Guerra contro l'Iran?

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La guerra USA-Iran si sta avvicinando a grandi passi. Logica vuole, anche guardando ai balletti diplomatici cui abbiamo assistito in passato, che il conto alla rovescia sia iniziato. I tempi sono strettissimi, se valgono le considerazioni che andrò esponendo. Il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha in via di approvazione una risoluzione di condanna di Teheran in una forma che implicitamente può essere interpretata dagli USA come autorizzazione ad un'azione militare. Essa, su proposta di Condoleeza Rice, segretario di Stato USA, è per l'appunto inquadrata nel capitolo 7 della Carta, il più ultimativo, quello che contempla anche l'uso della forza. Il 28 aprile è il termine dato agli irriducibili iraniani per sospendere le attività che l'Agenzia internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) ha individuato come sospette di uso duale (civile-militare).

È noto che Europa (inclusa stavolta la Gran Bretagna), Russia e Cina, come abbiamo già visto fare con l'Iraq, frenano, ma sappiamo anche che questa contrarietà non costituisce motivo sufficiente per bloccare una decisione unilaterale di Washington, qualora essa fosse presa, e pare che sia proprio stata già presa. Lo affermano ripetute indiscrezioni della stampa americana ed internazionale (ultimi in ordine di tempo: The Newyorker, Le Monde) e lo conferma, ripeto, un ragionamento logico sullo stato attuale del gioco della potenza. Non è un mistero che il Pentagono sta esaminando piani di attacco già pronti che si possono condurre nell'immediato. Piani che prevedono l'uso di armi nucleari (le cosiddette mininukes tattiche) per impedire all'Iran di procurarsi armi nucleari. Un disarmo atomico realizzato, paradossalmente, a colpi di bombe atomiche, tecnicamente necessarie - si sostiene - per distruggere i laboratori sotterranei di arricchimento dell'uranio.

La superpotenza USA ha la forza, oggi come oggi, di imporsi all'ONU e alle altre potenze perchè può contare su una schiacciante supremazia militare: il budget della "difesa" americano supera, con oltre 500 miliardi di dollari, quello di tutto il resto del mondo messo assieme e viaggia su un livello qualitativo al momento irragiungibile: l'acquisita capacità del primo colpo nucleare (da Foreign Affairs, febbraio 2006), il monopolio della quarta dimensione dello spazio satellitare, il controllo della rete telematica mondiale... (La contraddizione tra la prepotenza militare e la - relativa - debolezza economica sarà quella che, alla lunga, farà crollare l'Impero americano: ma questo è un altro discorso...).

La precipitazione della crisi può essere considerata come il prodotto della convergenza di due fattori:
1- la stupidità del regime degli Ayatollah, che hanno scelto la strategia suicida di riconquistare agli sciiti il primato nella sfida all'America: si tratta di una scommessa ad altissimo rischio che usa il popolo iraniano come kamikaze collettivo. Con le minacce ad Israele "albero marcio da estirpare" e con le smargiassate sul raggiunto status nucleare è come se il presidente iraniano Ahmadinejad facesse deliberatamente di tutto per spingere Bush ad attaccarlo: non gli lascia altra possibilità per "salvare la faccia" ;
2- il carattere militaristico ed aggressivo dell'amministrazione Bush, espressione diretta del complesso militare-petrolifero-industriale.

Il presidente americano avrebbe magari preferito liberarsi del regime degli ayatollah facendo ricorso ad un percorso di "destabilizazzione" più articolato e meno traumatico. Ma la retorica della "guerra permanente contro il terrorismo", sulla quale ha fondato la sua fortuna elettorale, gli impone ora di rispondere durissimamente alla sfida di Ahmadinejad, verso cui non può mostrare un atteggiamento remissivo ed irresoluto, alla europea.

Nel quadro della decisione di democratizzare (si fa per dire) il Medio Oriente allargato, tenendo conto delle difficoltà della situazione iraqena, sospinta dalla necessità di completare l'opera iniziata per acquisire il controllo dei giacimenti petroliferi più importanti del mondo, la cricca militarista-petrolifera di Bush e dei neocon doveva per forza perseguire ed ottenere il "cambiamento di regime" in Iran.

Dal suo punto di vista, non è tollerabile, in una situazione di guerra civile strisciante, che gli sciiti iraqeni, oggi al potere, anche se sotto tutela, possano consolidare un asse omogeneo con gli sciiti iraniani: questo retroterra deve essere loro sottratto, se no, per gli occupanti, il "divide et impera" non funziona più. La guerra in Iraq avrebbe portato al risultato paradossale di un'egemonia nascosta ma concreta dell'Iran su Bagdad! Bisogna perciò, dal punto di vista del MIC (military-industrial complex), agire in fretta: Bush è l'unico leader a Washington, tra l'altro in declino di popolarità, disposto a correre il rischio di un conflitto che potrebbe estendersi a vaste aree del pianeta.

I piani di attacco sono ovviamente pronti da lungo tempo, in linea con la logica della guerra preventiva.

Sulla rivista "Giano" (n. 51, novembre 2005), in un saggio a firma di Gabriele Garibaldi, titolo: "La crisi del Trattato di non proliferazione nucleare e le guerre americane del futuro", leggiamo le seguenti affermazioni di Philip Giraldi, ex dirigente della CIA: "A Washington non è un segreto che gli stessi personaggi dentro e attorno l'Amministrazione Bush i quali hanno montato la vicenda iraqena si stanno preparando a fare lo stesso con l'Iran. Il Pentagono, agendo dietro istruzioni dell'ufficio del vicepresidente Dick Cheney, ha incaricato l'United States Strategic Command (STRATCOM) di elaborare un piano che include un attacco aereo su larga scala contro l'Iran, con l'utilizzo di armi sia convenzionali che nucleari tattiche: le bunker busters. In Iran ci sono più di 450 obiettivi strategici di primaria importanza, comprendenti numerosi siti sospetti per lo sviluppo di armi nucleari. Molti di questi sono rinforzati o sotterranei a grande profondità e non possono essere distrutti da armi convenzionali. Da qui l'opzione nucleare".

Il piano cui si riferisce Giraldi, completato sin dal novembre 2003, è il CONPLAN 8022, già svelato da William Arkin, Institute of Policy Studies, consulente di Greenpeace, sulle pagine del Washington Post, lo scorso 14 maggio 2005.
L'impiego delle armi nucleari viene giustificato in via preventiva, nel caso che l'intelligence suggerisca l'imminenza di un attacco contro gli Stati Uniti o contro Israele: dell'affidabilità di simili "dritte" dei servizi segreti abbiamo avuto prova nella vicenda delle "armi di distruzione di massa" iraqene...

L'opinione pubblica americana, grazie a media per la massima parte compiacenti, è stata da tempo ben lavorata, come già accaduto per l'Iraq: si sta martellando su come sia assolutamente necessario portare la "democrazia" anche al popolo iraniano e su come sia indispensabile liberarsi del regime degli Ayatollah, collegato all'"Asse del Male" (gli Stati canaglia come la Siria e la Corea del Nord) e al terrorismo internazionale. Scott Ritter, ispettore ONU per le armi in Iraq dal 1991 al 1998, è anch'esso convinto che la guerra contro l'Iran è già stata decisa, è ora in corso segretamente e sta li' li' per deflagrare.

Lo spazio aereo iraniano sarebbe continuamente violato da velivoli spia senza pilota. La CIA starebbe sostenendo la campagna dinamitarda del movimento terrorista MEK. I legami etnici fra gli Azeri dell'Iran del Nord e l'Azerbajan (dove gli USA stanno allestendo una grande base militare) costituirebbero una possibilità di manipolazione interna che sarebbe stata ben afferrata dagli agenti paramilitari della CIA e dalle unità speciali. "Esse, infatti, si stanno addestrando con le forze dell'Azerbajan per formare dei gruppi speciali capaci di operare all'interno dell'Iran, sia per raccogliere informazioni, sia per condurre delle azioni dirette, sia per mobilitare l'opposizione interna ai Mullah di Teheran... Le forze aeree americane, operanti dalle basi azere, dovranno percorrere un tragitto molto più breve per colpire obiettivi sia a Teheran che nei dintorni. Infatti, le forze aeree americane saranno in grado di mantenere una presenza militare costante 24 ore al giorno sopra i cieli di Teheran, una volta aperte le ostilità. Gli Stati Uniti non hanno più bisogno di ricorrere ai vecchi piani della guerra fredda, i quali prevedevano di arrivare a Teheran attraverso il Golfo Persico e le città di Chah Bahar e Bandar Abbas. I marines possono prendere queste due città solo per proteggere il vitale stretto di Hormuz, senza la necessità di proseguire l'invasione via terra". (Da Scott Ritter: Bush si prepara ad attaccare l'Iran, htpp://www.informationclearinghous.info).

Scrive Gabriele Garibaldi nell'articolo su Giano or ora citato:
In qualità di anello mancante del Rimland eurasiatico, l'Iran pare destinato a dover fare i conti con l'apparato militare americano. Il problema per gli USA non è in primo luogo l'atomica di Teheran, ma semplicemente rovesciare il regime degli Ayatollah in quanto incompatibile con i propri interessi. Si potrebbe sperare che, nel caso falliscano gli ultimi tentativi diplomatici, gli USA saranno talmente affondati nella palude iraqena da desistere dai propositi già strombazzati di attaccare l'Iran. La realtà però è che il devastante potere aereo dell'America non è impegnato in Iraq. Solo 120 bombardieri B52, B1 e B2 potrebbero colpire 5.000 obiettivi in una singola missione. Migliaia di altri aeroplani e missili sono disponibili. Inoltre, anche se l'esercito e la marina sono pesantemente impegnati in Iraq, restano forze sufficienti a mettere in sicurezza i campi petroliferi costieri ed a condurre raids in Iran. Un attaco statunitense difficilmente sarà limitato alla distruzione dei siti nucleari e di quelli sospettati di contenere armi di distruzione di massa, ma probabilmente sarà mirato a distruggere tutte le infrastrutture militari, politiche ed economiche (escluse quelle petrolifere). In tali condizioni, l'Iran potrebbe essere ultriormente paralizzato da una guerra civile - Teheran accusa gli USA di fomentare la consistente popolazione azera separatista del nord-ovest".

La logica ed i fatti quindi ci dicono che la guerra sta per scoppiare.Ma il mondo, per fortuna o sfortuna, non è imbrigliabile nei nostri schemi logici, sempre limitati ed imperfetti, inadeguati se non distorcenti di fronte alla complessità del reale.Vi sono alcuni accadimenti probabili, ma non del tutto o non precisamente prevedibili, che, se si verificassero a breve, potrebbero scompaginare il precipitare della crisi. (Gli stessi potrebbero però anche determinarne un'accelerazione). Mi provo ad elencarli, non pretendendo certamente di essere esaustivo: la realtà, dovremmo ormai averlo capito, supera sempre la fantasia, figuriamoci la previsione teorica... Potrebbe, ad esempio, presentarsi il caso di una crisi politica interna della nazione americana: molti scandali vecchi su cui si sta accanendo oggi la stampa, ma anche qualche scandalo nuovo che cova sotto la cenere, accendono la prospettiva di un impeachment dello stesso Bush.
Non siamo in epoca di uragani, ma la famosa faglia di Sant'Antonio potrebbe smuoversi in California: ricordate Katrina con il suo devastante impatto sociale e culturale (oltre che con il suo carico di vittime e di sofferenze umane)?

L'aumento incontrollato del prezzo del petrolio potrebbe far esplodere il deficit statunitense e far crollare il dollaro (l'allarme è stato dato qualche giorno fa dal Fondo Monetario Internazionale). La guerra civile in Iraq, tra squadroni sciiti della morte ed attentati sunniti alle moschee, potrebbe diventare da sotterranea a manifesta provocando le dimissioni di Rumsfeld: il caos ed il conflitto generalizzati tra etnie e milizie politico-religiose pregiudicherebbe la rapina petrolifera determinando sul serio il fallimento dell'occupazione.
(Qui è opportuno ribadire che, nonostante quello che scrive il "Manifesto", dal punto di vista politico-militare ancora non c'è affatto gli americani una situazione cosi' disperata e deficitaria in Iraq. 2.000 e passa marines sono morti, va bene, ma Bush e compari, in primis il vicepresidente Cheney, sono riusciti ad estrarre tanto petrolio - 2 milioni di barili al giorno - quanto basta per ripagare i costi dell'occupazione - ed arricchire le tasche degli amici degli amici. Dobbiamo, per giudicare oggettivamente lo stato delle cose, tener presente di più come funziona effettivamente il modello Afghano (c'è fallimento li'?), che non la propaganda prezzolata sull'esportazione della "democrazia".

La "democrazia" è l'ultima cosa che hanno in mente i Signori imperiali della guerra. All'Amministrazione USA ed alle multinazionali basta solo controllare il governo formale della capitale, con una spruzzatina di riconoscimento ONU, ed i pozzi petroliferi. Il potere amministrativo sugli affari quotidiani possono tenerselo gli sciiti, purchè non egemonizzati da Teheran).
Potrebbe persino intervenire qualche grande evento positivo: non poniamo limiti alla Provvidenza anche se, devo dire, chissà perchè, di questi tempi personalmente non mi sento affatto incline all'ottimismo. Non riesco infatti ad immaginare, su ampia e grande scala, niente di buono per il futuro prossimo venturo. Per deragliare sulle cose dell'Italietta, ad esempio, quando Bertinotti, che pure ho votato, mi propone il suo: "Vuoi vedere che cambia davvero?", non riesco a trattenere una risata sarcastica.

Vuoi vedere che le stesse persone che, quando erano al governo nel 1999, hanno appoggiato o tollerato i bombardamenti "umanitari" della NATO sulla ex Jugoslavia, ritornate al governo, chissà perchè e come rinsavite, decidono di applicare il Trattato di non proliferazione e quindi il disarmo atomico dell'Italia rimettendo in discussione l'appartenza del nostro Paese al militarismo transnazionale? Vuoi vedere che il professor Romano Prodi, improvvisamente diventato coraggioso e lungimirante, senza bisogno disdire il Patto di principi euro-americano, si smarca dalla NATO (potrebbe in questo modo dare impulso ad uno choc positivo dei rapporti internazionali, promuovendo un ruolo dinamico dell'Europa per la pace, e riescire a bloccare sul serio le iniziative belliche di Bush)?

Vuoi vedere che i pacifisti, rinnovati, rinvigoriti e soprattuto, come auspica Padre Zanotelli, "departitizzati", invece di continuare a richiedere come un disco rotto solo il ritiro delle truppe dall'Iraq, del resto già promesso per fine anno dallo stesso Berlusconi (la presenza militare può essere ridotta visto che ormai gli iraqeni si ammazzano tra loro: dovremmo invece proporre ed imporre anche il ritiro dell'ENI dall'Iraq!), non cominciano ad incalzare decisamente il governo su una strategia concreta e meditata di "pace preventiva"? Per il 2006, guardando al pacifismo italiano, io sarei felice se vi fossero meno marciatori della domenica, meno lobbisti del lunedi, meno progettisti del martedi, ma più disobbedienti alla Turi Vaccaro, praticanti l'azione diretta nonviolenta; ed almeno 10.000 obiettori organizzati per la difesa nonviolenta alle spese militari: quale Santo devo pregare affinchè il miracolo si compia? Obiettate, gente di buona volontà, obiettate!

Solo dopo aver costruito, con una obiezione fiscale massiccia, una forza di iniziativa permanente e radicata nel sociale - ritengo - potremo cominciare a parlare di una mobilitazione pacifista con capacità di incidere, di risolvere e di costruire: ragion per cui, cari "Forum", care "Tavole" e cari "Coordinamenti", non chiamatemi per l'ennesimo, tardivo, inutile corteo per "fermare la guerra", guarda caso sempre quella appena sospinta dall'"Impero del Denaro" sotto i riflettori mediatici. Speriamo comunque che il Diavolo abbia fabbricato si' la pentola della guerra contro l'Iran, ma, come spesso succede, si sia dimenticato del coperchio... Speriamo che non sia una catastrofe ad evitare un'altra catastrofe alla stessa maniera con la quale chiodo schiaccia chiodo: che la Superpotenza pacifista, come Cristo a Pasqua, risorga sulla base della nonviolenza attiva.

Alfonso Navarra
segreteria Lega per il Disarmo Unilaterale

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