Covid-19: l’emergenza che ci fa scordare i diritti umani

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Foto: Pixabay.com

E’ possibile in tempi di Covid-19 preservare la salute pubblica senza rinunciare ai diritti fondamentali? La domanda tra i cittadini è diventata quasi un tabù, sempre più inclini a metterci nelle mani di chi ci governa e accettare – se non invocare, da parte dei tanti sceriffi alla finestra – qualsiasi misura restrittiva, anche ai limiti dell’abuso. La verità è che le emergenze spesso spingono i governi a limitare le libertà civili, e in questo caso è stato quanto mai necessario. Ci sono però dei principi entro cui dovrebbero essere varate queste misure eccezionali: da quello cardine del tempo determinato, alla proporzionalità, l’idoneità al raggiungimento dello scopo prefissato, senza dimenticare l’inclusione e la salvaguardia delle fasce di popolazione più vulnerabili e marginalizzate. I limiti sono però indefiniti e il rischio di abuso è alto, così come quello di assuefazione. Perché ad esempio liquidare con leggerezza ogni discussione sulla app Immuni? L’argomentazione secondo cui «tanto abbiamo i già regalato tutti i nostri dati a Facebook» significa che dobbiamo rinunciare a qualsiasi pretesa di privacy e controllo sui nostri dati? Così come non dovrebbe mai essere un tabù la discussione sui diritti umani, la pretesa di chiarezza e trasparenza sulle scelte dei governi, al di là del paternalismo che tanto ci rassicura perché di fronte alla morte e all’ignoto ci sentiamo spaventati come bambini. Ed è vitale preoccuparsi e adottare atteggiamenti responsabili ma la vigilanza non deve mancare perché la tentazione di trasformare l’eccezionalità in status quo è sempre dietro l’angolo anche negli stati democratici (l’11 settembre insegna). 

In alcuni stati stiamo già assistendo a un'erosione e indebolimento delle norme e pratiche democratiche mentre, in altri, la pandemia ha rafforzato la loro dipendenza dalla politica autoritaria. «È una crisi economica. Una crisi sociale. E una crisi umanitaria che sta rapidamente diventando una crisi dei diritti umani» ha detto il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres descrivendo la risposta di molti governi alla pandemia. Gli esempi sono molteplici. Senza andare troppo lontano da noi, l’emergenza Covid ha dato un assist formidabile all’approvazione da parte del governo ungherese della legge che consente al primo ministro Viktor Orban di governare a colpi di decreto per un periodo di tempo indefinito. Seguendo l’alleato di Visegrad, in Polonia il governo ha cercato di anticipare le elezioni presidenziali nonostante i dubbi diffusi sul fatto che il paese fosse pronto per il voto di persona o il voto postale in piena sicurezza (non ci sono riusciti anche per proteste interne). 

Ma non solo. In India, da quando il coronavirus ha preso piede all'inizio di marzo, il governo di Modi ha adottato misure autoritarie sempre crescenti, con l’arresto di giornalisti e studenti, che a causa del blocco non hanno avuto accesso ai normali canali di giustizia. Ancora, in paesi dove la situazione la libertà di stampa era già compromessa le maglie si sono ulteriormente strette: «Ungheria, Russia, Sri Lanka, Thailandia, Uzbekistan e varie monarchie del Golfo sono tra gli stati che hanno introdotto nuove norme per punire col carcere i giornalisti che diffondono “fake news” – scrive Amnesty International – In Tunisia sono finiti in carcere due blogger, giornalisti sono stati arrestati in Azerbaigian, Cambogia, India, Iran, Serbia, Turchia e Venezuela. In Egitto il direttore di un quotidiano è stato arrestato intorno alla metà di marzo ed è risultato scomparso per quasi un mese». E poi ci sono gli abusiFreedom House cita ad esempio la Nigeria, dove l’applicazione delle misure da parte di polizia e forze armate per il rispetto del lockdown ha portato all’uccisione di 18 persone al 20 aprile. 

E in Italia? Non siamo certo a questi livelli, ma le multe alle persone senza dimora, la necessità di puntare il dito sull’untore di turno invece che sulle responsabilità strutturali del sistema, la poca trasparenza sulla questione del contact tracing, la necessità di governare per decreti (pur comprensibile in questa emergenza) non devono farci abbassare la guardia. Non a caso all’inizio di aprile la rete “In Difesa Di – Per i diritti umani e chi li difende”, composta da oltre 40 realtà della società civile italiana, aveva inviato una lettera al Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU) per chiedere che le Nazioni Unite fossero notificate al più presto sulle misure eccezionali approvate dal governo, e per l’attivazione di un monitoraggio sulle deroghe ai diritti umani fondamentali. I quali in teoria dovrebbero essere considerati come un alleato, e non un nemico della salvaguardia della salute. «La crisi ha dimostrato che i governanti che ignorano i diritti umani mettono a repentaglio la nostra salute, mentre il rispetto dei diritti umani è la migliore strategia di salute pubblica – scrive Kenneth Roth, Direttore esecutivo Human Rights Watch, sul Washington Post – Una buona politica sanitaria, ad esempio, richiede un accesso tempestivo a informazioni accurate, in modo che i governi possano rispondere rapidamente a qualsiasi minaccia. Le prime fasi della pandemia a Wuhan mostrano il pericolo quando si sopprimono i discorsi sulla salute pubblica».

Anna Toro

Laureata in filosofia e giornalista professionista dal 2008, divide attualmente le sue attività giornalistiche tra Unimondo (con cui collabora dal 2012) e la redazione di Osservatorio Iraq, dove si occupa di Afghanistan, Golfo, musica e Med Generation. In passato ha lavorato per diverse testate locali nella sua Sardegna, occupandosi di cronaca, con una pausa di un anno a Londra dove ha conseguito un diploma postlaurea, sempre in giornalismo. Nel 2010 si trasferisce definitivamente a Roma, città che adora, pur col suo caos e le sue contraddizioni. Proprio dalla Capitale trae la maggior parte degli spunti per i suoi articoli su Unimondo, principalmente su tematiche sociali, ambientali e di genere. 

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