Dimmi con chi tratti e ti dirò chi sei

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Sono tanti, troppi i simboli disseminati dalla visita di Gheddafi in Italia e a Roma per lasciarli passare come una chitarronata o, come li ha definiti il premier Berlusconi, “folclore”. Intanto, è da premettere che, come in ogni visita diplomatica, tutto è stato preventivamente concordato. Non possono dire quindi gli ambienti governativi che si sia trattato di una sorpresa.

Concordato quindi l'arruolamento, attraverso una agenzia italiana, delle 500 hostess (qualcuno malignamente ha scritto “escort”) a pagamento per una lezione di Islam e la distribuzione a tutte di una copia del Corano in italiano. Non concordata la domanda: “che fine hanno fatto i profughi eritrei detenuti in Libia?”

Parecchie sotto anonimato hanno anche detto che la condizione loro imposta era che non facessero a Gheddafi nessuna domanda “politica”. E il rais libico si è scatenato in una esaltazione – non so quanto fedele al Corano stesso – della religione mussulmana. E ha concluso prevedendo e auspicando che tutta l'Europa si converta quanto prima all'Islam.

Un inizio simbolico l'hanno offerto subito tre ragazze, che hanno indossato il velo dicendosi convertite. Rientrava nell'accordo probabilmente anche quella sceneggiata e a pagamento. Fatto sta che lo stesso don Andrea Pacini, consultore per i rapporti con i mussulmani presso il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, l'ha definita una “boutade”. Non so se ci sia già stata, ma mi aspetterei una reazione anche dal mondo mussulmano serio.

Una messinscena in cui si accredita un passaggio solo di donne alla religione mussulmana e a pagamento è un'offesa allo stesso Islam. E pure alle donne in generale. Per questo è stato rilevato con deprecazione il silenzio del ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna. E non è indifferente dal punto di vista simbolico che la lezione di stampo religioso di Gheddafi sia stata impartita a Roma, centro del cattolicesimo mondiale. Non per l'offesa al Papa, perché c'è qualcosa di più sostanzioso e serio.

Definire il tutto boutade o folclore, oltre che essere offensivo per l'Islam, sa troppo di pilatesco lavarsene le mani, perché, ripeto: tutto era concordato e pagato. Di diverso parere è il padre gesuita Samir Khalil Samir, islamologo di fama internazionale, per il quale la profezia o premonizione di Gheddafi “va presa terribilmente sul serio”. Come ha preso sul serio a suo tempo il sotteso problema il card. Martini, non per lanciare una campagna anti-islamica, ma per dire che il pericolo sta nella tiepidezza dei cristiani, che vivono “come Dio non ci fosse”.

Ma tutto questo non interessa ai ministri economici del governo, presenti assieme ad una folla di industriali (erano in mille) alla cena di lavoro con Gheddafi. Giudicano infatti la visita del dittatore libico un successo che si traduce nelle centinaia di miliardi che sorridono all'orizzonte della cooperazione con la Libia. Il ministro degli Esteri Frattini l'ha detto a chiare lettere, anche se proprio a lui Gheddafi ha messo in mano la patata bollente della richiesta di 5 miliardi di euro per continuare l'opera di contenimento dei profughi che dall'Africa premono per sbarcare in Italia e in Europa.

A questo riguardo, unico prelato ad essere invitato dall'Accademia Libica alla cena con Gheddafi, era presente anche mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e fino allo scorso maggio presidente del Consiglio per gli affari giuridici della Cei. Per sua stessa ammissione, mons. Mogavero è rimasto deluso perché avrebbe voluto chiedere a Gheddafi come vengono trattati i profughi respinti dal Mediterraneo e ammassati nei lager libici, per poi essere rispediti ai loro Paesi d'origine o abbandonati alla loro sorte nel deserto.

La cena si è protratta fino alle ore piccole, ma al vescovo è stato concesso solo di stringere la mano al leader libico per salutarlo. Tant'è vero che ha chiesto subito alle autorità competenti l'autorizzazione di poter recarsi personalmente in Libia per verificare la situazione.

Anche questo del fare affari purchessia è un simbolo. Ma non dell'Italia che vorremmo.

Vittorio Cristelli (Vita Trentina)

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