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Espellere chi paga il pizzo: cui prodest?
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Il 29 agosto 1991 alle ore 7 e 30 del mattino, la mafia uccideva in un agguato in via Alfieri a Palermo Libero Grassi, un imprenditore che si era ribellato al racket delle estorsioni. Nei 16 anni trascorsi tantissime commemorazioni, condite da moltissima retorica e alcuni 'buoni propositi', si sono succedute. Quest'anno, nei giorni dell'anniversario, una proposta-shock è arrivata dal direttivo regionale della sezione siciliana di Confindustria. Prima di finire nel dimenticatoio, passati alcuni giorni e il clamore mediatico, è stata al centro del dibattito ricevendo apprezzamenti ma anche critiche.
La proposta, votata formalmente dal direttivo, è quella di inserire nel codice etico dell'associazione una speciale clausola anti-racket: chi paga il pizzo verrà deferito ai probiviri e rischierà l'espulsione. La proposta ha ricevuto apprezzamenti dal presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro, da Romano Prodi e da Luca Cordero di Montezemolo. Il presidente nazionale di Confindustria si è detto pronto a sostenere, insieme con tutto il "sistema Confindustria" la proposta degli associati siciliani e a rilanciarla a livello nazionale per le sezioni di tutto il Paese.
Romano Prodi, dopo aver espresso il proprio apprezzamento per la proposta, ha invece esposto delle riserve sull'altra proposta emersa in questi giorni: l'invio dell'esercito in Sicilia per contrastare il racket. Una risposta in linea con quanto realizzato da Giorgio Napolitano nel 1998, allorquando era ministro dell'Interno di un esecutivo guidato proprio da Romano Prodi. L'attuale presidente della Repubblica decise di porre fine, dopo 5 anni e alcuni risultati importanti, all'operazione "Vespri Siciliani" con la quale l'Esercito cercò di contrastare l'offensiva mafiosa dopo le stragi del 1992 e del 1993. Romano Prodi ha preferito invece invocare "la società civile", formula quasi rituale che viene riproposta tutte le stagioni.
Dure prese di posizioni su questo punto sono venute da PeaceLink nell'ultimo anno e mezzo. Ritualmente, in occasione di commemorazioni e anniversari, dalle istituzioni politiche giungono richiami alla società civile. In un editoriale nell'anniversario della strage di Capaci per l'associazione pacifista ho denunciato che "la retorica nel giorno dell'anniversario è inutile quanto ipocrita se non associata ad un impegno serio, diffuso e costante. Proprio quello che manca nel nostro Paese" ed ho enumerato alcuni dei tanti casi nei quali le Istituzioni hanno lasciato sola la "società civile".
Ma tra le varie denunce la più dura è del dicembre scorso e stride fortemente con ogni invocazione alla "società civile" da parte di Prodi, oggi, e in altre occasioni di Napolitano. Parliamo della desolante e gravissima vicenda che in Calabria vede fronteggiarsi i DS locali e i giovani della Locride del Movimento "Ammazzateci Tutti" e di cui abbiamo parlato tempo fa su Unimondo. Nel novembre scorso l'Associazione Rita Atria, insieme ad altri movimenti e riviste antimafia, promosse un appello a Napolitano, a Prodi e a tutte le cariche istituzionali italiane. Scrissero nell'appello "quante volte abbiamo sentito esponenti della politica dire che noi della società civile dobbiamo ribellarci alle mafie. Noi siamo d'accordo, ma per ribellarci alle mafie abbiamo bisogno di affidarci a uomini di stato in cui crediamo e soprattutto abbiamo bisogno di sentirli dalla parte giusta."
Sono parole valide anche nel caso del pizzo e del rifiuto di pagare da parte dei commercianti e degli imprenditori: come si può abbandonare ulteriormente una persona già sola davanti alla violenza di un sistema di morte come la mafia? In questa direzione vanno molti dei commenti alla presa di posizione della Confindustria siciliana. La dura critica mossa è infatti quella che si rischia di lasciare, ancor più di oggi, gli imprenditori soli.
Filippo Callipo, l'imprenditore calabrese che un paio di anni fa chiese con una lettera al presidente della Repubblica la presenza dell'esercito in Calabria ha ricordato come "l'esclusione dalle associazioni di coloro che pagano il pizzo non è certo la soluzione, perché prima bisognerebbe garantire a questi imprenditori le necessarie condizioni di sicurezza. Piuttosto inviterei i miei colleghi a stare più attenti quando associano qualcuno, perché in alcuni casi si tratta di aziende in mano alla criminalità".
Secondo l'imprenditore la proposta "e' solo un'operazione di marketing. E' il solito uso di pannicelli caldi per chi è malato di una malattia grave". "Non credo - aggiunge - che ci sia un imprenditore che con gioia e allegria paghi il pizzo alla 'ndrangheta o alla mafia siciliana. Già subisce un trauma e una violenza, perché per arrivare a pagare vuol dire che ha paura. E noi lo buttiamo nelle braccia della 'ndrangheta e della mafia. Il problema - aggiunge - è un altro: bisogna stare vicino all'imprenditore che subisce queste cose e fare quadrato attorno a lui". Secondo Callipo la proposta è stata avanzata perché c'è bisogno "di fare un po' di fumo e di riguadagnare visibilità. Nessuno di quelli che hanno avanzato la proposta pensa che il problema possa essere risolto in questo modo. Non credo che un imprenditore costretto a pagare il pizzo si intimidisca se lo cacci".
Duro il commento di Umberto De Rose, presidente di Confindustria Calabria. Espellendo gli imprenditori, vittime del racket e non certo colpevoli, "si sposta di fatto il livello delle responsabilità. Sembra quasi che siano gli imprenditori che pagano il pizzo ad essere biasimabili e non lo Stato, che non riesce a garantire la sicurezza dell'industriale. Come si fa a dire a un imprenditore che già subisce una violenza che verrà isolato e cacciato dall'associazione degli industriali?". In conclusione delle sue dichiarazioni anche De Rose, così come anche Callipo si domanda: "Perché non pensiamo a espellere gli imprenditori che corrompono o colludono con la mafia? Questi sì, sono reati in cui c'è una determinazione forte da parte del soggetto".
Una tragica conferma di queste parole è arrivata proprio negli stessi giorni da Catania. Andrea De Vecchio, imprenditore edile e presidente locale dell'ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) ha subito un record difficilmente battibile: in quattro giorni ben quattro attentati intimidatori del racket. Il 28 e il 29 agosto ignoti hanno dato fuoco a due suoi automezzi in un cantiere di Catania; il 30 agosto è andato in fiamme un escavatore al lavoro in un altro cantiere a Santa Venerina, paese ad una ventina di chilometri dal capoluogo etneo, e il 31 agosto una tanica con cinque litri di benzina è stata ritrovata a Randazzo, comune nel quale la sua impresa sta realizzando opere di urbanizzazione. L'ultima intimidazione è arrivata addirittura dopo che il Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, convocato d'urgenza in Prefettura, aveva deciso di assegnargli una scorta e di fare sorvegliare tutti i suoi cantieri. I danni complessivi degli ultimi attentati ammontano a più di 300 mila euro.
Ma di attentati Andrea Vecchio ne subisce da 12 anni, quando denunciò la prima volta l'intimidazione del racket. "Prima degli ultimi quattro giorni infernali il momento più duro è stato un violento attentato nel marzo del 2006. I danni vennero limitati a soli 400 mila euro solo grazie all'intervento di due dipendenti dell'azienda che allontanarono a rischio della propria vita diversi automezzi cosparsi di benzina." L'imprenditore etneo, che ha dichiarato che comunque mai si piegherà al ricatto mafioso, ha confessato "di essersi stancato di fare l'eroe" e di aver "pensato di chiudere e di trasferirsi".
di Alessio Di Florio
Dal comitato "Addio Pizzo": La lista dei 197 commercianti/imprenditori che hanno deciso di opporsi pubblicamente al racket delle estorsioni mafiose