Gli alberi che cercavano un re

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Nel libro dei Giudici, uno dei più antichi della Bibbia, s’incontra una storiella molto significativa che riguarda la politica. Si narra degli alberi in cammino alla ricerca del loro re. Incontrano l’ulivo, il fico e la vite. Nessuno vuole privarsi delle cose buone prodotte (l’olio, la dolcezza del frutto, il mosto) per andare a comandare sulle altre piante. Non così il rovo che accetta con entusiasmo la proposta di diventare re. Non manca però la minaccia: “Se in verità ungete me re su di voi, venite, rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e divori i cedri del Libano” (Gdc 9,15). Il rovo offre protezione, ma pure distruzione e violenza. Una volta che ci si affida a lui, che non produce frutti, possono cominciare anche i guai. 

Un apologo di almeno 3 mila anni fa davvero valido anche per l’oggi. Infatti, come scrive il biblista Piero Stefani,“constatiamo il rifiuto di darsi alla politica da parte di coloro che producono frutti nella società (ulivo, fico, vite), dall’altro registriamo la volontà di occupare quel posto a opera di coloro che sono improduttivi sul piano economico e culturale (rovo)”. Non che chi si candida e chi viene eletto sia inevitabilmente il “peggiore”, lo sfaccendato, l’ambizioso o il fannullone, benché il duo che si appresta a governare l’Italia non abbia costruito qualcosa di proprio eclatante prima di sfondare in politica… Ci sono sicuramente persone brillanti e generose. Anzi tutti penseranno di essere i rappresentanti di quest’ultima categoria. In realtà oggi come ieri sembra proprio che siano una percentuale sempre più minoritaria. 

La parabola biblica è vera soprattutto in un aspetto: chi ha qualcosa di buono da dare spesso scappa dalla politica anche se chiamato. Gli alberi avevano offerto il potere alle piante da frutto. Eppure loro hanno preferito trovare soddisfazione nel proprio ambito. Perché dedicarsi alla politica se è fatta di ombre e se contempla l’utilizzo del fuoco (metaforicamente inteso come cinismo, violenza, lotta spietata)? Perché rovinarsi la vita quando si può offrire un servizio migliore alla comunità restando al proprio posto? Insomma meglio rimanere nel privato convincendosi – magari con piena ragione – di incidere di più anche sulla politica. E così si evita il mal di stomaco e l’utilizzo del Maalox, farmaco indispensabile solo per sopravvivere, non per fare carriera. 

Penso che questa tendenza alberghi più nella sinistra che nella destra, nei cosmopoliti più che nei sovranisti o negli autarchici, nei ragionevoli piuttosto che negli estremisti. I rivoluzionari con la fiaccola in mano sembrano più determinati dei “riformisti” che magari vorrebbero soltanto una società quieta e ordinata, senza aspettarsi sovvertimenti (in positivo!) totali dell’ordine costituito. Chi non ha da perdere nulla o lo crede, chi presume di essere in una situazione insostenibile, si lancia volentieri in politica. Anche il rovo – sicuramente una pianta poco stimata – ritiene di poter cambiare tutto. E alla fine, almeno in certi momenti, sovrasta gli altri alberi dalla grande tradizione, riveriti per lungo tempo. Il racconto biblico non lo dice esplicitamente ma, se osserviamo bene, il rovo diventa re perché i “migliori” o presunti tali si sono ritirati. Schizzinosi e altezzosi. Consci di non avere nulla a che spartire con il rovo – troppo colti, troppo ricchi, troppo nobili – se ne stanno in disparte, finché il fuoco divorerà anche loro.

Ripetiamo: oggi, nei paesi cosiddetti democratici, questa tendenza danneggia maggiormente la sinistra. Che si è ritrovata senza popolo. Il popolo ha preferito guardare altrove. La “colpa” non è solo dei partiti incapaci di attirare, luoghi freddi e inospitali. Esponenti di spessore – culturale ma pure elettorale – si ritraggono stomacati oppure già scottati in precedenza. È tutto un “armiamoci e partite”. Molti elettori di questa area politica sono impegnatissimi in associazioni, comitati, cooperative, gruppi vari, imprese solidali, professioni, ma non hanno o non vogliono avere interlocutori nei partiti, in chi alla fine li rappresenterà nelle istituzioni. Non raggiungono un’adeguata “massa critica”, non riescono a fare rete. A volte litigano e basta. Ciò ha lasciato un grande spazio vuoto che qualcuno, almeno in Italia, ha già occupato.

Il rovo, pianta infestante, sta già dilagando. E non serviranno agenti chimici o alchimie dell’ultima ora per contrastarlo. Non servono organismi geneticamente modificati. Occorrerà di nuovo arare il terreno, chiamare bravi agricoltori disposti però a faticare sotto le intemperie.

Articolo parzialmente pubblicato sul “Trentino” 

Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.

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