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Dossier - Il sogno del “Grande Israele” e la guerra su più fronti
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Foto: Unsplash.com
di Giacomo Cioni
Appare sempre più costoso e lunare il sogno del “Grande Israele”, un progetto politico e ideologico che affonda le sue radici tanto nelle Scritture quanto nella tradizione sionista moderna. A coltivarlo è oggi soprattutto una parte dell’estrema destra israeliana, che lo immagina come l’orizzonte ultimo della politica nazionale: un Israele esteso ben oltre i confini del 1948, comprendente i territori biblici descritti nel Libro dei Numeri, ovvero l’attuale Israele, la Palestina, parti della Giordania, del Libano e della Siria fino a Damasco.
Questo disegno, di chiara matrice teologico-escatologica, ha avuto nei decenni un peso decisivo sulla formazione e lo sviluppo dello Stato ebraico: dal Programma di Basilea del 1897, quando il movimento sionista guidato da Theodor Herzl proclamava l’obiettivo di “una sede nazionale per il popolo ebraico in Palestina”, alla Nakba del 1948, la “catastrofe” palestinese con l’espulsione di oltre 700.000 persone, fino alla Naksa del 1967, l’occupazione israeliana di Cisgiordania e Gaza, preludio all’attuale sistema di apartheid e colonialismo d’insediamento.
Oggi, questo mito politico ha conseguenze tangibili: sta isolando Israele sulla scena internazionale, compromettendone la legittimità, incrinando gli Accordi di Abramo e polarizzando ulteriormente il mondo arabo. Sta inoltre protraendo una guerra multi-frontale, a tratti indecifrabile negli obiettivi e nello status finale, costata sinora oltre 88 miliardi di dollari, logorante lo strumento militare e contestata persino dai vertici dell’intelligence, dallo Stato maggiore della difesa e dal capo del Mossad. Questi, nelle ultime fasi, si sono detti contrari a subordinare le priorità strategiche a una battaglia ideologico-politica e di sopravvivenza personale per Netanyahu e la sua coalizione.
Questo dossier parte da una premessa: per comprendere la portata e le contraddizioni del sogno del Grande Israele, è necessario guardare a come Israele stia agendo, simultaneamente, su ciascun fronte della sua proiezione militare e politica. Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, Iran, Yemen e la diplomazia internazionale diventano così capitoli di un’unica narrazione, che mostra come le vittorie tattiche stiano progressivamente traducendosi in un rovescio strategico.
L’analisi dei diversi fronti mostra un filo rosso: l’idea del Grande Israele si scontra con la realtà di un conflitto permanente, logorante e costoso. Le vittorie tattiche – dai raid in Siria alla supremazia tecnologica a Gaza – non si traducono in successi strategici. Come accadde agli Stati Uniti in Vietnam, Israele rischia di vincere le battaglie ma perdere la guerra più ampia: quella per la legittimità internazionale, la stabilità interna e la sostenibilità economica. Il sogno biblico di un Israele esteso “dal Nilo all’Eufrate” si rivela, nel 2025, una trappola geopolitica che isola il Paese, ne indebolisce la coesione sociale e lo espone a un futuro di conflitti senza fine...