Darfur: rapiti tre operatori di Msf, preoccupazione per le sorti della regione

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Medici Senza Frontiere, in seguito al rapimento dei suoi operatori fra cui il medico italiano Mauro D’Ascanio avvenuto ieri ha deciso di ritirare tutto lo staff internazionale dai progetti in Darfur. Il ritiro dal Darfur si traduce nell’interruzione di tutti i servizi di assistenza medica nella regione e l'associazione "è estremamente preoccupata per la sorte dei colleghi rapiti e per la popolazione del Darfur che ha assistito finora". "Solo alcuni operatori strettamente necessari resteranno per seguire la vicenda dei colleghi rapiti" - riporta un comunicato dell'associazione. MSF è in Darfur dal 2003 e ha garantito assistenza a 500mila persone grazie a oltre cento operatori umanitari internazionali e con 1625 operatori locali.

Il rapimento è avvenuto ieri sera nella zona di Serif Umra, provincia sudanese del Darfur settentrionale. Anche due componenti dello staff sudanese di MSF sono stati rapiti, ma già rilasciati. Le tre persone ancora in mano ai rapitori sono un infermiere canadese, un medico italiano e un coordinatore medico francese, che lavorano per la sezione belga di MSF. Il medico italiano, Mauro D’Ascanio di 34 anni, è originario di Vicenza ha svolto in passato ha già svolto missioni umanitarie in Guinea Bissau, Messico, Brasile e Guatemala. Specializzato in medicina d’urgenza e medicina tropicale, D’Ascanio si trova in Darfur da settembre 2008 per occuparsi della gestione dell’ospedale di MSF a Serif Umra come responsabile medico e laavora per la sezione belga di Medici Senza Frontiere.

"Il rapimento degli operatori di Medici senza frontiere in Darfur è un segnale che desta grande preoccupazione" - afferma una nota di Italians for Darfur. "La dinamica del sequestro è ancora molto nebulosa" - sottolinea il presidente dell'associazione Antonella Napoli, "soprattutto su chi abbia preso in ostaggio i volontari di Msf. Sorprende che in un'area, controllata dal governo sudanese, possano scorrazzare gruppi di 'banditi' con l'audacia di sequestrare operatori umanitari impegnati in progetti vitali per la popolazione locale". "Il nostro timore che potessero verificarsi episodi a danno delle Ong presenti in Darfur - conclude Napoli - si è purtroppo concretizzato nel peggiore dei modi. Ci auguriamo che il governo di Khartoum faccia quanto possibile per recuperare i volontari di Medici senza frontiere e assicurare i criminali che hanno commesso questo vile atto alla giustizia".

Il riferimento è alla crescita della tensione nella regione a seguito del mandato d'arresto spiccato contro il presidente sudanese Omar al Bashir dalla Corte Penale Internazionale (Cpi). Al Bashir aveva subito sfidato la comunità internazionale minacciando di "espellere" gli stranieri che non rispetteranno la legge locale. In seguito 13 Ong internazionali sono state espulse tra cui due troupe di Msf. L'organizzazione aveva protestato con forza e aveva chiesto al governo di rivedere la sua posizione e di consentire a MSF di riprendere immediatamente la sua attività di assistenza medica indipendente e imparziale. Il governo di Khartoum aveva accusato le ong espulse dal Darfur di aver collaborato con la Cpi. MSF aveva più volte ribadito fermamente di essere "un'organizzazione è completamente indipendente della Corte Penale Internazionale con la quale non collabora in alcun modo".

La decisione della Corte Penale internazionale di emettere un mandato di cattura contro il presidente sudanese, Omar Al-Bashir, accusato di crimini contro l’umanità, aveva suscitato reazioni contrastanti. Da un lato, l'arcivescovo anglicano di Città del Capo e Premio Nobel per la Pace, Desmond Tutu che sottolineava come "l'ordine di arresto del presidente Omar Hassan Bashir mette i leader africani di fronte a una scelta: decidere se stanno dalla parte della giustizia o da quella dell'ingiustizia, da quella delle vittime o quella dell'oppressore". "La scelta appare ovvia, ma finora le risposte date da molti leader africani sono state vergognose. In considerazione del fatto che le vittime in Sudan sono africane, i leader africani dovrebbero essere i più strenui sostenitori di chiunque si adoperi con tenacia per assicurare alla giustizia chi ha commesso un reato. Eppure, invece di schierarsi al fianco dei molti che hanno patito e sofferto in Darfur, i capi di Stato africani finora si sono allineati all'uomo responsabile di aver trasformato quell'angolo di Africa in un cimitero a cielo aperto".

Anche padre Franco Moretti, direttore del mensile Nigrizia ha plaudito all'iniziativa sottolineando che "spiccando il mandato di cattura e invitando il mondo ad arrestarlo, la Corte penale dell’Aja sbatte il "cartellino rosso" in faccia alla comunità internazionale: la tanta sbandierata volontà di portare pace in Darfur non è più credibile". "La Corte non ha fatto altro che il suo dovere: ha raccolto prove, testimoniane ed evidenze ed ha emesso il verdetto" - affermava padre Moretti in un corsivo sul sito del mensile. "Invece, ecco che molti maître à penser si stracciano le vesti. La corte – affermano – avrebbe dovuto riflettere più attentamente sulle conseguenze del suo operato. Qualcuno s’è spinto fino al punto di affermare che un mandato di cattura internazionale dovrebbe essere spiccato contro un "tiranno" (o un colpevole) già arrestato (vedi Milosevic), così che non possa fare ritorsioni proprio contro coloro che si vuole proteggere. Ma non si era deciso di fare tutto il possibile per prevenire i crimini contro l’umanità?". "L’esame di coscienza lo dovrebbe fare la comunità internazionale, non i giudici della corte" - notava padre Moretti.

Di parere opposto il giudice Antonio Cassese, ex presidente del Tribunale dell'Aja e presidente della Commissione di inchiesta dell'Onu sul Darfur. "L'ordine di cattura della Corte penale internazionale contro il presidente sudanese Bashir è moralmente giustificato" - evidenziava Cassese. "Egli ha il pieno controllo politico e militare del paese e quindi non può ignorare le atrocità che si commettono nel Darfur. Non può non esserne responsabile, quanto meno perché ha omesso di prevenire quei crimini o di punirne gli autori. Ed è anche indubbio che quell'ordine di cattura avrà un grande impatto psicologico e mediatico e delegittimerà politicamente Bashir". "Ma, al di là di ciò, quale può esserne l'incidenza pratica? - domandava Cassese spiegando quindi come "l'emissione di quell'ordine è dunque un colpo di spada vibrato nell'acqua".

"Qual è la lezione da trarre?" - chiedeva Cassese. "Anzitutto, quando non si ha la forza di far valere i propri comandi, sarebbe saggio procedere con prudenza. "Il presidente del Sudan già da tempo ha preso misure politiche e diplomatiche per annullare gli effetti politici di quell'atto giudiziario. Tra l'altro, ha astutamente rafforzato la sua autorità in seno all'Unione africana mentre ha inasprito i suoi rapporti con l'Europa e gli Usa. Le prospettive di una cessazione dei crimini nel Darfur diventano più difficili, e una soluzione pacifica del conflitto tra il governo e i ribelli del Darfur sempre più problematica". "La giustizia internazionale non dovrebbe ostacolare soluzioni politiche di complesse crisi internazionali nell'ambito delle quali vengono perpetrati crimini gravissimi. In ogni caso, la giustizia-spettacolo va a tutti costi evitata" - concludeva Cassese. [GB]

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