Gli ambientalisti a Nairobi

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Nei negoziati ufficiali del Vertice sui cambiamenti climatici in corso a Nairobi trova finalmente uno spiraglio anche la società civile, rappresentata qui a Nairobi dalle delegazioni delle organizzazioni ambientaliste e dei popoli indigeni. L'occasione è stata la riunione sugli impegni dei paesi industrializzati nel periodo successivo al 2012 (l'Ad hoc Working Group). L'argomento in discussione: la quantità di emissioni di gas serra che le economie avanzate sono disposte a tagliare entro il 2020 e nei decenni successivi. "Il tempo è oro - ha detto il rappresentante delle ong ambientaliste di tutto il mondo, riunite sotto l'ombrello del Climate Action Network (Can) - e noi non possiamo permetterci ulteriori ritardi perchè se non agiamo ora il cambiamento climatico molto probabilmente si tradurrà in una catastrofe". Un punto di vista molto critico quello offerto dalle organizzazioni ambientaliste del Can, che ha spezzato la monotonia dei discorsi misurati e spesso nebbiosi fatti dalle delegazioni governative. E il dito è puntato soprattutto contro quei governi che, attraverso argomentazioni fuorvianti o il continuo uso del diritto di parola, stanno tentando di far slittare a tempo indeterminato le trattative. "Chi non agisce in buona fede - ha dichiarato il delegato del Can di fronte all'assemblea delle delegazioni governative - deve rivedere la propria posizione per il bene del pianeta e dell'umanita. E citiamo il caso del Canada, visto che il suo attuale governo si e` allontanato dagli obblighi sanciti dal Protocollo".

La questione chiave affrontata nelle discussioni di ieri è stata la messa a punto di un programma di lavoro per far procedere il più speditamente possibile le trattative. Il fronte anti Kyoto, che riunisce tra gli altri Australia, Canada e Arabia Saudita ritiene essenziale lo studio e la produzione di nuovi dati scientifici sui cambiamenti climatici e sulla quantità di gas serra rilasciati nell'atmosfera, prima di stabilire la quantità di emissioni che ciascun paese dovrà tagliare. Una questuione fittizia, come è stato sottolineato, visto che i dati a disposizioni oggi sono in realtà più che sufficicienti per iniziare a parlare di percentuali di riduzione. Ma di numeri fino ad ora non c'è traccia. L'unica delegazione a parlarne in modo ufficiale è stata fino ad ora proprio quella del Can, ribadendo che, i paesi industrializzati dovranno abbattere, entro il 2020, il 30 per cento delle emissioni di gas serra, se si vuole evitare che il surriscaldamento del clima superi i 2 gradi centigradi, ovvero il limite massimo di sopportazione del nostro ecosistema.

A richiamare i paesi industrializzati alle loro responsabilità sono stati anche i paesi in via di sviluppo, e i piccoli stati insulari, i più minacciati di fronte al cambio del clima. "Quando il surriscaldamento globale avrà raggiunto i 2 gradi - ha amminito il rappresentante del piccolo stato di Granada - allora dovremo solo attendere la scomparsa di paesi come il nostro, già pesantemente colpiti dall'innalzamento del livello degli oceani". A fargli eco le dichiarazioni della delegazione indonesiana che ha parlato del rischio concreto, da qui al 2070, della scomparsa di oltre 2000 isole oggi parte dell`archipelago, e del conseguente desplazamento di almeno 200 mila persone.

Dagli ultimi banchi della grande sala assembleare dell'Onu a Nairobi si sono infine levate le voci dei popoli indegeni riuniti qui in un Foro per i cambiamenti limatici. "Riaffermiamo i nostri diritti sulle nostre risorse naturali, terre e territori che rappresentano la base essenziale della nostra stessa esistenza - ha esordito Teobaldo Hernandez, del popolo panamense dei Kuna - e chiediamo che la minaccia del cambio climatico sia affrontata sulla base dei diritti umani". Assordante è infatti, secondo i popoli indigeni, il silenzio dei governi rispetto ai diritti delle persone che più direttamente pagano le conseguenze dello sfruttamento improprio delle risorse e dell'inquinamento atmosferico. Mentre quasi inesistenti sono stati gli spazi per una partecipazione attiva delle rappresentanze indigene del pianeta alle trattative sul clima. "I nostri popoli custodiscono una conoscenza millenaria sul rapporto con la natura e l`interpretazione dei segnali climatici - spiega Hernandez all'uscita dell'assemblea - Ma nessuno qui è disposto ad ascoltarci. Non lo sono stati quando abbiamo preannunciato in anticipo catastrofi puntualmente verificatesi, e non lo sono nenache oggi quando diciamo che l'elaborazione dei cosiddetti progetti per uno sviluppo pulito (i Cdm previsti nel protocollo di Kyoto) non devono essere realizzati a danno nostro". Il riferimento è ai grandi programmi di forestazione per uso commerciale approvati in paesi come Colombia, India, Panama, contro il consenso delle popolazioni locali.

di D. Calza Bini e A. Cocco
Fonte: La Nuova Ecologia

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