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Gaza, l’ultima voce di Anas al-Sharif: “Vi affido la Palestina”
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Foto: Unsplash.com
Di Giacomo Cioni
Negli ultimi raid israeliani sono stati uccisi sei giornalisti in 24 ore, tra cui il 28enne corrispondente di Al Jazeera Anas al-Sharif. Dal 7 ottobre 2023 almeno 242 operatori dell’informazione palestinesi hanno perso la vita. Per le Nazioni Unite è l'ennesima“Grave violazione del diritto internazionale umanitario”.
L’attacco
La tenda era un piccolo rifugio di parole e immagini, piantata vicino all’ingresso principale dell’ospedale Al-Shifa di Gaza City. All’interno, telecamere pronte, computer portatili, microfoni impolverati di sabbia e un thermos di tè tiepido. Fuori, il ronzio costante dei droni. Poi, il boato: una luce bianca, un’onda di calore, l’aria che si lacera. In pochi secondi, tutto scompare.
Era la sera del 10 agosto 2025. Cinque giornalisti palestinesi di Al Jazeera – Anas al-Sharif, il cameraman Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal, Moamen Aliwa e Mohammed Qreiqeh – sono stati uccisi in un raid mirato dell’esercito israeliano. Poche ore dopo, un altro attacco ha tolto la vita a Mohammed Al-Khaldi, giovane fotoreporter freelance di vent’anni. Sei cronisti in meno di 24 ore.
Il contesto e le accuse
Le forze israeliane hanno rivendicato l’operazione contro al-Sharif, accusandolo di essere il capo di una cellula di Hamas responsabile di attacchi missilistici. Accuse respinte da Al Jazeera e dalle organizzazioni per i diritti umani, che le considerano prive di fondamento e finalizzate a giustificare l’eliminazione di chi documenta il conflitto dall’interno. Dal 7 ottobre 2023, almeno 242 operatori dell’informazione palestinesi sono stati uccisi. Con i giornalisti stranieri esclusi dalla Striscia, la narrazione della guerra si regge quasi interamente sui cronisti locali, i più esposti alla violenza del conflitto.
L’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha condannato l’attacco definendolo “grave violazione del diritto internazionale umanitario” e chiedendo “accesso immediato, sicuro e senza ostacoli a Gaza per tutti i giornalisti”.
Un bersaglio annunciato
Anas al-Sharif lo sapeva. Da mesi era nel mirino dell’IDF e oggetto di campagne di delegittimazione. Il 6 aprile 2025 aveva scritto un post su X che oggi suona come un lascito, un’eredità morale.
Il testamento integrale di Anas al-Sharif
“Questa è la mia volontà e il mio messaggio finale. Se queste parole vi giungono, sappiate che Israele è riuscito a uccidermi e a mettere a tacere la mia voce.Allah sa che ho dedicato ogni sforzo e tutte le mie forze per essere un sostegno e una voce per il mio popolo, fin da quando ho aperto gli occhi alla vita nei vicoli e nelle strade del campo profughi di Jabalia. La mia speranza era che Allah prolungasse la mia vita così da poter tornare con la mia famiglia e i miei cari nella nostra città natale di Asqalan (Al-Majdal) occupata. Ma la sua volontà è venuta prima, e il suo decreto è definitivo.
Ho vissuto il dolore in ogni suo dettaglio, ho assaporato la sofferenza e la perdita molte volte, eppure non ho mai esitato a trasmettere la verità così com'è, senza distorsioni o falsificazioni, affinché Allah possa testimoniare contro coloro che sono rimasti in silenzio, coloro che hanno accettato la nostra uccisione, coloro che ci hanno soffocato il respiro e i cui cuori sono rimasti insensibili ai resti sparsi dei nostri bambini e delle nostre donne, senza fare nulla per fermare il massacro che il nostro popolo ha affrontato per più di un anno e mezzo.
Vi affido la Palestina, il gioiello della corona del mondo musulmano, il cuore pulsante di ogni persona libera in questo mondo. Vi affido la sua gente, i suoi figli innocenti e ingiusti che non hanno mai avuto il tempo di sognare o di vivere in sicurezza e pace. I loro corpi puri sono stati schiacciati sotto migliaia di tonnellate di bombe e missili israeliani, fatti a pezzi e sparsi lungo i muri. Vi esorto a non lasciare che le catene vi riducano al silenzio, né che i confini vi limitino. Siate ponti verso la liberazione della terra e del suo popolo, finché il sole della dignità e della libertà non sorgerà sulla nostra patria rubata.
Vi affido affinché vi prendiate cura della mia famiglia. Vi affido la mia amata figlia Sham, la luce dei miei occhi, che non ho mai avuto la possibilità di veder crescere come avevo sognato. Vi affido il mio amato figlio Salah, che avrei voluto sostenere e accompagnare per tutta la vita finché non fosse diventato abbastanza forte da portare il mio fardello e continuare la missione. Vi affido la mia amata madre, le cui preghiere benedette mi hanno portato dove sono, le cui suppliche sono state la mia fortezza e la cui luce ha guidato il mio cammino. Prego che Allah le conceda la forza e la ricompensi per conto mio con la migliore delle ricompense. Vi affido anche la mia compagna di una vita, la mia amata moglie, Umm Salah, dalla quale la guerra mi ha separato per lunghi giorni e mesi. Eppure è rimasta fedele al nostro legame, salda come il tronco di un ulivo che non si piega, paziente, fiduciosa in Allah, e ha portato la responsabilità in mia assenza con tutta la sua forza e fede”.
L’eredità
Per Gaza, Anas al-Sharif non era solo un reporter: era un occhio vigile tra le macerie, una voce capace di trasformare la paura in cronaca, la disperazione in testimonianza. Le sue immagini e le sue parole erano ponti verso il mondo esterno, in un tempo in cui ogni ponte viene demolito. Il suo messaggio finale è già diventato un manifesto per associazioni per la libertà di stampa e difensori dei diritti umani. In un contesto di bombardamenti e silenzio imposto, richiama il mondo a farsi “ponte verso la liberazione” e a proteggere chi, con una telecamera o un taccuino, continua a raccontare.
Il quadro politico e internazionale
La morte di al-Sharif si aggiunge a una lista tragica che include Shireen Abu Akleh, Yaser Murtaja, Roshdi Sarraj e decine di altri reporter palestinesi uccisi negli ultimi anni. Nonostante le condanne internazionali, nessuna indagine indipendente ha mai portato a processi o responsabilità riconosciute. La mancanza di accesso per la stampa internazionale, unita alla sistematica eliminazione di reporter locali, sta di fatto oscurando la realtà di Gaza agli occhi del mondo. La comunità internazionale, pur tra dichiarazioni di principio e appelli formali, non ha imposto misure vincolanti per proteggere i giornalisti in zone di conflitto.
In questo vuoto di protezione e giustizia, il testamento di Anas al-Sharif diventa non solo un documento personale, ma un atto d’accusa e una richiesta di impegno che travalica confini, ideologie e religioni.






