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Fate l’amore, ma fatelo bene!
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Fate l’amore non la guerra, si esclamava un tempo. E proprio perché quell’invito provocatorio ma efficace nel trasmettere un desiderio di un futuro migliore oggi sembrano ricordarlo in pochi, ho pensato di riutilizzarlo per il titolo di questo pezzo, con una piccola modifica. Per riflettere su una questione: vi siete mai chiesti, in un mondo sempre più attento non solo alla salute e al benessere, ma anche alla sostenibilità e al rispetto per l’ambiente, quale ruolo giochino i preservativi? Ho provato a farmi questa domanda dopo essere incappata per caso in un’idea di cui vi parlerò oggi. Ma prima vi invito a dare un’occhiata ai siti dei più comuni brand di preservativi che trovate sui banchi delle farmacie o negli scaffali dei supermercati. Visitate magari quelle delle marche che usate voi. Trovate informazioni che vi soddisfano riguardanti i materiali utilizzati, la loro provenienza, le fasi della produzione? Ho provato a fare una verifica a campione, curiosando per esempio sui portali di Durex, Akuel e Control. Indubbiamente sì, si prodigano in consigli utili all’utilizzo, indicazioni per la scelta più adatta alla personalità e alle esigenze di ognuno (compresa per esempio la linea senza lattice per soggetti allergici), notizie sulla storia del marchio e sull’attenzione per la qualità della materia e del processo di produzione (come ad esempio le rigorose verifiche meccaniche ed elettroniche volte a testarne l’affidabilità). Più o meno lo stesso spazio viene poi dedicato ai consigli per il piacere e agli avvertimenti riguardanti la salute, le gravidanze indesiderate e la prevenzione delle cosiddette STDs o STIs (Sexually Transmitted Deseases/Infections, malattie/infezioni a trasmissione sessuale), e a volte troviamo anche informazioni (non troppo approfondite a dire il vero) riguardanti il sostegno a progetti di gender equality e a ricerche sui comportamenti sessuali.
Cosa manca allora? Manca qualcosa che ci parli di sostenibilità nella filiera di uno dei prodotti probabilmente tra i più consumati al mondo e che dovrebbe interessare un consumatore attento a come si comporta e a ciò che acquista. Vi faccio allora l’esempio di un marchio che ha fatto della comunicazione in questo senso il suo cavallo di battaglia e al contempo la sua carta vincente. Si chiama Sustain, ed è stato fondato da Jeffrey Hollender e dalla figlia Meika con l’obiettivo di legare al sesso tematiche come l’equità e la giustizia e, appunto, la sostenibilità: traguardo ambizioso, che punta a “unire i puntini” che connettono i preservativi alla salute, alla povertà e al cambiamento climatico. L’azienda pone infatti l’accento non solo sulla responsabilità individuale ma anche su quella collettiva e fornisce, assieme alle informazioni più comuni che troviamo anche su altri siti, alcune preziose garanzie in più.
Veniamo allora al dunque, segnalando alcune delle particolarità di quello che i fondatori non definiscono un business, ma un movimento. A partire dalle ricadute sociali: il 10% dei profitti viene devoluto ad attività a favore della salute riproduttiva femminile, argomento al quale sul sito si dedica ampio spazio (qui), coinvolgendo anche i visitatori nelle proposte e nel dibattito.
La sfida di questa “strana coppia” (come loro stessi si definiscono) nasce dall’evidenza che moltissimi prodotti che acquistiamo nascondono una sordida storia di materie prime insanguinate e di diritti negati, che riguardano soprattutto lo sfruttamento del lavoro minorile e la distruzione degli equilibri naturali. I preservativi non sono da meno. Ecco perché è nata la volontà di produrre un profilattico all’interno di una filiera di commercio equo. Un’ampia sezione del sito è dedicata alle certificazioni ottenute, che vanno appunto da quella fair trade in riferimento sia al lattice usato (il cui livello di proteine è stato ridotto per minimizzarne i fattori allergici) sia più in generale alla compagnia (che appartiene alla rete statunitense della Fair Rubber Association), alla certificazione vegan che garantisce l’assenza di test e di prodotti di derivazione animale (è la PETA, tra le più note organizzazioni animaliste, a dare il suo beneplacito ai profilattici Sustain). A queste si aggiunge la B-Corporation, standard che assicura il rispetto delle istanze di tutti, sia degli investitori che degli altri soggetti portatori di interessi quali i lavoratori, i consumatori e l’ambiente stesso; inoltre, i preservativi non utilizzano gomma OGM e ne garantiscono la provenienza da una piantagione FSC (Forest Stewardship Council) nel sud dell’India. Se desideriamo proprio essere precisi, anche la confezione è interamente riciclabile.
E se poi vogliamo parlare di salute, i preservativi Sustain sono nitrosamine free, non contengono cioè una sostanza il cui utilizzo sia WHO che UNFPA hanno nel 2010 invitato a ridurre al minimo perché cancerogena e pericolosa non solo per gli utilizzatori, ma anche per i lavoratori in fase di produzione. A questo si aggiunge l’assenza di altre tossine chimiche contenute ad esempio nelle fragranze per mascherare gli odori, negli agenti profumanti e negli spermicidi: poca cosa si direbbe, per un prodotto che si utilizza in media per pochi minuti qualche volta alla settimana. Ma sappiamo che ogni esposizione ad agenti inquinanti o pericolosi conta, anche se minima… quindi, perché non evitarle là dove è possibile? Come gli stessi fondatori suggeriscono, questi riconoscimenti possono sembrare parecchi per un prodotto apparentemente così piccolo e semplice, ma il desiderio era esattamente quello di allineare - ed esplicitare - la corrispondenza tra i propri valori e il proprio mestiere, mantenendo la coerenza nella propria filosofia imprenditoriale.
Fortunatamente gli americani di Sustain non sono gli unici a prestare attenzione a queste tematiche: più vicini a noi troviamo gli inglesi di French Letter e l’azienda italo-tedesca di Fair Squared, fondata da Salvatore Pignataro e Oliver Gothe.
Una cosa è certa: in Italia la diffusione di questi marchi è ancora limitata e se non è facile poterli acquistare nei luoghi dove abitualmente troviamo i preservativi, non lo è nemmeno nelle botteghe del commercio equo. Online abbiamo probabilmente qualche possibilità in più. Il punto è questo: ci diciamo sempre che prima di agire l’importante è cercare di porsi le giuste domande. In questo caso le domande riguardano un oggetto estremamente piccolo in cui riponiamo, ognuno per le rispettive ragioni, enorme fiducia, conoscendo però ben poco della lunga strada che lo fa arrivare tra le nostre mani. Anni fa si era diffusa in rete un’iniziativa che invitava tutti a fare l’amore nello stesso momento come gesto di opposizione alle guerre che trasmettesse al Pianeta energia positiva. Bene, ora c’è qualcos’altro che possiamo fare. Possiamo con maggiore consapevolezza ritornare a occuparci di ciò che ci viene naturale, senza trascurare la possibilità di dare un altro significativo e più realistico contributo al benessere della Terra.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.