È di nuovo crisi in Nepal per l’embargo indiano

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Per non dimenticare il Nepal. È ancora vivo l’appello a continuare a supportare la ricostruzione del Paese dopo il terremoto che ha duramente colpito il Paese il 25 aprile scorso, riducendo in macerie interi villaggi, monasteri e le già precarie infrastrutture, causando più di 8mila morti e mezzo milione di sfollati. Le numerose raccolte fondi attivate in tutte il mondo sulla scia della tragedia, così come le iniziative culturali e sportive mirano ad unire all’obiettivo benefico il tener alta l’attenzione globale sul cosiddetto Tetto del mondo. Non si tratta solo di monitorare l’uso degli ingenti aiuti internazionali messi a disposizione per la ricostruzione, quei circa 4,4 miliardi di dollari che avevano indotto il governo a porsi l’obiettivo del 6% di crescita, stima peraltro ridotta dalla Banca Mondiale al 3,7% a causa delle difficoltà evidenti presenti sul territorio all’indomani del terremoto. Sono i processi politici e sociali del Nepal ad essere sotto attenta osservazione.

Dopo anni di discussioni e rinvii, il 16 settembre il Parlamento nepalese ha approvato la nuova costituzione nazionale che segna la trasformazione da monarchia indù a repubblica democratica federale laica. “Questo è un momento di grande orgoglio, è il giorno più felice della mia carriera politica. Abbiamo realizzato il nostro sogno”, parole dell’allora Primo Ministro del Nepal, Sushil Koirala, all’indomani del voto di adozione, giustificate dalla consapevolezza che si tratta del primo testo costituzionale nepalese scritto da rappresentanti eletti dal popolo. Era dagli accordi di pace del 2006, che hanno posto fine alla guerra civile tra forze militari nazionali e guerriglieri maoisti, che il tentativo delle diverse Assemblee costituenti era stato infruttuoso. In questo ultimo anno il processo sembrava purtroppo avviarsi nella medesima direzione, non solo perché l’emergenza dettata dalla catastrofe naturale aveva rallentato i lavori ma anche per le dure contestazioni di alcuni settori del Paese, che lamentano di non essere sufficientemente tutelati all’interno della nuova configurazione statuale: nei violenti scontri verificatisi nel sud del Nepal nei giorni precedenti all’adozione della Carta Costituzionale erano rimaste uccise 40 persone. Al pari di altri territori dell’Asia meridionale, in Nepal la popolazione è composta da più di 100 gruppi etnici e caste; alcune di queste minoranze, in particolare i tharu e i madhesi, ritengono di uscire svantaggiate dal nuovo disegno dei confini e quindi sottorappresentate in Parlamento.

La situazione interna del Paese, già minata dalla frammentazione etnica e piegata dalle difficili condizioni di vita del post-terremoto che rilevano un incremento del 3,5% della popolazione sotto la soglia della povertà estrema, è esplosa a seguito della decisione del governo indiano di attuare un embargo (non ufficiale) sui prodotti esportati in Nepal, in particolare gas, petrolio e benzina. La sospensione di tali forniture da oltre un mese sta determinando il blocco della circolazione delle auto e dei mezzi pubblici, la chiusura delle scuole, enormi difficoltà per le industrie per la riduzione dell’energia elettrica e il ritorno alla legna per cucinare e per riscaldare le case.

Adottato all’indomani dell’approvazione della nuova Costituzione nepalese, il blocco indiano delle merci appare una evidente ritorsione verso una nuova configurazione statuale che svincola totalmente il Nepal dalla monarchia indù e dall’egemonia di Delhi sul territorio. La decisione è stata ufficialmente giustificata da ragioni di sicurezza, a causa delle tensioni e delle violenze registrate nella regione meridionale del Terai. Tensioni che stanno rapidamente aggravandosi con la registrazione di aggressioni da parte della comunità madhese verso altri cittadini nepalesi, come forma di vendetta per non aver accolto le modifiche richieste alla Costituzione, e anche verso gli indiani che varcano il confine per partecipare al celebre Festival indù di Dashain. Un generale sentimento anti-indiano sta montando in Nepal, soprattutto nei confronti del Primo Ministro Narendra Modi, responsabile dell’iniziativa politica, che è stato anche oggetto di una preghiera di scherno a Pashupatinath, nel più sacro tempio indù del Nepal.

Le schermaglie politico-diplomatiche innescate dalla situazione continuano però, fortunatamente, su un piano di “reciproca comprensione” che ha indotto da una parte il governo nepalese a minimizzare l’azione di blocco dell’India per evitare uno scontro diretto, e dall’altra il corrispettivo indiano a promettere un addolcimento delle misure restrittive. Se però intanto il Nepal soppesa con attenzione la mano tesa dalla Cina, che sembra abbia offerto interventi alle infrastrutture nepalesi in cambio di un accordo di approvvigionamento da Pechino, l’India prosegue con la sua strategia per piegare le scelte politiche di Kathmandu, consapevole che il blocco dei prodotti energetici e di beni alimentari mina la sopravvivenza del Paese (privo di sbocchi al mare e confinante solo con India e Tibet). Il Nepal è collocato in una posizione geopolitica estremamente delicata: uno Stato cuscinetto tra i due giganti asiatici in continua ascesa, l’India, a cui è più legata culturalmente, e la Cina. Oltre alla posizione strategica del territorio e al “rischio” derivante da una sua eccessiva autonomia, le ingenti risorse idriche del Paese provenienti dalla catena dell’Himalaya, necessarie all’agricoltura indiana, transitano proprio attraverso quella provincia che i madhesi e i tahru rivendicano come regione autonoma e che lascerebbero gestire in piena autonomia a Delhi. Un’altra ragione di frizione indo-nepalese sta nel recente accordo tra Cina e India per l’apertura di rotte commerciali che passano per il Tibet e per il Nepal, stipulato senza avvertire Kathmandu e bloccato proprio dal governo nepalese che ha rivendicato la sovranità sul suo territorio.

Proprio negli ultimi giorni sembrano esserci i primi segnali di miglioramento: con l’avvicendamento di KP Sharma Oli a Primo Ministro nepalese, è giunta la promessa di rivedere alcune parti della Costituzione contestate dalle minoranze del sud del Paese; anche il blocco indiano delle merci pare si stia affievolendo e l’elezione parlamentare di Bidya Bhandari a Presidente del Nepal, battagliera sostenitrice dei diritti delle donne, appare un segnale di forte cambiamento per la tradizionalista società nepalese. È evidente che in ballo c’è l’intero equilibrio del sub-continente indiano e i rapporti con il vicino cinese: una posta in gioco che sarà sempre troppo alta per l’India per rispettare la sovranità popolare del piccolo Stato nepalese?

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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