Diritto alla pace vs. diritto alla guerra

Stampa

Quante volte in una giornata trascorsa a contatto con gli altri udiamo delle affermazioni precedute dalle fatidiche parole “ho diritto a”? Se in un recente confronto sociale erano i bambini ad “avere diritto a” una mamma e un papà, e in episodi di piccola criminalità in cui c’è stato ricorso alla forza risuona il “diritto a fare in casa propria ciò che si vuole”, così come “ha diritto a” parlare animatamente il signore in viaggio in treno o “ha diritto a” fare altro il dipendente statale assenteista. Di diritto di qualcuno a qualcosa si continua a parlare a sproposito anche quando l’espressione è priva di alcun riferimento giuridico, e sarebbe più corretto parlare nei rispettivi esempi di una giustificazione a un indirizzo politico travestito da diritto, di abuso, di maleducazione, di frode. I diritti, specie quelli “umani”, riferiti a ciascun individuo in quanto tale, sono cose ben più serie: garanzie alla libertà degli esseri umani o specifici indirizzi di azione per soddisfare i loro bisogni, tradotti in un obbligo dello Stato di non fare o di fare. Codificati in leggi o nella prassi consuetudinaria, i diritti umani non sono da confondere con i capricci del singolo.

Stesso dicasi quando il ragionamento è traslato su un piano statuale. Quante volte abbiamo udito capi di Stato o di governo asserire “il diritto a” difendersi del proprio Paese? O il diritto a prendere parte a un intervento militare per promuovere la democrazia o per schiacciare i terroristi? Un’affermazione che equivale a richiamare il diritto di uno Stato a muovere guerra ma della cui legittimità è lecito dubitare. Difatti, al pari degli individui, anche la sovranità di uno Stato non può costituire una giustificazione per far anticipare le proprie scelte da un “diritto a” operarle. Dalla fine della seconda guerra mondiale, il “diritto alla guerra” è stato infatti abolito. O meglio, nel 1945 la coalizione dei Paesi vincitori del conflitto contro le forze nazi-fasciste, le cosiddette Nazioni Unite, sottoscrisse un documento che eliminava la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, alla luce delle devastazioni che gli strumenti bellici avevano apportato sull’intero globo. Dai bombardamenti di massa, ai campi di concentramento, agli stupri di guerra e alla deflagrazione delle bombe nucleari: il diritto degli Stati di fare la guerra aveva comportato evidenti violazioni dei diritti degli uomini, primo fra tutti il diritto alla vita. Si prevedeva in ogni modo l’eccezione della legittima difesa e la possibilità di sottoporre un caso inteso come una “minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale” al neo-costituito Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’Organizzazione che dette Nazioni Unite avevano costituto sulla base dello Statuto dall’ispirazione pacifista. Si trattò di una soluzione compromissoria con la situazione contingente dei poteri, in quanto il Consiglio non risultava (ne tutt’oggi è) una struttura dalla composizione democratica con alcuni Stati membri fissi dotati di diritto di veto e altri membri presenti a rotazione, ma nient’affatto scontata: sino ad allora la guerra era stata considerata una scelta naturale, in quanto abituale, e del tutto legittima fra quelle a cui un capo di Stato poteva far ricorso per dirimere controversie o per acquisire potere e ricchezze.

È attraverso l’eliminazione del diritto alla guerra che si fa dunque strada il diritto alla pace. La messa al bando di alcuni tipi di armi e la condivisione di un primo corpo normativo per i tempi di guerra delle Conferenze dell’Aja del 1899 e 1907 avevano già segnato un passo significativo verso una limitazione del “tutto è lecito in guerra”. Un accelerante furono però senz’altro gli accadimenti della Grande Guerra che indussero, con la stipula del cosiddetto Patto Briand-Kellog del 1928, a “condannare il ricorso alla guerra per la risoluzione delle divergenze internazionali e a rinunziare a farvi ricorso come strumento di politica nazionale nelle relazioni reciproche”. Un auspicio tragicamente smentito dallo scoppio della seconda guerra mondiale.

Oggi la formulazione del diritto alla pace si individua non solo come una pausa tra una guerra e l’altra ma come la condizione necessaria per assicurare la democrazia e il rispetto dei diritti umani. Di pace interna e di pace internazionale parlerà pochi anni dopo anche la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 con la proclamazione all’articolo 28 che “ogni individuo ha diritto a un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati”. È per garantire e osservare il diritto alla pace che occorre dunque costruire un sistema di istituzioni, di relazioni e di politiche di cooperazione all’insegna della pace, piuttosto che prepararsi alla prossima guerra potenziando gli arsenali militari e coltivando sentimenti nazionalistici a difesa dell’interesse nazionale. Contraddicendo la nota massima latina “Si vis pacem, para bellum” (ossia, “se vuoi la pace, prepara la guerra”), proprio le esperienze del passato indicano chiaramente che “se vuoi la pace, prepara la pace”. Si tratta di un processo di consapevolezza in fieri, nient’affatto compiuto e ancora soggetto a cadute e ripensamenti delle strategie di attuazione, ma nondimeno di possibile realizzazione. 

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

Ultime notizie

Fumetti per la Pace, ecco il concorso Peace is Pop!

21 Settembre 2025
Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo, insieme al Piccolo Museo del Giocattolo, lanciano il contest "Peace is Pop! Fumetti per la Pace".

Mio fratello Ibrahim

20 Settembre 2025
Un pellegrinaggio sui campi da rugby italiani, con lo scopo di condividere e raccontare le capacità riabilitative, propedeutiche e inclusive della palla ovale. (Matthias Canapini) 

Il Punto - Si muore nel silenzio

19 Settembre 2025
I palestinesi sono soli, entriamo nel giorno 1.303 dall’invasione russa in Ucraina, e altrove, si muore nel silenzio dei media. (Raffaele Crocco)

La Sicilia ha sete

18 Settembre 2025
La Sicilia ha sete, e non da poco tempo. (Rita Cantalino)

L’inizio dell’offensiva terrestre israeliana e l’esodo di massa da Gaza City

17 Settembre 2025
Israele conferma che l’offensiva ha provocato un esodo senza precedenti. (Giacomo Cioni)

Video

Serbia, arriva a Bruxelles la maratona di protesta di studenti per crollo alla stazione di Novi Sad