Epidemia

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Foto: M. Canapini

Nell’ottobre 2019 ho trascorso circa due settimane in Sierra Leone, seguendo sul campo gli operatori di Emergency che, da decenni, fronteggiano una piaga “invisibile” e costante. Non più il rullo della guerra bensì un liquido inodore e trasparente che colpisce duro, soprattutto l’infanzia. 

Nel tardo pomeriggio, quando l’ospedale di Emergency si acquieta un poco, sbuffate di vita bucano le inferriate, portando nel cortile le voci di Goderich, quartiere ricco all’estremità occidentale di Freetown. In Sierra Leone ogni anno centinaia di bambini scambiano la soda caustica per acqua, sale o zucchero, bevendola accidentalmente. Il liquido, inodore e trasparente, provoca ustioni anche molto gravi all’esofago e a tutto l’apparato digerente. Produrre sapone in casa può rivelarsi fatale per la vita dei più piccoli e quattro cartelli d’avviso, appiccicati al muro del reparto Triage, lo ripetono ogni giorno: usa la soda caustica per fare il sapone quando i figli dormono o sono a scuola o qualcuno può badare a loro. Se ingeriscono soda per sbaglio non dare olio di palma al bambino ma portalo d’urgenza all’ospedale più vicino. Il chirurgo Antonio Bruscoli, con Emergency dal 2010, abbozza due cifre e tre nomi su un foglio bianco, ripensando alla gastroscopia conclusa dieci minuti fa: “Quello della soda è un problema sociale, culturale, di disagio e povertà, oltre che fisico e sanitario. Rispecchia le condizioni di un paese che appare all’avanguardia arrivando a Freetown in aereo, per scoprir poi che il 60% della popolazione è tuttora analfabeta e la mortalità infantile è tra le più alte al mondo: malaria, malnutrizione, patologie delle vie respiratorie e infezioni gastrointestinali sono le principali cause di decesso tra i minori di cinque anni. Il 21% dei bambini sotto i 5 anni è sottopeso e, su mille bambini nati vivi, centoventi muoiono prima dei 5 anni. Nel 2018, i casi di ustione da ingestione accidentale di soda sono stati oltre settanta. Nel 2019 il numero di casi è aumentato. Contiamo dieci casi registrati, in media, al mese. Nonostante la tentata sensibilizzazione nulla è cambiato dalla prima volta che ho messo piede qui. Era il 2012. Continuare a curare i pazienti ustionati dalla soda resta una delle nostre priorità, nessun altro ospedale è in grado di offrire un servizio simile: unico e soprattutto gratuito”.

La Sierra

Leone è incastonata tra la Guinea Conakry e la Liberia, bagnata dall’Oceano Atlantico e da muri spessi di pioggia. Tanti gli avvenimenti intestini, spesso cruenti: la guerra civile, la produzione di diamanti insanguinati, i bambini soldato (di cui il 30% bambine), l’epidemia Ebola nel 2014, l’alluvione catastrofica di agosto 2017. La povertà uccide più della guerra. “Tutti quei progetti promossi da ONG sconosciute che parlano di empowerment femminile - prosegue Antonio - evidentemente non hanno mai messo piede sul campo; o se l’hanno fatto con grave disattenzione visto i problemi che comporta l’utilizzo di soda caustica all’interno delle mura domestiche”. Fatmata, una giovane venditrice di Waterloo, conscia del problema, ha smesso totalmente di fabbricare sapone in casa. Ma comprende bene la miseria di molte famiglie: “Un sacco di riso è arrivato a costare 30 euro e un pezzo di sapone 1 o 1,50 euro. Molti di noi sopravvivono proprio con 1 euro al giorno, ossia 10.000 Leones. La vita non è semplice. Basta entrare una sola volta in uno slum per capire che le donne hanno bisogno di piccole attività redditizie per tirare avanti. Come la vendita del sapone” taglia corto, incamminandosi verso l’uscita.  

Ventilatori che ruotano, flebo, mani che pettinano capigliature amiche. Darami, healt promoter, 30 anni, come ogni mattina dà man forte al reparto Triage, traducendo in dialetto temne le regole da rispettare all’interno del presidio medico. “Il mio sogno è trovare una soluzione al problema della soda. Stiamo combattendo per migliorare le cose ma il processo è lungo. Ci scontriamo spesso con la mentalità più chiusa e tradizionale del paese, a tratti retrograda. Come il fatto di preferire le cure di un country doctor, ossia uno stregone di campagna, alla medicina moderna. Guaritori che utilizzano erbe e feci di mucca per ristabilire ferite e ossa rotte. Rimedi che inevitabilmente infettano la carne e portano all’amputazione dell’arto: inutili e nocivi. Per quanto riguarda la soda il trattamento che consigliamo non è una passeggiata: dilatiamo l’esofago in via endoscopica e nei casi peggiori applichiamo la gastrostomia, ossia un tubo nello stomaco per alimentarlo quando l’esofago è chiuso. Vedi quei fili da pesca che entrano nei nasi dei bambini? - mi fa notare Darami, indicando una creatura paffuta oltre il vetro - Serve a non far chiudere del tutto l’esofago e a guidare l’endoscopia”.  

Le operation rooms vibrano in un via vai costante di infermieri, bisturi, mascherine, macchie di sangue. Il dottor Giuseppe, in OT1, visitando un bambino che ha ingurgitato soda recentemente, allarga le braccia, sconfitto ma non sorpreso: “È un’epidemia interminabile. Anche se nel villaggio capita un incidente la situazione si ripete. L’attenzione, la sensibilizzazione adeguata non ha ancora attecchito, semplicemente i locali non valutano i rischi. La soda si può acquistare facilmente in ogni negozietto del quartiere e quando le mamme, le zie, le nonne o i vicini preparano il sapone utilizzano spesso le bottiglie di coca-cola o acqua come contenitori per la soda. Inevitabile”. Alì, 4 anni, è originario di Bo, seconda città della Sierra Leone. Borbotta, sbava, tenta di deglutire, ma la lingua gonfia e le ferite in gola non glielo permettono. Nessuna parola fuoriesce dalla bocca lesionata. Solo piccolissimi lamenti e occhi che indagano la stanza bianca. Lo zio del bambino, Alì anch’esso, 22 anni, è appoggiato di spalle al muro esterno, in attesa: “Ha bevuto mezzo bicchiere di soda dai vicini. Stava giocando nel cortile e non ce ne siamo resi nemmeno conto. Siamo arrivati con l’ambulanza dopo sei ore di viaggio. L’incidente è capitato ieri mattina alle 11.00. I genitori sono già in viaggio per raggiungere Goderich”. Alì scopre ora, tramite la spiegazione di un infermiere, quanto è grave la situazione del nipote e per quanto tempo, probabilmente, si protrarrà. “Non ne ero a conoscenza - ammette - per alleviare il dolore abbiamo dato ad Alì olio di palma, carbone, anche un po' di farina, ma forse abbiamo solo peggiorato la situazione. Vomitando, i succhi gastrici hanno mescolato il tutto e corroso ulteriormente la trachea” ammette il ragazzo. Anche Sia Tolno, una bimbetta cardiopatica dai capelli scuri, ha bevuto per sbaglio qualche centilitro di soda. Ha degli occhi cosi neri e profondi da tuffarcisi dentro, una posa da donna afflitta, il fatalismo nello sguardo adulto. Dormicchia ciondolando, al letto numero 3 del reparto di Terapia Intensiva

Matthias Canapini

Matthias Canapini è nato nel 1992 a Fano. Viaggia a passo lento per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Dal 2015 ha pubblicato "Verso Est", "Eurasia Express", "Il volto dell'altro", "Terra e dissenso" (Prospero Editore) e "Il passo dell'acero rosso" (Aras Edizioni).

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