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I ricchi, questi insostenibili!
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Foto: Unsplash.com
I ricchi sono insostenibili. E non perché siano antipatici, pieni di sé, frivoli, presuntuosi, ridicoli o chissà che altro. Semplicemente sono insostenibili perché il mondo non se li può permettere. Ed è la scienza a dircelo: l’uguaglianza è essenziale per la sostenibilità. O, detta in altre parole, le società con caratteristiche paritarie hanno più fiducia e sono più inclini a proteggere l’ambiente di quelle inique e guidate dal consumismo.
Le prove le hanno raccolte gli epidemiologi sociali: via via che la crisi ambientale, sociale e umanitaria peggiora, il mondo non si può più permettere due cose: i costi della disparità economica e i ricchi. Tra il 2020 e il 2022 l’1% dei più ricchi al mondo ha assorbito circa il doppio della ricchezza globale creata dal restante 99% degli individui, emettendo nel 2019 CO2 quanto i 2/3 più poveri tra gli uomini. Gli scienziati lo hanno dimostrato: differenze di reddito così significative sono un potente fattore che sta aumentando la disfunzionalità delle nostre società da molteplici punti di vista. Lì dove ci sono maggiori gap tra ricchi e poveri aumentano gli omicidi, gli arresti, la mortalità infantile, l’obesità, l’abuso di droga, le morti per Covid, le gravidanze in età adolescenziale e diminuiscono drasticamente il benessere delle fasce più giovani, la mobilità sociale e la fiducia nel bene pubblico.
Questo scenario non influisce solo sulla qualità di vita dei più poveri, anche se sono i più colpiti. Anche i più facoltosi ne risentono, perché se vivessero in un Paese dove la ricchezza fosse distribuita in modo più equo, la loro esistenza sarebbe migliore: migliorerebbe la loro salute mentale e correrebbero meno il rischio di diventare potenziali vittime di violenza, i loro figli sarebbero più bravi a scuola e meno inclini all’uso di sostanze che creano dipendenza. Senza parlare dei governi, per cui i costi delle disuguaglianze sono altissimi: il solo Regno Unito, per esempio, potrebbe risparmiare oltre 100 miliardi di sterline ogni anno se riducesse le disparità interne ai livelli di Danimarca, Belgio, Finlandia, Norvegia o Paesi Bassi.
Le ragioni sottese alle pesanti conseguenze provocate dalle disuguaglianze sono però psicologiche: accentuando le differenze sociali e di status (p.es. attraverso il tipo di macchina che si guida, di vestiti che si indossano o di posti dove si vive) si accentuano proporzionalmente anche i sentimenti di superiorità e inferiorità. Alcune persone sembrano valere più di altre – e purtroppo in molti contesti la realtà è davvero questa – e ciò mina la fiducia in sé stessi: le risposte misurate sui livelli di cortisolo parlano chiaro, e dicono che come gli altri ci vedono è un potente e pericoloso fattore di stress. E uno stress cronico ha effetti documentati sulla mortalità, raddoppiandone l’incidenza, senza contare che una vita stressante certo non induce ad adottare uno stile sano da un punto di vista alimentare, di esercizio fisico e di buone abitudini. Violenza e bullismo aumentano in correlazione alla competizione per lo status sociale e spesso le aggressioni sono innescate dalla mancanza di rispetto e dalle umiliazioni.
Le disuguaglianze poi aumentano il consumismo a causa dei percepiti legami di causa-effetto tra beni posseduti e valore della persona. E quella di affrontare questo tema diventa subito anche una necessità ambientale: limitare la crescita economica e dare la precedenza alla sostenibilità e al benessere è prioritario per avviare una concreta trasformazione migliorativa, che ridurrebbe un consumo eccessivo e poco salutare, aumentando invece la solidarietà e la coesione sociale necessarie a rendere le società più adattive di fronte alle sfide del clima e alle altre emergenze contemporanee. Perché le disuguaglianze rendono più difficile anche l’implementazione di politiche ambientali, per un primo e niente affatto trascurabile motivo: i cambiamenti incontrano maggiore resistenza se la percezione è quella che i sacrifici per raggiungerli e i vantaggi che ne derivano non siano equamente distribuiti (un esempio su tutti, quanto accaduto in Francia con i gilets jaunes). In poche parole, le differenze sociali peggiorano quando si parla di ambiente e in particolare quando i temi sono legati all’inquinamento dell’aria, al riciclo, alle emissioni di CO2, alla progressione verso il raggiungimento degli SDG2030 e alla cooperazione internazionale. Una correlazione che chiaramente si mostra quando scendono in campo anche problemi sociali e di salute.
Sono dunque i governi a dover agire, tenendo in conto la disarmante verità dei dati raccolti dal mondo della ricerca: ridurre le ineguaglianze è precondizione fondamentale per affrontare le crisi climatica, sociale e di salute pubblica davanti alle quali il mondo si trova. Come? Scegliendo per esempio forme di tassazione progressiva, che alleggeriscano il peso fiscale che grava sui più poveri, finanziando così infrastrutture di utilità pubblica per garantire una transizione sostenibile a un futuro che appartenga a tutti e non solo ad alcuni. Perché se ridurre le disuguaglianze economiche non è certo la panacea di tutti i mali, è indubitabilmente centrale per risolverli.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.