Disabili e mobilità europea: una storia in costruzione

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Negli ultimi anni è stato più volte riconosciuto che il programma Erasmus ha e sta salvando l’Europa. Giovani di tutta l’Unione che si conoscono e studiano insieme attivando relazioni ed esperienze che diversamente sarebbero potuto essere costruite. Da ex studentessa erasmus non posso che ricordare, a distanza di più di 15 anni, quanto quel “soggiorno all’estero” è stato determinante per la mia crescita personale e professionale, pur senza averne allora diretta consapevolezza. Ciò è senz’altro vero anche per le analoghe esperienze di giovani disabili europei (a livello fisico, cognitivo e sensoriale), coinvolti in esperienze di studio o di tirocinio in Europa con l’intento di favorire l’apprendimento continuo attraverso un’esperienza all’estero. Non sono soltanto gli universitari a muoversi per l’Europa ma chiunque frequenti una scuola professionalizzante o il liceo, lavori, abbia un bisogno speciale o una situazione economica disagiata. I numeri dei giovani disabili “in movimento” transnazionale in Europa sono in crescita: 709 dal 2014 al 2017, mentre restano più bassi quelli di adulti disabili partiti per l’erasmus negli stessi anni: 180, un numero che include sia studenti delle superiori sia insegnanti, educatori o altro tipo di personale disabile. Tutte esperienze che mirano ad abbassare il livello di abbandono scolastico, a migliorare la conoscenza delle lingue straniere, ad aumentare le competenze personali e professionali, a preparare al mondo del lavoro e a sviluppare maggiore autonomia e soprattutto a conoscere altre culture, altre comunità, altri modi di fare.

Ecco alcune delle loro storie.

Sofia Riccaboni, di 42 anni, è appena partita per 6 mesi per la Polonia cogliendo la sfida lanciata dal figlio di 22 anni. Dopo essersi laureata di recente in Scienze della formazione e dell’educazione, è iscritta all’Università di Bologna a Scienze della formazione e della consulenza pedagogica nelle organizzazioni, ha 3 figli ed è affetta da distrofia muscolare che la costringe a muoversi in carrozzina. Una condizione che non l’ha affatto scoraggiata: lei e la figlia più piccola di 8 anni trascorreranno un semestre a Cracovia non solo per seguire le lezioni dell’Uniwersytet Jagiellonski, ma anche per realizzare una guida sull’accessibilità della città per un disabile, progetto che la donna porta avanti da tempo in un suo blog “mammahalerotelle.comper sensibilizzare sul tema del turismo e della mobilità senza barriere.

Anche Ewelina Adamczyk è affetta da distrofia muscolare. Frequenta la facoltà di Architettura all’Università di Roma Treha 24 anni e da quando ne ha 15 le hanno diagnosticato la malattia degenerativa che in pochi anni l’ha costretta su una sedia a rotelle. È riuscita però a non farsi bloccare dalla malattia, ad affrontare la carriera universitaria e anche a organizzare il suo erasmus all’estero. La sua principale preoccupazione, ossia quella di trovare assistenza adeguata 24 ore su 24 senza gravare eccessivamente a livello economico sulla sua famiglia, è stata fugata allorché la giovane ha compreso che il programma di scambio europeo prevede dei fondi aggiuntivi per permettere l’esperienza anche a disabili o a chiunque altro abbia bisogno di assistenza. Un’altra cosa ha scoperto: in Polonia, Paese di origine dei suoi genitoriil senso di comunità interna al campus è molto forte, diverso dall’Italia, una situazione che, dice, la fa sentire accolta e le consente di accrescere anche le competenze nel suo settore di formazione, grazie al continuo confronto con gli altri studenti.

Esperienza diversa ma che cade sempre nell’ambito di uno scambio di mobilità europea quella di Matteo, Giada e Morena, alcuni degli 80 studenti del progetto “Tnt 2020”, promosso dal Centro di servizio per il volontariato di Rimini. La loro particolarità? Essere giovani con bisogni speciali, quali disabilità o disturbi dell’apprendimento (ma anche a rischio di emarginazione sociale). In questo caso la partenza è prevista a gruppetti e con alcuni accompagnatori con una accoglienza che va da enti di formazione professionale e del terzo settore, a soluzioni abitative familiari o alberghiere. Probabilmente una delle principali difficoltà sta nel rassicurare i genitori dei giovani disabili intenzionati a fare l’esperienza all’estero quando generalmente il loro livello di autonomia nel Paese resta veramente limitato. Una situazione che per questo rende tali progetti determinanti nell’incidere sull’autostima, sui ricordi e dunque sulle possibilità di “emancipazione” dei più o meno giovani con disabilità dai genitori o dai consueti collaboratori vari.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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