I diritti umani in Russia restano un buco nero

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“Dopo aver ricondotto sotto il loro controllo le imprese, il potere giudiziario e quello legislativo, dopo l’acquisizione di tecnologie atte a manipolare i risultati elettorali, le autorità sono determinate a contrastare l’ultimo baluardo dell’indipendenza della Russia: la società civile”. Non ha dubbi Ludmila Alekseeva, la presidentessa della Moscow Helsinki Group, una storica ong russa nata nella metà degli anni ’70 quando l’allora Unione Sovietica si assunse per la prima volta degli impegni in materia di tutela dei diritti umani alla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa. A distanza di quattro decenni da quell’evento epocale, molte cose sono cambiate nello scenario interno e internazionale in cui tali accuse vengono lanciate. L’Unione Sovietica non esiste più e la guerra fredda è terminata, la Russia è uno stretto partner dell’Alleanza Atlantica, l’ex organizzazione “nemica”, e rappresenta una potenza demografica, geopolitica ed economica in seno al raggruppamento dei cosiddetti Brics (Brasile Russia India Cina Sudafrica), le nuove potenze mondiali.

Tuttavia, la Freedom House punta l’indice contro la Russia posizionandola tra i Paesi “non liberi” segnalando in particolare l’illiberalità del sistema elettorale e giudiziario; l’assenza delle fondamentali libertà di espressione, di stampa, di riunione e di associazione; le concessioni soltanto parziali delle libertà di fede religiosa o credo, di movimento e di sindacalizzazione dei lavoratori. Tutti elementi che hanno indotto peraltro la prestigiosa organizzazione statunitense a mettere a punto un’ampia cronologia sull’eliminazione dell’opposizione politica, dei media indipendenti e della società civile con la nomina di Putin alla presidenza della Federazione Russa nel 2000.

Interpretazioni e critiche che non possono certo essere ricondotte a una presa di posizione della Freedom House nelle schermaglie tra Mosca e Washington innescate in queste settimane dalla pubblicazione da parte della Casa Bianca di un elenco di 18 funzionari russi a cui sarà negato il visto statunitense, poiché ritenuti corresponsabili della morte in carcere nel 2009, in circostanze non chiarite, dell’avvocato Sergej Magnitskij. La pubblicazione da parte della Russia di un controelenco di 104 statunitensi accusati di violazione dei diritti umani di cittadini russi all’estero rende evidente lo stato di tensione tra i due Paesi sul tema dei diritti umani; al contrario sul delle relazioni economiche, specie in materia di risorse energetiche, non sembrano incappate in alcuna battuta di arresto.

Anche Human Rights Watch e Amnesty International da tempo fanno sentire la loro voce contro la Russia di Putin. D’altra parte è innegabile che le organizzazioni non governative (ong), specie quelle internazionali, siano state prese di mira dalla Duma, controllata dallo stesso presidente. Nel giugno 2002 è stata approvata la legge che permette al governo di sospendere le ong i cui membri siano accusati di “estremismo”. Nel maggio 2004 il Cremlino ha lanciato una campagna “punitiva” contro le ong che ricevono sovvenzioni straniere e “sono al servizio di gruppi o interessi commerciali non puliti e agiscono contro gli interessi della Russia”. Nel 2006 una nuova legge ha dato forti elementi discrezionali nella registrazione delle ong e ampi poteri di controllo sulle stesse. Nel luglio 2008 è quadruplicata la tassa imposta sulle ong occidentali. Nel settembre 2010 sono iniziate campagne intimidatorie, con l’intensificazione dei controlli di polizia nelle sedi delle stesse ong per accertare eventuali attività eversive non consentite dalla legge russa. Infine nell’estate dello scorso anno è stato imposto alle ong non russe di registrarsi come “agenti stranieri”, se ricevono finanziamenti dall’estero. Le sedi di decine di organizzazioni non governative sono state perquisite dalla polizia nelle ultime settimane, sia nomi noti come Memoriale e la stessa Amnesty International, ma anche piccole realtà che operano in provincia. Questa situazione si affianca alla repressione dei mezzi di informazione indipendenti e a qualsiasi forma di opposizione all’attuale sistema di potere russo o di contestazione della struttura sociale.

Oggi le manifestazioni di protesta per la libertà delle Pussy Riot accusate di vilipendio alla religione o il “kiss-in di protesta” contro la legge di repressione della “propaganda dell’omosessualità” hanno fatto il giro di mondo e testimoniano una società civile russa sempre più attiva. Elementi che di certo spaventano chi ha accentrato su di sé il potere e che inesorabilmente reagisce con nuovi giri di vite della repressione.

Miriam Rossi

Commenti

Diritti umani in Russia

Sono parzialmente d'accordo con il tenore dell'articolo . Intanto sono convinto che tante organizzazioni che "giudicano o valutano" non siano molto credibili poichè , solo in rarissimi casi , contestualizzano i parametri impiegati per l'emissione dei giudizi . Ad esempio , nel merito , mi sarebbe piaciuto sapere se , fatto 100 il livello della qualità dei diritti umani in Rusia nel decennio 1980/90 ( quindi trattato di Helsinki gia operante ) , oggi , la "Freedom house " giudichi tale livello a 50 o a 150 . In sostanza , negli ultimi 20 anni si è migliorato oppure no ? Correre appresso a singoli episodi ( Riot o Gay o altro ) è fuorviante . Personalmente , visitando Mosca nell'ultima settimana non ho trovato nè anarchia nè stato di polizia ma una popolazione che tra tante difficoltà , nell'arco di un passaggio generazionale , ha fatto progressi che in molti stati dell'europa occidentale non sono stati raggiunti de facto neanche in 50 anni . Claudio

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