Fagiolini equi? Not in our name

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E' bastato un articolo su Liberazione di sabato scorso, dal titolo "I fagiolini solidali della Regione Toscana: una pessima idea" per far saltare l'instabile savoir-faire dei media nostrani. Una lettura critica sul progetto TerraEqua di COOP, sviluppato con alcune Organizzazioni Non Governative e con la collaborazione della Regione Toscana, che prevede l'importazione dal Burkina Faso di diverse centinaia di tonnellate di fagiolini, definiti dalla stessa COOP Italia come equosolidali.

Non ci dilungheremo su un'analisi dei vantaggi e degli svantaggi di progetti come TerraEqua, non abbiamo abbastanza informazioni per poter prendere una posizione, e probabilmente non crediamo sia opportuno, in questo momento, farlo.

Ci soffermeremo al contrario sugli effetti che un articolo come quello di Liberazione ha determinato, che lungi dal permettere un'apertura di uno spazio di confronto sulle questioni che poneva, come è stato per altre situazioni simili dopo i reportage usciti sul Financial Times o sull'Economist (impatto ambientale dei trasporti, impatto sulle fragili agricolture del sud del pianeta di un'economia di esportazione), è stato utilizzato strumentalmente per operazioni politiche di basso cabotaggio.

Media accreditati come il Corriere della Sera, come l'Unità, come il TG5 o il TG de LA7 (alcuni dei quali troppe volte disattenti ai temi dello sviluppo sostenibile o dell'economia solidale) hanno scelto di cavalcare la tigre della polemica, lasciando al commercio equo il ruolo di preda spartita nelle beghe tra partiti.
E' una rappresentazione che non ci interessa.

Se di Commercio equo bisogna parlare se ne parli e lo si faccia seriamente. A partire dagli oltre 4mila volontari che affollano le nostre Botteghe del Mondo, per arrivare alle decine di migliaia di produttori che assieme a noi costruiscono un'economia di giustizia. Esistono diversi modi di fare Commercio equo che, pur rispettando alcuni criteri di fondo, arrivano a sostenere modelli tra loro differenti: si colga l'occasione per parlarne, si aprano spazi per confrontarsi.
Se ne avvantaggerebbero per primi i consumatori, oltre che chi in questo settore si impegna.

Di un Equopoli dopo Vallettopoli non se ne sente il bisogno. E tanto meno si sente il bisogno di vedere usato il Commercio equo come strumento di polemica politica, di profilo discutibile e, sinceramente, di corto respiro.
Siamo disponibili a raccontarci e a raccontare, a dare voce ai nostri partner del Sud. Tutto sta nel voler ascoltare. Evitando di scadere nella banalità del pettegolezzo politico.

da Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale AGICES

Vedi anche: Greenreport

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