che pure è relativamente povera in termini di biodiversità, ci sono specie come il sorbo comune e il sorbo degli uccellatori che potrebbero decisamente stare meglio.

Se ad oggi solo lo 0,2% delle specie si è estinto, il report mette in guardia dai presupposti per una forte accelerazione di questo processo, che non andrebbe a minare solo la colonna vertebrale degli ecosistemi mondiali, ma anche la possibilità del sequestro di carbonio e della produzione di ossigeno che è indispensabile alla vita umana sul Pianeta, senza contare la materia prima del legname per le costruzioni, il combustibile per i fuochi e gli ingredienti necessari alla produzione di farmaci e cibo. Effetti molto evidenti e “sgradevoli” se la prospettiva è la nostra, ma sempre meno pericolosi rispetto agli impatti che la loro scomparsa può avere sui sistemi che supportano la vita naturale e che condiziona la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi su scala molto più ampia.

La peggiore minaccia risiede nelle attività intensive agricole (29%) seguite dall’industria boschiva (27%), dall’allevamento (14%), dalle attività costruttive e di sviluppo commerciale (13%), dagli incendi (13%), dalle miniere (9%), dalle piantagioni di pasta di cellulosa (6%) e dalle specie invasive (3%). I cambiamenti climatici sono quasi in fondo alla lista (4%), aggiungendo però pressione su voci come lo sviluppo degli incendi e le attività agricole.

Le raccomandazioni sono quelle di estendere le aree protette, aumentare le campagne di ripristino delle specie, soprattutto di quelle a maggior rischio, valorizzare e implementare la collaborazione a livello globale e concentrarsi maggiormente sugli sforzi di conservazione (non solo nei giardini botanici ma anche nelle banche dei semi). Per lavorare in questa direzione il gruppo di ricerca ha lanciato GlobalTree, un database online per tracciare le attività di conservazione specie specifiche a livello nazionale e globale. Un compito che coinvolge tutti e che probabilmente troverà nelle comunità locali la strada maestra per una conservazione che parta dai territori, come sta già accadendo, dal Guatemala al Myanmar, in molte esperienze di “community guardians”. Ce la faremo?

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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