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Crisi in Usa: a Natale maxiconcerto 'Third World for Wall Street'?
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Una richiesta di aiuto al G7, ovvero alle economie più forti del mondo occidentale, per dei contributi che salvino l'economia dal disastro e per fronteggiare una situazione di emergenza. Di solito siamo abituati a sentire tali appelli partire da Paesi dell'Africa sub-sahariana sconvolti da guerre o carestie, ma oggi il mittente è la più grande economia del pianeta. L'amministrazione Bush ha proposto un piano straordinario di aiuti che sfonderebbe i mille miliardi di dollari per cercare di salvare il sistema finanziario dal tracollo, e chiesto alle altre grandi economie occidentali di dare il loro apporto.
In pratica gli Usa chiamano il resto del mondo a pagare il conto per tappare le falle del sistema selvaggio e senza controlli che hanno messo in piedi, e che ha già causato danni enormi in tutto il pianeta. L'assenza di regole è stata sfruttata in primo luogo dalle banche di Wall Street per attrarre capitali da tutto il pianeta. Un flusso gigantesco che ha permesso agli statunitensi di vivere e di consumare per vent'anni al di sopra delle proprie disponibilità, indebitandosi con il resto del mondo e con il Sud in particolare, come testimonia il gigantesco deficit commerciale con la Cina.
Ora i nodi di questa economia virtuale fatta di debiti e di finanza vengono al pettine. E' bastata una frenata nei consumi Usa, e in particolare nel settore immobiliare, per scatenare la crisi dei mutui subprime e poi dell'intera economia. Gli ultimi dati segnalano che il rapporto tra debito e PIL potrebbe superare il 100%, quello tra deficit e PIL il 6 o 7%. Delle cifre impensabili per qualunque Paese dell'Unione Europea - tranne l'Italia... - che per molto meno incorrerebbe nelle procedure di infrazione per violazione dei parametri di Maastricht. Valori dei fondamentali economici che per qualunque Paese del Sud implicherebbero un intervento pesantissimo del FMI per rimettere in sesto i conti.
Ancora quest'anno il FMI ha chiesto al Burundi di privatizzare il proprio settore del caffè. Delle condizionalità e una visione liberista dell'economia che sono duramente criticate da diversi anni, e che oggi sprofondano nel ridicolo davanti alle nazionalizzazioni in corso negli Usa. Un Paese che detiene tutt'ora un potere di veto sulle decisioni dello stesso FMI. Una situazione anacronistica rispetto al contesto economico e geopolitico internazionale, che permette all'economia Usa di non essere sottoposta ad alcun controllo, di non dovere rimettere in discussione le regole del gioco anche quando fallisce, ma di limitarsi a battere cassa ai Paesi del G7, sotto la minaccia implicita di un crollo dell'intero sistema in caso di diniego.
Resta da vedere se i Paesi occidentali, già impelagati in una fase recessiva, potranno fare molto. Sarebbe probabilmente più saggio provare a rivolgersi alle economie emergenti, le sole che al momento sembrano disporre dei capitali sufficienti per soccorrere la finanza statunitense, come hanno già fatto in parte con i loro fondi sovrani. Ma se il pubblico deve intervenire per riparare agli errori del privato, se tutto il mondo sta pagando e dovrà pagare i costi di una crisi nata dalla deregolamentazione e dall'avidità dei grandi attori della finanza, allora è il caso di ammettere pubblicamente che la fase storico-economica neoliberista è chiusa e che è necessario ridiscutere il ruolo del pubblico, e in particolare quello di regolamentazione, vigilanza e controllo sui privati. Ogni salvataggio pubblico dovrà richiedere in futuro condizioni pesanti che vincolino il settore privato a comportamenti trasparenti e virtuosi, mettendo al bando per sempre il casinò finanziario globale, e altri aiuti al governo Usa dovranno comportare che Washington accetti la revisione della governance economica e finanziaria globale.
In alternativa, se non si vogliono tali condizioni, per salvare l'economia statunitense si può sempre sperare in altri (improbabili) strumenti, magari provenienti dall'iniziativa dei privati, così da non sconfessare del tutto i dogmi del liberismo. Considerati gli attuali flussi dei capitali internazionali e la situazione delle economie nazionali, a distanza di un ventennio da "Usa for Africa" di Michael Jackson e Bono Vox, aspettiamo di vedere i cantanti asiatici e africani riuniti in un "Third World for Wall Street" in uscita il prossimo Natale.
Andrea Baranes
Fonte: Campagna per la Riforma della Banca Mondiale (CRBM)
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