Guerra alla guerra

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Il generale prussiano Karl von Clausewitz scriveva che la guerra è un modo diverso di fare politica, ma nessuno ha mai detto che è un modo per fare la pace. Fino ai nostri giorni. Perché è ormai chiaro che gli interventi in Iraq e in Afghanistan sono “di guerra” anche se si continua a definirli per precauzione “al terrorismo” e “atti di consolidamento della pace”. Ci fossero ancora dubbi, a sfatarli, basterebbe la richiesta del ministro italiano della difesa, Ignazio La Russa, di dotare di bombe i nostri caccia in perlustrazione.

La questione è venuta alla ribalta all'indomani del mesto corteo che ha accompagnato quattro alpini italiani caduti in Afghanistan. Doveroso il cordoglio con le famiglie e pure il lutto nazionale. Ma giuste e doverose anche le domande che ne sono sorte. Don Nandino Capovilla, coordinatore nazionale di Pax Christi, s’è chiesto: “Da quando si bombarda durante una missione di pace?”. Auspicando il ritiro delle truppe ha reso noto che la nostra presenza militare in quel Paese costa all'Italia due milioni di euro al giorno, ma ha soprattutto rilevato che è “contro la Costituzione e contro la fede cristiana che chiama ad impegni di disarmo integrale”.

Vittorio Bellavite, di “Noi siamo Chiesa”, ha commentato che “si tratta di una guerra brutale come sempre pagata dai più deboli che sono le vittime civili e i militari che vi muoiono sono nostri fratelli, caduti sul lavoro come tanti ogni giorno nei nostri cantieri”. E Flavio Lotti, coordinatore nazionale della “Tavola della pace” s’è chiesto: “quanti ne dovranno ancora morire prima che la politica si assuma la responsabilità di mettere fine a questa assurda tragedia”. Il che non significa lasciare l'Afghanistan abbandonato e solo ma moltiplicare gli interventi di cooperazione, di assistenza e cura come avviene già con “Emergency”.

Alla vigilia dei tragici eventi nei quali hanno trovato la morte i quattro alpini italiani era uscito un appello, firmato tra gli altri da mons. Raffaele Nogaro, emerito vescovo di Caserta, e di p. Alex Zanotelli, comboniano in missione a Napoli, in cui si faceva la cronistoria dell'intervento in Afghanistan. Ricorda che è incominciato il 7 ottobre 2001 con un attacco aereo e che si combatte non per portare la pace e la democrazia ma perchè quel territorio “è un nodo strategico per il controllo delle energie, per un'egemonia economica internazionale e per una volontà di potenza mascherata da intenti umanitari e democratici”.

Il bilancio parla ormai di 40 mila morti tra militari e civili. Restringendo l'obiettivo sull'Italia l'appello registra il consenso che questa guerra ha ottenuto da tutti i partiti e si chiede perché solo la guerra trova la politica italiana tutta d'accordo. Eppure la Costituzione ripudia la guerra all'art.11! Ma si chiede anche chi sono i fabbricanti italiani che vendono armi per fare questa guerra, e fa nomi: la Finmeccanica, l'Iveco-Fiat, la Oto Melara e la Alenia aeronautica.

E infine la domanda sociopolitica: “può una nazione come l'Italia impegnare in armamenti decine di miliardi di euro mentre per presunte carenze economiche riduce i posti letto negli ospedali, blocca gli stipendi, tiene i carcerati in condizioni abominevoli e inumane, licenzia gli insegnanti, aumenta il numero degli studenti nelle classi e accetta senza scomporsi che una parte sempre più grande di cittadini viva nell'indigenza e nella povertà?”.

Nel frattempo è uscito pure un dossier sull'altro scenario di guerra dove è pure presente un contingente italiano, l'Iraq. Si tratta di migliaia di documenti sottratti al Pentagono americano nei quali sono registrati anche 15 mila morti finora non contabilizzati, ma rivelano anche stragi, torture, e l'uso di civili mandati in avanscoperta per scoprire la presenza di mine.

Qualcuno dirà che sono pallini di pacifisti. Ma democrazia vuole che per avere il consenso motivato si devono comunicare ai cittadini tutti gli aspetti anche i meno gradevoli o addirittura criminali e non relegarli negli “effetti collaterali” o, peggio, nel silenzio.

Vittorio Cristelli da Vita Trentina

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