Droga: il "Triangolo d’oro" mondiale...

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È comunemente chiamato il “Triangolo d’oro”, ed è un’area al confine fra Myanmar, Laos e Thailandia dedita alla produzione di droga, tanto da essere considerata la fonte principale della produzione di oppio, eroina e metanfetamina di tutto il mercato asiatico, seconda per importanza e dimensione solo alla “Mezzaluna d’oro” dell’Afghanistan. La Cina è diventato negli anni un importante mercato per i signori della droga del “Triangolo d’oro” visto che un rapporto pubblicato nel 2015 dal governo di Pechino ha ricondotto “il 90% delle 9,3 tonnellate di eroina e le 11,4 tonnellate di metanfetamina sequestrate nel 2014” a questa regione, confinante con la provincia meridionale cinese dello Yunnan. A 12 mesi da quel primo rapporto poco sembra essere cambiato in quest’area del sud est asiatico e a quanto pare “il Triangolo d’oro continua ad essere per la Cina la regione più pericolosa in tema di produzione di stupefacenti”.

A dispetto degli sforzi messi in campo dall’esecutivo cinese per fermare il narcotraffico lungo il confine, alimentato da gruppi criminali e bande ribelli armate, il commercio rimane ancora “d’oro”. Lo scorso anno l’uso di droghe sintetiche come metanfetamine e ketamine in Cina ha superato in diffusione e popolarità quello dell’eroina. Ad oggi in Cina vi sono almeno 3 milioni di tossicodipendenti certificati che risultano essere sempre più giovani e provengono dai più svariati ambiti sociali ed economici. Ma il problema va ben oltre la Cina. Già nel 2013 un rapporto del Dipartimento per la droga e il crimine delle Nazioni Unite (UNODOC) riferiva che “il Triangolo d’oro copre almeno il 18% della coltivazione e vendita mondiale di oppio” ed è di questi giorni la notizia che in Laos sempre più donne vengono sfruttate per il traffico di stupefacenti perché, secondo i signori della droga, si mescolano con maggiore facilità nella folla e passano più inosservate ai controlli rispetto agli uomini.

Ad oggi non vi sono ancora cifre ufficiali, ma secondo alti funzionari della polizia del Laos vi è un “forte e preoccupante aumento di arresti fra le donne per reati legati al narcotraffico", in particolare di anfetamine. La maggior parte delle donne arrestate ha oggi un’età compresa fra i 30 e i 50 anni, spesso è in stato interessante e proviene dalle aree abitate principalmente da minoranze etniche. Solo nella provincia centrale di Bolikhamsay, nelle scorse settimane, la polizia ha arrestato un centinaio di donne per possesso e traffico di stupefacenti: “Le donne si trasformano in corrieri - hanno spiegato i poliziotti - perché sembrano andare per i fatti propri, passando il più delle volte inosservate”. Non solo corrieri, aggiunge la fonte di polizia, visto che fra le persone fermate ci sono sempre più spesso un “numero cospicuo di rivenditrici e di spacciatrici”. Pur crescendo in maniera progressiva in questi ultimi anni, il fenomeno è passato quasi sotto silenzio fino a poco tempo fa, ma è sempre più evidente anche alla polizia che “per molte donne è difficile stare lontane dal traffico illegale, perché provengono da famiglie povere, e spesso vengono sfruttate”.

Per contrastare il fenomeno del narcotraffico, il Primo Ministro del Laos Thongloun Sisoulith ha promosso di recente una campagna di sensibilizzazione in cui invita i concittadini a combattere contro l’uso e lo spaccio di droga. Lo scorso mese il premier ha dato di persona alle fiamme un carico di droga sequestrato dalle autorità che contava 4,3 milioni di dosi tra anfetamine, cannabis e metanfetamine, oltre ad altre droghe sintetiche. Egli ha definito il traffico “un ostacolo allo sviluppo sociale ed economico” della nazione, oltre che una risorsa importante “per il crimine e la corruzione” che si traduce con un tasso sempre più elevato di arresti per droga non solo in Laos. Anche in Thailandia si registra una crescita esponenziale di arresti di donne di origine laotiana, tanto che diverse fonti giornalistiche parlano di un numero di prigioniere del Laos nelle prigioni thailandesi pari a 1.352 unità. Un dato superiore ad altre nazioni dell’area, considerando che le detenute birmane sono 581 e quelle cambogiane 552. 

Quello che accade in Laos sembra rispecchiare un trend mondiale che non ha preferenze di genere ed è stato messo nero su bianco nel documento finale sottoscritto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite 2016 (UNGASS) lo scorso aprile con un'esortazione a tutti i paesi a “prevenire e contrastare” il crimine collegato alla droga, cercando di annientare “coltivazione, produzione, manifattura e traffico illeciti” di cocaina, eroina, metanfetamina e altre sostanze vietate dalle leggi internazionali. Il documento riafferma anche l’impegno dell’ONU a “ridurre l’offerta e [raggiungere l’obiettivo] con ogni mezzo possibile”. Eppure, sempre secondo i dati dell’ONU, l’approccio utilizzato finora nella lotta al narcotraffico è stato un fallimento di proporzioni epiche. Lo scorso maggio, sempre l’UNODOC, ha pubblicato il World Drug Report del 2015, nel quale si legge che nonostante i miliardi di dollari spesi per sradicare raccolti illeciti, sequestrare carichi di droga e arrestare i trafficanti, “il numero di persone che fanno uso di droghe è il più alto di sempre”. Secondo i dati contenuti nel rapporto, “246 milioni di persone in tutto il mondo - una su 20 tra i 15 e i 64 anni - hanno fatto uso di droga nel corso del 2013, un aumento di 3 milioni rispetto all'anno precedente”. E ancora più allarmante è il fatto che nel rapporto 27 milioni di persone siano state classificate come “tossicodipendenti problematici”, dei quali soltanto uno su sei ha avuto accesso a un trattamento per la dipendenza.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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