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I vizi neocoloniali dell’Occidente
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Foto: Unsplash.com
Dal 2001 ad oggi, in Afghanistan la speranza di vita è diminuita di due anni, sono state uccise 200mila persone e sei milioni di donne, uomini e bambini sono stati costretti a fuggire dal Paese. La percentuale di coloro che vanno a scuola è scesa del 22 per cento e, almeno nei primi dieci anni, è cresciuto il numero delle persone sotto la soglia della povertà e quello della mortalità infantile. Eppure, al di là di quanto possano raccontare in modo chiarissimo i numeri e delle orrende verità accertate sulle ragioni non certo nobili che hanno spinto all’invasione degli eserciti, in Europa e negli Stati Uniti sono tutti convinti che quell’occupazione militare durata vent’anni abbia portato, con qualche inevitabile disguido, grandi benefici alla popolazione afghana. La pretesa superiorità della civiltà occidentale resta indiscutibile, è il bene assoluto. Lo dimostra, tra l’altro, il fatto che alle “culture” inferiori manca sempre qualcosa: la democrazia, la fede, il rispetto dei diritti umani, lo sviluppo, il management, la libertà delle donne…Tutte cose che invece abbondano nel mondo “libero” e che possono dunque essere esportate. Con generosità e qualche piccola, inevitabile contraddizione. In questa tremenda colonialità si rispecchia interamente l’avventura afgana euroatlantica. La guerra per la democrazia e per i diritti umani è il fardello dell’uomo bianco del XXI secolo. La mission civilisatrice si esprime nel sacro dovere di insegnare i valori essenziali a tutte le popolazioni che, sfortunatamente, ne sono orfane. Capiremo mai che è impensabile sostenere che tenere una popolazione in guerra per 20 anni ne possa migliorare la vita?
Raccogli il fardello dell’uomo bianco –
E ricevi la sua antica ricompensa:
Il biasimo di coloro che fai progredire,
L’odio di coloro su cui vigili –
Così Ruyard Kipling, il cantore inglese del colonialismo si esprimeva nel 1899. Il fardello, in quel caso, era la annessione delle Filippine agli Stati Uniti di America, ma alludeva all’intera esperienza coloniale britannica, che all’epoca copriva una grande parte delle terre emerse.
Il “fardello” di Kipling è la mission civilisatrice a cui, sosteneva nel 1885 Jules Ferry, teorico della avventura coloniale, la Francia doveva adempiere in ossequio al “sacro dovere delle razze superiori di civilizzare le razze inferiori”, colonizzando l’Africa “in nome della democrazia” e – aggiungeva senza falsi pudori – creare un mercato per i prodotti dell’industria francese.
Il fardello che invece Colombo e i suoi successori dovettero sobbarcarsi era la salvezza delle anime, per cui i conquistadores portavano il verbo di Dio e in cambio si prendevano l’argento e gli schiavi.
Anche l’Italia – sabauda, giolittiana o fascista non fa differenza – giustificava l’uso dell’iprite con il compito di “portare la civiltà”.
Da 500 anni la pretesa di superiorità europea (comprendendo nell’espressione “Europa” sia la sua escrescenza americana che l’estensione asiatica fino agli Urali) è stata l’ideologia giustificatrice per la sistematica subordinazione dei popoli non-europei e il substrato culturale dell’invenzione della razza e la nascita del razzismo.
Il nocciolo è la descrizione dell’altro non-europeo sempre come mancante di qualcosa: la civiltà, la democrazia, la fede, i diritti umani, lo sviluppo, il project management. Una mancanza che l’Occidente vuole colmare. Il suprematismo europeo è così ben radicato in tutti noi che, parafrasando Croce, “non possiamo non dirci razzisti”.
Non è forse la colonialità dello sguardo europeo che fa vedere i/le non-europee sempre come bisognosi/e del nostro aiuto piuttosto che come compagni/e di lotta, al più loro nostri partner piuttosto che noi loro alleati?
In questa colonialità si rispecchia interamente l’avventura afgana euroatlantica. La guerra per la democrazia e per i diritti umani è il fardello dell’uomo bianco del XXI secolo.
La mission civilisatrice si esprime nel sacro dovere di insegnare la democrazia e portare i diritti umani a tutte le popolazioni (salvo quelle di alcuni amici dell’occidente sulle quali sorvoliamo).
E liberare le donne. È così che un esercito invasore viene presentato come “liberatore delle donne” e quando se ne va c’è qualcuno che addirittura chiede di rimanere. Sulla pretesa occidentale di liberare le donne afghane con la guerra ha già detto cose, credo definitive, la antropologa femminista palestinese Lila Lughod (2).
La pretesa superiorità europea è data così per scontata che si finisce per pensare che tutto sommato l’occupazione militare dell’Afghanistan, anche se fatta per fini non nobili, ha comunque finito per giovare alla popolazione del paese, occultando il fatto che le condizioni di vita delle popolazioni sono invece peggiorate in questi 20 anni, nonostante tutto il circo di aiuti umanitari che ormai accompagnano sempre gli eserciti.
Dal 2001 ad oggi, in Afghanistan si è accorciata la speranza di vita di due anni, si è ridotto il tasso di scolarizzazione del 22% e, almeno nei primi dieci anni, sono aumentate la mortalità infantile e il numero delle persone sotto la soglia della povertà. Oltre 200mila vite sono state spezzate e sei milioni di persone hanno dovuto emigrare...