Fila la lana, rispetta la terra!

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In sincronia con i tempi, e in particolare con il tempo freddo dell’inverno, oggi vi parliamo di indumenti in lana. Come molti sanno, la lana, in particolare la lana merino, garantisce ai capi prestazioni molto elevate in termini di mantenimento della temperatura corporea ed elevata traspirabilità, e per questo si dimostra adatta a essere indossata anche durante stagioni più calde. Non fosse che… i capi in lana portano con sé anche qualche dubbio in relazione alla propria etica e sostenibilità, specialmente per quanto riguarda la provenienza della materia prima, il trattamento degli animali e la gestione del territorio. Si tratta quindi di un materiale prezioso e dalle molte virtù, a rischio però di compromettere, se ottenuto da una catena di produzione che non sia verificabile e che non rispetti adeguati standard, non solo i benefici che offre ma anche la sua stessa “acquistabilità” da parte di quei consumatori responsabili che di un capo guardano anche la sostanza, non solo la forma.

La soluzione più radicale e drastica è senz’altro quella di dismettere i capi tessuti con fibre di origine animale e utilizzati a scopo commerciale: è la scelta messa in atto da vegani e attivisti animalisti quando decidono di evitare direttamente di indossare capi che prevedano l'impiego di derivati animali. Un dubbio che proviamo a sollevare è che questa non sia però sempre la soluzione più responsabile, quella che possa cambiare realmente le cose. Puntare sulla speranza che tutti rinuncino a una domanda di un certo tipo, davanti a un mercato che ci bombarda con ammalianti offerte a basso costo senza garantirci tuttavia qualità e tracciabilità, non è forse così sensato come potrebbe sembrare.

Un’alternativa potrebbe essere piuttosto quella di favorire, insieme alla riduzione degli acquisti “non vegan”, un rapporto produttore - consumatore più trasparente, premiando quelle aziende che si impegnano a garantire standard non solo minimi, ma decisamente elevati, per la vendita dei propri prodotti, anche se di origine animale. Perché la strada verso lo sviluppo di un moderno standard morale per il trattamento etico degli animali è ancora lunga da percorrere, e non per tutti va bene arrivare direttamente alla mèta. Occorre accompagnare i consumatori lungo un percorso impervio, che li convinca ad abbandonare cattive abitudini e ad adottarne di nuove. Se nel corso del XX secolo la società ha riservato agli animali da allevamento un trattamento via via sempre più brutale (recinzione e trasporto in spazi ridotti e malsani, somministrazione sconsiderata di ormoni e antibiotici, etc.), la coscienza collettiva si sta muovendo (lentamente, non ci illudiamo) verso un nuovo orizzonte, fatto di rispetto e attenzioni un tempo assenti. Quelle che governano le scelte aziendali e comportamentali di molte persone sono ancora abitudini profondamente radicate nel prodotto di secoli legati a un certo tipo di cultura basata sullo sfruttamento dell’animale a proprio uso e consumo.

E’ dunque possibile favorire un cambiamento in direzione opposta?

Diciamo di sì, e da parte nostra il contributo fondamentale risiede nella capacità di premiare realtà e aziende che tutelano standard dignitosi. Se parliamo della lana, pensiamo ad esempio alla gestione olistica dei pascoli, con lo scopo di contribuire da un lato al ripristino di territori degradati e dall’altro al mantenimento di una secolare cultura che in alcune regioni, in Italia come in Europa e nel mondo, sono basate su una tradizione che potremmo chiamare “del ranch. All’interno di questo quadro è prezioso il consulto con esperti nell'ambito del benessere animale, che promuova sia l’impegno degli allevatori (che possiedono sia la terra che gli animali), sia la formazione e la sensibilizzazione della manodopera per una gestione responsabile, sia la necessaria condivisione di vincoli che mettano in luce in maniera chiara eventuali inadempienze e criticità. D’altro canto non va trascurata la cura del territorio, con specifica attenzione alla tutela della biodiversità, all’utilizzo del suolo e di pesticidi e fertilizzanti, senza dimenticare, ovviamente, il rispetto per gli animali coinvolti nella filiera produttiva che, ad esempio, non devono essere alimentati con ormoni o antibiotici, né essere sottoposti alla dolorosa pratica del mulesing (l'asportazione di alcune porzioni di carne dal fondoschiena dell'animale) solitamente causata dall’insediamento di un moscone parassita.

Non sono evidentemente solo buone intenzioni: nel 2014 nasce il Responsible Wool Standard, standard globale, volontario e indipendente che certifica il benessere di animali e ambiente nella produzione della lana. Spesso infatti le aziende non investono sull’informazione e sulla tracciabilità delle materie utilizzate per la produzione dei propri capi e ancor più spesso non vogliono sapere a quali trattamenti crudeli e degradanti siano sottoposti gli animali da cui una parte dei propri prodotti derivano. Che anche in questo caso l’avamposto della denuncia lo occupi PETA, una delle più agguerrite e combattive organizzazioni animaliste americane, per alcuni troppo aggressiva nei toni scandalistici e dalle attitudini non proprio volte alla promozione del dialogo, non deve spingerci a evitare di affrontare l’argomento. Sappiamo bene infatti quanto sia facile relegare accuse pesanti e scomode nell’angolo delle esagerazioni, nell’ottica di una convenienza che si nutre della sofferenza di animali, territori e comunità coinvolti. Per questo dobbiamo rimanere vigili. E non solo per un principio etico-morale legato al rispetto della vita nelle sue diverse forme ed espressioni, ma anche per ragioni propriamente economiche: minare alle fondamenta un ordine costituito che mira a proporre indefinitamente prodotti scadenti e insanguinati a prezzi concorrenziali e vantaggiosi va bene, ma occorre che quest’azione vada di pari passo con la salvaguardia di reti sociali, lavorative e territoriali intessute dalla filiera produttiva.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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