E lo sguardo sull’Ungheria di Orban diventa uno scontro tra tifoserie

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Viktor Orban orgoglioso patriota, difensore della sovranità nazionale, uomo tutto d’un pezzo e lungimirante, “il leader più amato dagli ungheresi che la storia ricordi”. Viktor Orban aggredito con ignobili politiche di ritorsione e con azioni punitive da Unione Europea e Stati Uniti perché non si adegua ai loro diktat e ne critica le trame “senza peli sulla lingua”.

Oppure Viktor Orban autoritario, populista, illiberale e minaccia per la democrazia del suo Paese e dell’Europa intera. Viktor Orban che si beffa dell’UE e dei valori sui quali si fonda, quelli di tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali, restringendo i diritti costituzionali dei propri cittadini, costringendo al silenzio i media, favorendo politiche xenofobe di nazionalismo esasperato, micce in un’Europa in crisi.

Appare davvero netta la linea che distingue la percezione della figura e dell’azione politica del Primo Ministro ungherese, Viktor Orban, dal 2010 alla sua seconda esperienza di governo. Il gioco delle parti risulta però di più ben vasta portata in quello che appare piuttosto uno scontro tra tifoserie pro e contro l’Unione Europea, e che dunque individua nelle azioni di contrasto alle direttive UE elementi di eroismo o, al contrario, un affronto allo stato di diritto e alla democrazia intesi come patrimonio comune di tutti i cittadini europei.

Dopo aver portato sui tg di mezzo mondo le immagini di centinaia di manifestanti scesi in piazza ogni sera a Budapest con gli smartphone illuminati alzati verso il cielo per protestare contro l’introduzione di una tassa sulle comunicazione on line, poi ragionevolmente ritirata, il governo ungherese non sorprende nel cercare di recuperare il pieno consenso attraverso una mossa molto popolare e da tempo assicurata. La decisione imposta alle banche operanti in Ungheria di convertire i mutui contratti dalle famiglie espressi in valuta estera in fiorini ungheresi, applicando il tasso di cambio del 7 novembre scorso, ha avuto degli effetti ben oltre quel milione e 300mila di cittadini magiari che beneficeranno dell’iniziativa. Poco prima dell’ammissione dell’Ungheria nell’UE nel maggio 2004 furono numerosi i mutui accesi in valuta straniera, soprattutto in franchi svizzeri, ma anche in euro e yen; a seguito dell’esplosione della crisi finanziaria le rate balzarono decisamente in alto dinanzi a una svalutazione del fiorino ungherese dell’80% rispetto alla moneta svizzera. Si calcola che circa mezzo milione di ungheresi siano emigrati all’estero negli ultimi 5 anni, nella speranza di guadagni maggiori che permetta loro di far fronte alle rate maggiorate dei mutui e dei prestiti in valuta estera. Da qui il provvedimento, destinato ad avere un ruolo centrale nella retorica di Orban sulla restituzione della sovranità monetaria ai cittadini e all’insegna dell’opposizione, per non dire delle “pedate”, alla Banca Centrale Europea, al Fondo Monetario Internazionale e agli altri “usurai” che strangolavano il Paese gettando in miseria gli ungheresi.

E se in ambienti europeisti non mancano critiche a questo atteggiamento che cavalca e anzi promuove i sentimenti di confronto in chiave anti-UE, nelle ultime settimane anche da Washington sono state espresse forti preoccupazioni per il piglio autoritario adottato da Budapest. Il presidente Obama si è riferito all’Ungheria, al pari all’Egitto, come esempi di Paesi nei quali “le evidenti intimidazioni e le infinite regole minacciano sempre di più la società civile”. E recentemente gli Stati Uniti hanno annullato i visti ad alcuni funzionari ungheresi, tra i quali il capo dell’Ufficio tasse e dogane con l’accusa di corruzione. Un atto svigorito con ironia dal premier ungherese che ha spiegato alla radio “Abbiamo ricevuto un documento che è un groviglio di accuse che abbiamo sentito pronunciare dai partiti d’opposizione negli ultimi quattro anni. Non è altro che carta straccia. Se non fosse in inglese, avrei pensato che l’ha scritto un partito d’opposizione”.

Se i più maliziosi leggono in questa recente attenzione della Casa Bianca per l’Ungheria una ritorsione delle disposizioni di Orban in materia bancaria, su cui anche Washington nutre forti interessi, decisamente maggiore preoccupazione desta la politica estera ungherese per gli stretti rapporti intessuti con la Russia di Putin. La complicità ritrovata dal governo ungherese di centro-destra di Fidesz con l’ex superpotenza sovietica non stupisce affatto se si considera che l’Ungheria importa proprio dalla Russia l’85% del gas e il 100% del petrolio necessari a soddisfare il 64% del fabbisogno energetico del Paese e che Mosca resta il secondo partner commerciale di Budapest, dopo l’UE. In mesi di particolare tensione tra Ucraina e Russia, eufemisticamente parlando, la proposta della costruzione di un nuovo gasdotto South Stream patrocinato dalla compagnia Gazprom, a maggioranza russa, per il trasporto del metano direttamente verso il mercato comunitario europeo attraverso il Mar Nero, ossia aggirando l’Ucraina, ha incontrato il severo “no” dell’UE. Una posizione indebolita dalla possibilità consentita pochi giorni fa dal governo ungherese che ogni compagnia energetica, pur non in possesso dell’apposito certificato operativo, possa costruire il proprio gasdotto sul suolo magiaro previa approvazione dell’Ufficio ungherese per l’energia. Alle considerazioni UE relative all’attuale scenario ucraino, con Kiev che si troverebbe esclusa dal passaggio dei gasdotti russi e dunque privata di una strategica arma di deterrenza da poter usare contro Mosca, si uniscono i timori di una forte dipendenza che si verrebbe a sviluppare da una compagnia extra-europea in un settore fondamentale come quello energetico. I tentativi della Commissione Europea di far pressione sui Paesi coinvolti nel progetto South Stream non sembrano aver trovato reali consensi. All’annuncio di Budapest di iniziare la costruzione della sezione ungherese del gasdotto della Gazprom nel prossimo semestre si somma, pressoché negli stessi giorni, la stipula di un accordo tra i Primi Ministri di Ungheria e Azerbaijan che si inquadra all’interno del piano di realizzazione dei cosiddetti Tanap e Tap, i gasdotti Trans-Anatolia e Trans-Adriatic. Appena varato in sede europea e alternativo al South Stream, il progetto mira a portare il gas dell’Azerbaijian all’Europa meridionale, dopo avere attraversato la Turchia. Un tracciato che al momento garantisce solo che l’energia azera raggiungerà la sponda sud dell’Europa. L’interposizione di Orban mira a creare le condizioni perché il gas vada dall’Europa del sud all’Europa centrale, e quindi all’Ungheria. Con i due accordi con russi e azeri, Orban dà dunque una botta al cerchio e una alla botte, strizzando l’occhio sia a Mosca che a Bruxelles.

E mentre Orban e i suoi ministri continuano a soffiare sulla minaccia dell’abbandono dell’UE, la Commissione Europea ha appena stanziato per l’Ungheria da qui al 2020 21,9 miliardi di euro a sostegno della sua crescita economica, a cui si aggiungono 3,45 miliardi di euro per lo sviluppo agricolo e 39 milioni di euro per la pesca. Il gioco delle parti continua?

Miriam Rossi

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