Giro di vite di Maduro sull’opposizione venezuelana.

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I programmi “per la pacificazione” e “per lo sviluppo economico” su cui il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, doveva lavorare insieme con le opposizioni anti-chaviste, risultano irrimediabilmente compromessi. Per dirla con un eufemismo. Venerdì scorso è stato arrestato Antonio Ledezma, sindaco dell’area metropolitana di Caracas e uno dei leader dell’opposizione, con l’accusa di aver ideato il “plan Jerico”, un colpo di Stato sventato la scorsa settimana che avrebbe dovuto spodestare l’attuale governo. “Funzionari incappucciati hanno sparato in aria e portato via Antonio a spintoni”, ha dichiarato la moglie del politico denunciando la brutalità dell’arresto all’interno del Municipio cittadino da parte di una ventina di agenti dei servizi segreti (Sebin), e anticipando il duro intervento in tv con cui Maduro ha annunciato che Ledesma sarà processato e punito per i suoi “progetti criminosi contro la pace e la sicurezza del Paese e la Costituzione”.

Una ammissione giunta non contestualmente al fermo, secondo un copione ormai consolidato da Maduro, che sembra riuscire a difendere e sostenere il modello ideato dall’ex presidente Hugo Chavez per la Repubblica venezuelana solo attraverso il lancio di accuse alle opposizioni di organizzare un golpe, con il supporto di governi esterni o di altre forze internazionali. Avanzando le ragioni che avrebbero dunque indotto il governo chavista a smantellare il complotto “ancora in corso”, il presidente ha dichiarato: “C’è stato il tentativo di utilizzare un gruppo di ufficiali dell’aviazione militare per provocare un attentato a Palazzo Miraflores”, sede della presidenza. Una strategia pianificata dagli Stati Uniti, indicati spesso da Maduro come i principali responsabili dell’instabilità economica e politica del Venezuela. In questo caso il complotto avrebbe preso il via alla pubblicazione lo scorso 11 febbraio sulle pagine del quotidiano nazionale El Nacional di un manifesto per la stipula di un accordo nazionale di transizione firmato dai leader dell’opposizione venezuelana, Antonio Ledezma ma anche Maria Corina Machado, Julio Borges, e persino Diego Arria, ex ambasciatore del Venezuela presso l’ONU sostituito in estate da Maria Gabriela Chavez, figlia dell’ex presidente.

Sono però ancora le vittime e gli arrestati nelle proteste dello scorso anno a chiedere giustizia, o anche vendetta. Di certo appare allora alquanto sospetta la coincidenza della nuova azione presidenziale per annullare l’opposizione politica con le manifestazioni antichaviste organizzate in questi giorni nel Paese (anche contro la modifica del sistema dei cambi in vigore nei confronti del dollaro e delle altre valute). Nella stessa Caracas lo scorso 13 febbraio si sono verificati contrasti tra dimostranti e polizia durante la manifestazione di commemorazione dei 43 morti degli scontri del 2014. La tensione, palpabile, è sfociata nel lancio di pietre e nel rogo di alcuni cassonetti, e nelle strade della città è stata improvvisata una contestuale manifestazione pro-governativa. Pochi giorni dopo, il 18 febbraio, 300 manifestanti sono scesi in piazza, ancora a Caracas, per chiedere la liberazione di Leopoldo López Mendoza. Il leader del partito centrista venezuelano “Voluntad Popular”, feroce oppositore del presidente Maduro, è stato arrestato esattamente un anno fa per “istigazione alla violenza nelle strade, associazione a delinquere, intimidazione pubblica, lesioni gravi, omicidio e terrorismo”.

A meno di due anni dalle contestate elezioni di Maduro dell’aprile 2013, vinte per una manciata di voti, e a un anno dalle prime violenti proteste che avevano indotto a testimoniare per la libertà di espressione anche Miss Universo 2009, la venezuelana Stefanía Fernández, all’interno della campagna “Your voice is your power” (“La tua voce è la tua forza”), le ragioni delle recriminazioni dei venezuelani restano ancora irrisolte. Maduro non intende affatto rassegnare le proprie dimissioni. Gli spazi per l’opposizione sono sempre più stringati. La violenza nel Paese è tra i più alti livelli al mondo. Tornano i fantasmi di un passato fatto anche di sequestri, torture e desaparecidos. La recessione economica nel Paese è sempre più reale. Proprio il forte abbassamento del prezzo del petrolio, di cui il Venezuela è uno dei principali produttori mondiali, ha acuito ulteriormente la crisi economica che si concretizza in una inflazione alle stelle e dunque nell’aumento dei prezzi in forma spropositata, nell’erosione degli stipendi, nel razionamento dei beni alimentari e di prima necessità in vendita. La mancanza di liquidità del Venezuela sta anche minando la “generosità” del programma di fornitura di petrolio a prezzi scontati, il cosiddetto Petrocaribe, ideato da Chavez. Sono 13 gli Stati dell’America centrale e dei Caraibi che ne fanno parte che hanno già visto tagliare la forniture di petrolio del 20% rispetto allo scorso anno: e se gli haitiani protestano per gli aumenti dei prezzi della benzina, altri governi stanno cercando un’alternativa diversificando gli investimenti o accumulando riserve valutarie nel caso di una improvvisa interruzione del programma venezuelano.

L’appoggio a Maduro appare sempre più limitato, sia sul piano interno che internazionale. L’arresto del sindaco Ledezma ha fornito una nuova occasione per chiamare la popolazione a manifestare in piazza. Non solo sulla base del nuovo appello per l’ennesima protesta, ma per la disperazione reale di molti venezuelani dettata dalla difficoltà di soddisfare i bisogni del presente, dalla paura per il futuro e, forse, dal disperato sguardo verso il recente passato del Venezuela di Chavez in cui il Paese appariva rivolto a ben altro destino.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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