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Gibe III: la Banca Europea si ritira dal progetto ma non rivela gli studi
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La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) con un comunicato ufficiale ha dichiarato che "non è più coinvolta in alcun modo nel progetto della diga di Gibe 3 in Etiopia". L’istituzione ha fatto presente che, dopo aver condotto delle valutazioni preliminari dal punto di vista tecnico e sugli impatti socio-ambientali, non ha intenzione di continuare l’iter previsto per la concessione di un prestito. La Banca ha però affermato che la sua decisione non è dovuta ai risultati di questa serie di rapporti, ma solo in considerazione del fatto che “il governo etiope ha trovato fonti alternative di finanziamento”.
Commentando la decisione, la campagna 'Stop a GIBE 3' evidenzia al riguardo che la BEI che la banca era stata costretta ad elaborare studi indipendenti grazie alle forti pressioni della società civile e delle comunità locali del Lago Turkana che ritengono che la diga affamerà mezzo milione di persone in Kenya ed Etiopia. "La BEI si rifiuta però di rendere pubblici i risultati di questi studi che alcune fonti riferiscono essere negativi" - sottolinea il comunicato della Campagna che attraverso la ong italiana CBBM ha recentemente ha presentato un ricorso alle autorità competenti per rendere pubbliche le informazioni contenute in questi studi finanziati con i soldi dei cittadini europei.
“Rifiutandosi di criticare apertamente il progetto e di proporre al governo etiope progetti alternativi, la BEI dimostra di non esser capace di promuovere lo sviluppo sostenibile in Africa e di fatto ha aperto una strada in discesa all’entrata dei cinesi” - ha dichiarato Caterina Amicucci della CRBM. “Adesso ci aspettiamo che anche il ministro degli Esteri italiano prenda finalmente atto dell’inadeguatezza di Gibe 3 e che di conseguenza la nostra cooperazione non stacchi nessun assegno plurimilionario per l’opera, come invece era stato fatto nel 2004 per Gibe 2 con un prestito di ben 220 milioni di euro” - ha concluso la Amicucci.
La centrale idroelettrica Gibe 2 è stata inaugurata a inizio 2010 proprio alla presenza del ministro Frattini, ma ha sospeso le attività due settimane dopo a causa di un crollo di una parte del tunnel di collegamento. "La BEI aveva finanziato anche Gibe II affidandosi esclusivamente agli studi prodotti dal promotore" - conclude Amicucci ricordando che la costruzione di Gibe 2 e di Gibe 3 fa capo alla ditta italiana Salini.
Il mese scorso le associazioni della campagna 'Stop Gibe 3' hanno promosso un presidio davanti alla Farnesina per rinnovare la richiesta al Ministro degli Esteri, Franco Frattini, di non finanziare il progetto di centrale idroelettrica di Gibe III in Etiopia. "Dopo aver azzerato i fondi della cooperazione, il Governo intende ora finanziare la diga Gibe III in Etiopia con 250 milioni di euro. Un progetto sul quale pesano gravi irregolarità procedurali e che viene finanziato in un momento in cui viene varata una manovra finanziaria con tagli drastici alla spesa pubblica" - ricordava la nota della Campagna.
Lo scorso 6 luglio l’on. Mogherini Rebesani ha presentato un’interpellanza parlamentare urgente in merito al caso del credito d’aiuto di 250 milioni di Euro richiesto all’Italia dal Governo dell’Etiopia per la costruzione della diga Gibe 3 sul fiume Omo e ha sollecitato risposte sul crollo di Gibe 2. All'’interpellanza, rivolta al Ministro degli Affari Esteri ed al Ministro dell’Economia e delle Finanze ha risposto in aula l’On. Craxi, la quale si è limitata a confermare che l’Italia non ha ancora dato il placet definitivo al finanziamento, ma sta approfondendo alcuni dettagli dal punto di vista tecnico, socioambientale, finanziario e giuridico
La campagna 'Stop a GIBE 3' è stata lanciata lo scoro marzo dalla rete di ong europee Counter Balance, Friends of Lake Turkana, Survival International, International Rivers e la dall'italiana CRBM con una campagna internazionale e una petizione online per chiedere lo stop ai finanziamenti per la costruzione della diga di Gibe III, in Etiopia. "La diga - sostengono le Ong - metterebbe in pericolo i terreni abitati da 500mila indigeni tribali dell’Etiopia del Sud e della parte settentrionale del Kenya, la cui sicurezza alimentare dipende strettamente dalle risorse naturali e dal delicato equilibrio dell’ecosistema locale. L’ecosistema e le tradizioni culturali della Bassa Valle dell’Omo e dello stesso lago Turkana sono entrambi riconosciuti come Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, e andrebbero così persi per sempre". [GB]