Giocare è una questione di genere?

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Foto: Unsplash.com

Natale sta arrivando. È qui. Mancano poche settimane. Aprono i mercatini “tradizionali” in quasi ogni città d’Italia, si accendono le luci, gli spot radiofonici (e probabilmente anche quelli televisivi, per chi li vede in tv) pullulano di promemoria – regali, palle, musiche, addobbi, buone intenzioni. Una di queste ve la raccontiamo noi, una molto concreta, realizzabile, necessaria.

Tra i giochi più amati dai bambini e dalle bambine di tutti i tempi ci sono quei mattoncini colorati tanto famosi e tanto utili per stimolare fantasie, costruzioni di scenari, storie. Ma una ricerca ha rivelato come, tra i più piccoli, alcuni stereotipi di immagini e ruoli contenuti in uno dei giochi più famosi al mondo creino un disagio che poi, inevitabilmente, si riversa anche sui genitori. Parliamo di LEGO, l’azienda danese che qualche settimana fa ha annunciato che provvederà a rimuovere dagli elementi dei propri giocattoli qualunque stereotipo di genere: lo ha deciso dopo aver recepito e valutato i risultati di un sondaggio globale (che ha coinvolto circa 7.000 genitori e bambini e bambine tra i 6 e i 14 anni in Cina, Repubblica Ceca, Giappone, Polonia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti) commissionato al Geena Davis Institute on Gender in Media per monitorare l’andamento e il gradimento dei propri prodotti.

Da questo screening è emerso come l’attitudine al gioco e l’approccio ai futuri percorsi professionali e alle carriere sia ancora restrittivo e iniquo. Dalle ricerche emerge infatti che se le bambine stanno diventando sempre più sicure e interessate a considerare un vasto spettro di possibilità e di attività nella fase del gioco, quando crescono e diventano donne la società le imprigiona ancora in una rete di stereotipi di genere sedimentati nelle maglie delle relazioni, private e lavorative. E lo studio, che ha colto l’occasione della Giornata Internazionale per le giovani ragazze per una ricognizione sullo stato delle cose, serve anche a lanciare una nuova campagna dal programmatico titolo “Ready for girls”. Pronti per le ragazze insomma, quelle che ripensano il mondo attraverso un problem solving creativo e originale. 

I ricercatori evidenziano però anche un impellente bisogno per le società interessate dallo studio di ripensare la percezione, le azioni e le parole a supporto di un rafforzamento creativo delle personalità di tutti i bambini e le bambine. Perché se le bambine devono affrontare il gap tra le infinite possibilità di immaginare se stesse e la realtà che poi incontrano, ai bambini non va tanto meglio: il 71% dei maschi coinvolti ha espresso paura di essere preso in giro o bullizzato se scoperto a giocare con giochi descritti come “da femmina” – una paura che gli stessi genitori condividono. Non solo: i comportamenti associati ai maschi vengono valutati in modo migliore e fino a quando la società non riconoscerà ai comportamenti associati alle femmine lo stesso valore, sia genitori che figli saranno poco tentati dal manifestarli.

Già, perché lo studio ha evidenziato come i bambini vengano ancora incoraggiati a praticare sport o attività cosiddette STEM (cioè nell’ambito di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), mentre le bambine siano invece spinte alla danza, alla moda, a cucinare. Risultati che mostrano quanto ancora gli stereotipi di genere siano ingranaggi complessi e radicati in modo trasversale nelle società. Una società che alimenta la formazione di individui a cui mancheranno competenze: alle bambine quelle di sviluppare abilità di uso dello spazio, ai bambini quelle di avere confidenza con gesti di cura.

Un problema che, anche se lo studio non ha coinvolto l’Italia, come sappiamo è anche per noi elemento di quotidiane e indecenti polemiche. Basti pensare alla recente iniziativa promossa dal MUSE – Museo delle Scienze di Trento in occasione della Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Una conferenza sull’identità sessuale dal titolo “Sei sempre tu, come orientarsi tra generi e identità” per riflettere sulla dimensione individuale e soggettiva del percepirsi sessuati, esito della complessa interazione tra aspetti bio-psico-socio-culturali di ciascuno – tema che ha suscitato non poche rimostranze nell’ignoranza e nella paura generale che certi temi portano a galla.

Se dunque tradizionalmente i prodotti LEGO sono stati rivolti per lo più ai bambini, ci sono però anche proposte, come i Lego Dots o i Lego City Wildlife Rescue Camp specificamente pensate per invogliare sia i bambini che le bambine a cimentarsi nelle sfide della fantasia e ci sono azioni concrete che le aziende possono mettere in campo, come per esempio la scelta apparentemente banale ma forse non così tanto, vista la situazione, di non indicare più sulla confezione se sia un gioco “per i bambini” o “per le bambine”. I giochi sono giochi, e dovrebbero far leva sulle passioni, non sulle identità di genere.

Anche se i progressi sono lenti (il report 2020 della Fawcett Society ha mostrato come questi stereotipi contribuiscano ad alimentare disagi legati alla salute mentale e limitino la possibilità percepita di scegliere la propria carriera professionale), il nostro contributo è importante, quotidiano. Se a Natale volessimo fare un regalo a un bambino o a una bambina, che sia una confezione di mattoncini LEGO o qualche altra proposta che ne stimoli la creatività e l’immaginazione, ma che ne promuova anche lo sviluppo identitario, ricordiamocelo quando sceglieremo dagli scaffali: se l’azienda icona del mattoncino più colorato e conosciuto può fare questo passo, lo possono fare molti altri. I bambini e le bambine hanno diritto di montare e smontare il loro futuro liberi di assecondare le proprie inclinazioni e di costruirlo in serenità a loro immagine e somiglianza.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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