Cunei sul fronte sciita

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Ho letto in questi giorni due notiziole che sui nostri quotidiani italiani meritano, se va bene, un trafiletto e sulle nostre tv nemmeno un accenno. Parlo della visita di una delegazione di un Paese tradizionalmente sciita come l’Azerbaijan in Israele e l’avvicinamento tra il leader saudita Muhammad Bin Salman (Mbs) e il vincitore delle elezioni irachene della scorsa settimana, Moqtada al-Sadr.

La delegazione dello Stato caucasico aveva come scopo la discussione della cooperazione economica con lo Stato di Israele. Guidata dal ministro delle Finanze azero, la missione è rimasta in Israele per alcuni giorni. La visita fa seguito al viaggio del premier Benjamin Netanyahu a Baku nel dicembre 2016. L’Azerbaijan è la chiave per la sicurezza energetica israeliana, poiché lo Stato ebraico importa il 40% del suo gas proprio da questa piccola Repubblica del Caucaso meridionale. Israele, da parte sua, è il principale fornitore di armi di Baku, il cui budget per la difesa supera il budget nazionale totale del suo vicino armeno, con cui è in guerra da anni, soprattutto nel Nagorno-Karabach. Inoltre non bisogna dimenticare che la piccola Repubblica dell’Asia centrale è circondata dalla Turchia a ovest e dall’Iran a sud.

La seconda notizia viene invece dai confinanti Paesi dell’Arabia Saudita e dell’Iraq. Mohammed Bin Salman, principe ereditario saudita e uomo forte a Riad, e Moqtada al Sadr, erede della dinastia irachena che Saddam Hussein tentò di sterminare e recente vincitore delle elezioni legislative in Iraq, si sono incontrati qualche mese fa in Arabia Saudita per il pellegrinaggio alla Mecca. In seguito a quell’incontro, Riad ha riallacciato le relazioni diplomatiche col vicino, nel tentativo di controbilanciare la forte influenza iraniana su Baghdad. Nelle trattative per la formazione del nuovo governo, Moqtada ha bisogno di soldi e di accordi internazionali da mettere sul piatto della bilancia. In questo senso va letto il suo allontanamento da un Iran ingombrante, presente ancora militarmente sul territorio iracheno dopo la vittoria sul Daesh, e il corrispondente spostamento verso Riad, nonostante le milizie di al-Sadr avessero attaccato in modo violentissimo, per anni, le milizie appoggiate dai sauditi.

La lettura di questi due eventi, pur limitati, è illuminante: il fronte sunnita è in effetti riuscito a compattare una coalizione atipica che vede anche Israele e Stati Uniti come alleati, più in funzione di contrastare Teheran che di appoggiare il fronte sunnita (il sacrificato in questa real politik appare il popolo palestinese). In effetti Washington e Tel Aviv avevano combattuto per anni dopo le Torri Gemelle il fronte sunnita, considerato responsabile del grande tsunami terroristico. Ma così facendo si era andato creando uno spazio atto alla crescita della presenza iraniana e sciita nella regione. Con le guerre di Siria e Iraq, e poi con la battaglia contro il Daesh, sul terreno le vittorie degli sciiti e dei suoi alleati sono state particolarmente altisonanti. Fino a riuscire a creare, almeno per qualche mese, un ipotetico “corridoio sciita” da Teheran al Mediterraneo.

Prospettiva allucinante per il mondo sunnita, sauditi in particolare, ma anche per Israele, che vede di pessimo auspicio il ricongiungimento anche geografico tra gli iraniani e i nemici acerrimi degli sciiti di Hezbollah nel sud del Libano. Trump ha rotto ogni indugio e, stracciando il trattato nucleare con Teheran, ha dichiarato aperta la guerra contro l’Iran. In questa guerra tutte le armi sono possibili, da quelle aeree (recentemente Israele ha lanciato il messaggio all’Iran di essere in grado di colpire ovunque senza essere intercettato dalle batterie antiaeree russe e iraniane, grazie ai nuovissimi F16 invisibili, o quasi, ai radar), a quelle economiche (vedi l’embargo Usa verso l’Iran che sta avvelenando le relazioni Usa-Ue) e anche a quelle diplomatiche (come i due fatti raccontati più sopra indicano).

Affare da seguire attentamente.

Michele Zanzucchi da Cittanuova.it

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