ILVA: l’unica strada è una vera riconversione

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Foto: Unsplash.com

Sorge una città nel sud dell’Italia che è stata la culla della Magna Grecia abbracciata da due mari: chi la visita ne rimane folgorato per la bellezza e la storia millenaria, visto che è stata fondata nel 706 avanti Cristo. Eppure…

Eppure da due decenni è banalmente la città dell’Ilva!

È solo una delle offese che vengono inopinatamente fatte a Taranto: non è più la sede di uno dei musei archeologici più importanti d’Italia e d’Europa (sono decine di migliaia i visitatori del MArTa, ogni anno), non quella del Castello aragonese (fortezza medievale tra le più ammirate), ma il territorio che ospita il siderurgico più grande e più inquinante d’Europa.

Quella fabbrica, sebbene stia lentamente collassando per conto suo, è ancora in grado di distribuire diossine e morti, benzene e malattie, polveri sottili e dolore. Ed ora alle emissioni dell’impianto, un’acciaieria a ciclo integrale, che hanno contribuito a un’alta concentrazione di sostanze inquinanti nell’aria e nell’ambiente circostante, con conseguenze negative sulla salute pubblica e sull’ecosistema, si vogliono aggiungere i rischi di una nave rigassificatrice ancorata in porto (o in alternativa dislocata a Vibo Valentia) per trasformare in elettrici gli altiforni.

Una città stremata ha raccolto tutte le sue energie residue per gridare a chi doveva apporre una firma alla continuazione della produzione con modalità obsolete e altamente insalubri, ‘Chiudete quel mostro!’, ‘Bloccate il catorcio!’

In piazza erano davvero in tantissimi a portare la propria indignazione e la voglia di un futuro fatto di aria pulita e mare incontaminato: l’iniziativa è stata organizzata da Giustizia per Taranto, forse l’associazione ambientalista con più soci (in tutt’Italia!) dell’intera provincia.

Abbiamo raggiunto telefonicamente Massimo Ruggieri che di Giustizia per Taranto è il presidente.

Presidente Ruggieri, a Taranto state vivendo giorni particolarmente delicati per la questione legata all’ex-Ilva. Ne vuole parlare?

Sì, è in dirittura di arrivo il procedimento per autorizzare l’ex-Ilva per dodici anni con il ripristino di tre altiforni a carbone. Sostanzialmente si sta riportando la fabbrica al periodo dei Riva con tutte le conseguenze che quella nefasta gestione comportò. Un’evidente forzatura del Governo per favorire la produzione ad ogni costo. Si intende, poi, edulcorare questa nuova Autorizzazione Integrata Ambientale con un accordo di programma interistituzionale che prevede un percorso di ‘decarbonizzazione’ estremamente vago, la cui valenza sarebbe tutta da verificare e i cui costi (non meno di due miliardi di euro) sono scaricati su chi acquisirà la fabbrica. A tale proposito vale la pena ricordare che la gara pubblica aperta dal Mimit solo qualche mese fa, non ha trovato alcun compratore disponibile a investire più di 500 milioni di euro su una fabbrica che è ormai ridotta ai minimi termini.

Fuori dalla Puglia, passa il messaggio che volete chiudere la fabbrica sebbene siano stati fatti degli interventi per ammodernarla. Come considera questa narrazione?

E’ una narrazione figlia della propaganda del Governo. Si vuol far credere che i problemi di Taranto siano stati superati mentre drammi, sperperi e contraddizioni sono ancora sul tavolo. La cosa è certificata a partire dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea che presto stabilirà sanzioni per l’Italia, rea di non tutelare i cittadini di Taranto dall’inquinamento. Inoltre a ottobre si aprirà un nuovo processo ai danni di Acciaierie d’Italia (attuale gestore della fabbrica) in quanto continua a inquinare. Tuttavia, occorre sgomberare il campo dall’assunto nel quale si racchiude spesso la narrazione sull’ex-Ilva e cioè che si è vittime del dualismo fra salute e lavoro. Non è così ormai da anni, poiché alla mancata tutela della salute e dell’ambiente nel territorio, si affianca anche una gravissima crisi economica e occupazionale. L’Italia spende centinaia di milioni di euro all’anno per la cassa integrazione di migliaia di lavoratori di Acciaierie d’Italia e a questo si aggiungono le enormi perdite economiche che quella fabbrica comporta ogni giorno, dal momento che produce sotto i livelli che le procurerebbero profitti. Motivo per il quale si ha urgente bisogno di spingere la produzione a livelli insostenibili per la nostra comunità, ma in grado di tornare a generare profitto (sempre ammettendo che ci siano spazi nell’attuale mercato dell’acciaio, cosa mai considerata dalla politica). In più è noto da tempo che, qualunque gestore acquisirà gli impianti, dovrà dar luogo a importanti esuberi e, se davvero si intenderà sostituire gli attuali altiforni con forni elettrici, si arriverà a quasi due terzi di possibili licenziamenti.

E i sindacati che a Genova hanno avuto un ruolo decisivo nella chiusura della pericolosa ‘area a caldo’ del capoluogo ligure?

Purtroppo, il ruolo dei sindacati in questa vicenda è di assoluta retroguardia. La violenza con cui il Governo ricatta i tarantini agitando lo spettro dei licenziamenti in caso di chiusura, anche solo parziale, della fabbrica, funziona per prima proprio su di loro. Ciò li porta da anni a salvaguardare la produzione e quasi a temere prospettive di riduzione o di decarbonizzazione della fabbrica, in considerazione dei posti di lavoro in meno che comporterebbero. Oltre a qualche sporadico appello alla sicurezza sul lavoro e all’ambiente, a volte pare di poter sovrapporre le loro posizioni a quelle di Confindustria. D’altra parte, a Taranto non dimentichiamo che, per qualche anno fecero scendere in strada i lavoratori della fabbrica accanto all’azienda per protestare contro la magistratura che aveva appena fermato gli impianti dell’area a caldo poiché insicuri per i lavoratori e inquinanti. A Genova una ventina di anni fa le lotte si fecero, al contrario, per pretendere la chiusura degli impianti più inquinanti e si fu capaci di ottenere questo successo con la forza rivendicativa di un’unione di intenti con il quartiere e la città. Quegli impianti furono trasferiti a Taranto raddoppiando la capacità inquinante dell’Ilva nella nostra città, ma qui, evidentemente, i loro effetti non sono stati giudicati dai sindacati ugualmente dannosi.
E che ruolo ha avuto la politica nazionale rispetto alla tutela della salute e della vita dei tarantini?

Nessuno, poiché non ha affatto tutelato i tarantini. La politica nazionale si è sempre apertamente e poderosamente schierata dalla parte della produzione e della finanza che ne ha garantito la prosecuzione. La prova più evidente è l’iper legiferazione che ha riguardato l’ex-Ilva, per la quale siamo arrivati a contare oltre venti provvedimenti ad hoc per innalzare limiti agli inquinanti, assicurare fondi, aggirare i provvedimenti della magistratura e rendere legali le straordinarie ingiustizie generate dalla fabbrica.

Da milanesi sappiamo bene che l’attenzione dei tarantini è rivolta al tribunale della nostra città che potrebbe mettere la parola ‘fine’ ai tormenti e al dolore di un’intera comunità. Può spiegare su cosa deve decidere?

Il Tribunale di Milano è stato interpellato attraverso un’inibitoria rivolta contro Acciaierie d’Italia da un’associazione chiamata Genitori Tarantini ed altri cittadini che, difesi dagli avvocati Rizzo Striano e Amenduini, hanno chiesto se fosse normale che la fabbrica produca in assenza autorizzativa e procurando danni sanitari ai tarantini. La richiesta esplicita è stata di sospendere gli impianti dell’area a caldo, ovvero quella più inquinante. Questo è il motivo per cui il Ministro Urso ha avuto particolare fretta per far approvare la nuova Autorizzazione Integrata Ambientale per l’ex-Ilva. Tuttavia, resta ancora da verificare se la fabbrica non produca danni a salute e ambiente. In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana – hanno puntualizzato i giudici della Corte di Giustizia Europea che hanno fornito parere al Tribunale di Milano -, l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso.

Lottate da anni contro poteri fortissimi ché demoliscono tutte le conquiste fatte per le strade e nelle aule di giustizia (anche europee). Se le cose andassero per il verso della giustizia sociale e ambientale, Taranto diventerebbe un esempio virtuoso a cui guardare da ogni parte d’Italia e non solo!

E’ esattamente così e ne siamo convinti e consapevoli. L’esempio a cui spesso guardiamo per ragioni di sovrapponibilità, è quello della Ruhr, in Germania. Lì, a fronte di una crisi economica, ambientale e sanitaria, si dette luogo negli anni ’90 al più straordinario esempio di riqualificazione di un territorio, avendo il coraggio e la lungimiranza di chiudere con l’era dell’acciaio e superandola con un programma partecipativo che, in soli dieci anni, ne ha cambiato e migliorato le prospettive economiche e occupazionali coniugandole con ambiente e salute. Oggi il suo bacino minerario è patrimonio Unesco, ci sono tre volte più occupati rispetto a quando c’era la fabbrica e i suoi luoghi hanno lasciato spazio a musei di archeologia industriale, attività ricreative e culturali di ogni tipo, attirando milioni di visitatori l’anno. La cosa più incredibile è che, per decisione di quanti parteciparono al percorso di riconversione, lì si intese puntare sul paesaggio. Un paesaggio che, tuttavia, andava creato artificialmente, mentre Taranto ha dalla sua una ricchezza naturale che necessiterebbe di molto meno.

Giovedì 17 luglio il governo si è approvato da solo l’Aia senza parere favorevole degli enti locali. Si sono accollati una responsabilità enorme viste le condizioni cadenti in cui versa il siderurgico tarantino.

Il Governo Meloni, come anche i suoi predecessori, ha mostrato molta poca responsabilità. Non tanto e non solo perché ha deciso scavalcando il territorio e i suoi rappresentanti, ma perché usa tale prepotenza per continuare a vessare la nostra popolazione. Ovunque nel mondo si sta abbandonando il carbone come fonte energetica, qui siamo in grado di rilanciarlo! Per di più continuando a derogare a prescrizioni mai rispettate che la fabbrica si porta dietro da anni. Non solo mantenendo i lavoratori in condizioni di precarietà economica, ma anche di incolumità fisica. Oltre, naturalmente, a eludere gli interventi delle magistrature europee e nazionali.
Come associazione ambientalista, cosa pensa di fare ora Giustizia per Taranto alla luce della totale chiusura?

Riteniamo che quest’AIA vada smontata in tutto il suo assetto, evidenziandone lacune e superficialità, fino ad impugnarla davanti al Tribunale Amministrativo. Sperando che al fianco della città, che anche in queste ore sta manifestando in piazza tutto il suo disappunto per gli ultimi provvedimenti, possano esserci gli stessi enti locali che hanno opposto il loro diniego motivato a quest’AIA irresponsabile. Insomma, continueremo in ogni sede, istituzionale, strade e tribunali, a cercare di far valere dignità e giustizia per la nostra città.

Laura Tussi

Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Coordinamento Italia Campagna Internazionale ICAN - Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, collabora con diverse riviste telematiche tra cui PressenzaPeacelinkIldialogoUnimondo, AgoraVox ed ha ricevuto il premio per l'impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. - Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze(Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana - con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa, Antifascismo e Nonviolenza (Mimesis 2017), con Alfonso Navarra, Adelmo Cervi, Alessandro Marescotti.  Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: "Scuola e didattica" - Editrice La Scuola, "Mosaico di Pace", "GAIA" - Ecoistituto del Veneto Alex Langer, "Rivista Anarchica". Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it. Qui il suo canale video.

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