Fertility day: genitori per scelta o per dovere?

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La vicenda è nota, sarà che ha avuto una risonanza enorme, ben oltre ciò che lo stesso Ministero della Salute potesse prevedere. Peccato (o per fortuna) che il tono delle reazioni sia andato in direzione diametralmente opposta a quanto previsto dalla Ministra Lorenzin e relativo entourage. Reazioni sdegnate si sono infatti levate all’unisono sui social media e sulla stampa, tanto che la campagna è stata prontamente ritirata ed oscurato il sito internet appositamente creato. Il tutto a poche ore dal lancio della campagna. Una campagna dai contenuti sessisti, patriarcali, intrisi di nazionalismo e rimandi, neanche troppo velati, a nefaste fascistissime memorie di medaglie d'onore per le madri di famiglie numerose. Fate figli per il bene della Patria, perché l’Italia è a crescita zero e chi lo pagherà il welfare di domani? Di dare la cittadinanza ai figli dei non-italiani non se ne parla proprio, non sarete mica matti? Mica sono italiani, anche se sono nati sull’italico suolo e la lingua dei genitori la masticano appena…

Slogan così di cattivo gusto da far pensare ad una delle innumerevoli bufale che girano sul web. Ma a volte la realtà supera la fantasia: ”Genitori giovani. Il modo migliore per essere creativi”: cosa c’è di più creativo e originale di fare un figlio (e poi…uno solo? non vorrete mica crescere un egocentrico e viziato figlio unico)? Certo, nel paese dell’Ocse con il record di Neet, i giovani che non studiano né lavorano (oltre un terzo dei 20-24enni), cos’altro puoi fare per non annoiarti? Come poi allevi la creatura sono affari tuoi, e comunque se non studi e non lavori il tempo da dedicare alla cura del bebè di certo non ti manca…E poi la cartolina con la clessidra, il tempo passa, l’orologio biologico ed il suo rapido ticchettio: “la bellezza non ha età, la fertilità sì”. Dunque passata l’età fertile servi a poco, donna, se prima eri un involucro buono ad incubare figli per la patria ora non servi a nulla.

E’ una campagna ideologica quella del Ministero della Salute, che poco o niente ha a che vedere con la salute e molto afferma invece sul piano simbolico e culturale. E neanche troppo celati sono i suoi veri scopi: il Piano Nazionale per la fertilità, documento ufficiale del Ministero, riporta infatti tra gli obiettivi quello di “Operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la Fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione” e ancora “Celebrare  questa  rivoluzione  culturale istituendo il “Fertility Day”,  Giornata Nazionale di informazione e formazione sulla Fertilità, dove la parola d’ordine sarà scoprire il Prestigio della Maternità”.

Fertilità come bisogno essenziale? Rivoluzione culturale? Prestigio della maternità? Se non fossero reali, sembrerebbero slogan usciti da un romanzo distopico.

La visione ministeriale è che fertilità e genitorialità siano sempre ed essenzialmente legate alla donna in quanto madre, mentre il padre è solo una meteora di cui poche volte ci si ricorda. Basti pensare che, come riportato dall’ottimo blog NarrAzioni Differenti, nel Piano Nazionale per la fertilità “la parola maternità appare 58 volte, la parola genitorialità 12 e paternità compare appena 9 volte. La parola donna si ritrova 109 volte nel testo contro 28 uomo”.

Parla efficacemente di “pubblicità regresso” Ida Dominijanni su Internazionale, e punta il dito contro le critiche alla campagna basate sull’aspetto economico: è vero che la società invecchia, la disoccupazione avanza, non ci sono politiche di sostegno e sempre più coppie rimandano la genitorialità o decidono di non avere figli. Ma è interessante chiedersi se siano queste le vere e uniche ragioni per cui si decide di non avere o avere meno figli. Questa “auto-vittimizzazione economica”, come la definisce Dominijanni, è davvero l’unica ragione per la bassa natalità del paese? Non si dovrebbe invece ripartire dalla considerazione della genitorialità come una possibilità, legata al desiderio, alla libertà di scegliere se procreare o meno a seconda delle proprie inclinazioni, aspirazioni, voglie? Pensiamo inoltre che una vasta quantità di ricerche scientifiche ha documentato la correlazione negativa esistente tra tasso di istruzione e fecondità: insomma, in linea di massima, più studi e meno (e più tardi) ti riproduci. Senza contare l’ottusità ministeriale nel vedere la natalità come un fenomeno da considerare in termini nazionali, quando invece, se analizzato sul piano globale, il problema è esattamente l’opposto: sovrappopolazione e distribuzione diseguale delle risorse, altro che natalità zero, e politiche migratorie che prevengono in tutti i modi la possibilità di ringiovanire le anziane società occidentali, arroccate su se stesse e sulla difesa dei propri “valori”.

Sembra ancora lunga la strada verso l’accettazione culturale e sociale dell’autonomia e libertà di decisione delle donne riguardo alle scelte procreative. La fertilità non è un bene comune, come vorrebbero i retrogradi slogan ministeriali, ma una possibilità dettata dalla libertà di scelta.

Michela Giovannini

Dottoressa di ricerca in sviluppo locale, è appassionata di America Latina, popoli indigeni, autogestione, lotte e resistenze politiche e sociali. Ha trascorso periodi di studio e ricerca sul campo in vari paesi. Messico e Cile sono i principali contesti in cui si sono svolte le sue ricerche, dedicate principalmente a varie tipologie di organizzazioni dell'economia sociale e solidale.

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