Cooperazione italiana: gli impegni ancora sulla carta

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Immagine: Pixabay.com

Sconfortante. Questo il quadro che emerge da una fotografia sullo stato di salute della cooperazione allo sviluppo italiana realizzata recentemente da Actionaid nell’Annuario 2020La carenza di risorse economiche nonché di prese di posizione strategiche e tempestive costituiscono le principali debolezze strutturali del settore, ritenute tali da invalidare l’impatto degli sforzi dei cooperanti di istituzioni pubbliche e organizzazioni di società civile oggi alle prese con le complesse sfide che la pandemia di Covid-19 ha ampliato

Se l’assenza della Farnesina dai radar della politica estera internazionale è evidente da un decennio, il disegno della cooperazione allo sviluppo per il Ministero degli Esteri risulta ancora più fosco nonostante le grandi ambizioni che hanno accompagnato la creazione nel 2014 dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), attiva dal 2016. “Per l’Italia, la cooperazione non è solo parte integrante e qualificante della politica estera italiana (articolo 1 della legge 125/2014) ma, di più, un suo compimento è quasi una nuova e più moderna forma di politica estera”: ecco che fu allora che il MAE, Ministero degli Affari Esteri, fu trasformato in MAECI, Ministero degli Affari Esteri e per la Cooperazione Internazionale. La governance della cooperazione internazionale allo sviluppo resta però tutt’oggi frammentata tra Consiglio Nazionale della Cooperazione allo Sviluppo (CNCS), strumento di consulenza di numerosi stakeholder, e Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo (CICS), incaricato di dare le linee programmatiche alla cooperazione internazionale. Neanche a dirlo, i due organi si riuniscono solo occasionalmente e di fatto tengono il sistema in stallo. Dunque l’indirizzo strategico ministeriale rinnovato a cui si uniscono, da anni, le molteplici dichiarazioni di rilancio sull’importanza del settore per affrontare le sfide del futuro si sono tradotte in un nulla di fatto. Il nuovo assetto istituzionale e le maggiori attività non hanno creato alcuna cultura d’inclusione né fiducia nella trasparenza dei processi: resta invece l’assenza di lungimiranza nelle decisioni che vanno a impattare sull’azione degli agenti della cooperazione internazionale. Troppe volte gli annunci e le smentite del MAECI sono stati il frutto di giochi politici finalizzati soprattutto a perenni campagne elettorali anziché contribuire a far crescere nell’opinione pubblica la convinzione che la lotta alla povertà e alle ingiustizie sociali costituiscano un interesse comune dell’Italia anche al di fuori dei suoi confini nazionali, se non per amore verso il restante genere umano, per una nazional-egoistica preoccupazione per le ripercussioni sull’Italia di sistemi politici e sociali esterni allo sbando. 

La criticità maggiore della cooperazione internazionale allo sviluppo dell’Italia resta inoltre la spesa destinata. Nel 2019 l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) dell’Italia è calato dell’11%, da 4,397 miliardi di euro del 2018 a 3,906 miliardi. A dispetto dell’impegno assunto già in più occasioni (lo 0,7% del PIL, secondo gli auspici ONU), l’Italia investe appena lo 0,22%, nettamente al di sotto della media dei Paesi OCSE. Delusione in tal senso è venuta anche dalla Legge di Bilancio 2021-2023 che ha stanziato un simbolico incremento di 9 milioni di euro di APS per l’anno 2021 dinanzi a una richiesta da parte dei principali coordinamenti di ONG nazionali (Link2007, AOI, CINI) di aumenti incrementali dell’APS italiano per consentire un riallineamento con gli impegni internazionali e per far fronte alla crisi generata dalla pandemia sanitaria con stanziamenti progressivi nel triennio per un valore di 150 milioni di euro nel 2021, 300 milioni di euro nel 2022 e 450 milioni di euro nel 2023 (al netto delle spese sostenute in Italia per l’assistenza ai rifugiati). Emerge dalla legge di bilancio una visione strettamente nazionale della crisi globale che non tiene conto delle crescenti disuguaglianze globali, basti pensare solo alla copertura vaccinale anti-Covid19 inesistente nei Paesi poveri, ove le “le fragilità si traducono in centinaia di milioni di permanenti poveri, privati di ogni opportunità da un sistema iniquo che favorisce le disparità, lo scarto e l’indifferenza, privilegiando interessi particolari a danno del bene comune” come ha dichiarato in un comunicato online Link2007. Una strategia al ribasso che sa di disinvestimento che poco riescono a controbilanciare le dichiarazioni di intenti e gli impegni politici espressi in documenti, dichiarazioni e accordi internazionali. 

Forse uno sguardo più attento al valore economico delle organizzazioni della società civile italiana potrebbe contribuire a innescare un trend più virtuoso: i dati di Open Cooperazione sul 2019 restituivano il valore economico delle ONG Italiane in più di un miliardo di euro, con un incremento del 3% rispetto al 2018 che consolida la crescita del 19% sull’ultimo triennio. Stesso trend anche per le risorse umane impiegate nel settore, che segnano un incremento dell’11% dal 2018 e del 21% sul triennio. La pandemia di Covid-19 ha impattato pesantemente sul settore, nonostante l’importante mobilitazione del settore per contrastare l’epidemia: il 68% delle organizzazioni prevede un bilancio in perdita nel 2020 (il 28% tra 0-10%, il 20% tra 10-20% e il 20% perderebbe più del 20%), soprattutto con un calo nella raccolta fondi a causa di una polarizzazione dei donatori su altre priorità, specialmente quelle sanitarie di “casa nostra”.

Cambierà le carte in tavola il nuovo appello lanciato al neo-premier Draghi dalle organizzazioni di cooperazione internazionale per una valorizzazione del settore? Difficile a dirsi. Intanto però la lezione appresa dall’emergenza Coronavirus sembra rafforzare negli italiani la convinzione che occorre puntare a una maggiore cooperazione internazionale, come sorprendentemente emerge dal sondaggio “Emergenza coronavirus e politica estera. L’opinione degli italiani sul governo, l’Europa e la cooperazione internazionale” realizzata lo scorso maggio dall’Istituto Affari Internazionali. 

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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