Congo: operazione Onu per frenare violenze

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Le Nazioni Unite hanno mandato la più grande operazione nella Repubblica Democratica del Congo. Lo scopo dell'offensiva, denominata "Falcon Sweep", è di ampliare la cintura di sicurezza sotto il controllo ONU nella regione del Walungu, nell'est del paese. Secondo quanto riferito da Stéphane Dujarric, portavoce ONU, oltre a prendere maggiore confidenza con il territorio e con la popolazione locale, i militari impegnati sul campo hanno il compito di spingere allo scoperto i gruppi di miliziani che infestano la zona. Più di un migliaio di soldati, tra caschi blu pachistani, forze speciali guatemalteche e truppe dell'esercito regolare congolese, sono stati impiegati a sostegno della brigata di peacekeepers di stanza nella regione del Sud Kivu. I gruppi di ribelli hutu ruandesi, riparati nell'est del Congo dopo l'eccidio perpetrato ai danni dell'etnia tutsi nel 1994, imperversano nei piccoli centri abitati più lontani dai capoluoghi protetti, saccheggiando, rapendo e uccidendo civili inermi.

La Missione delle Nazioni Unite (Monuc) ha inoltre denunciato una violazione dell'embargo sulle armi ad opera di un Paese limitrofo e a detrimento della stabilità della zona nord orientale del Paese. Nel corso della consueta conferenza stampa, il direttore dell'informazione della Monuc, Kemal Saiki, ha detto che i miliziani recalcitranti ancora in attività in Ituri (provincia nel nord est del Paese a ridosso dei confini con Uganda e Sudan) ricevono "appoggi provenienti da un Paese limitrofo" senza precisare ulteriormente quale dei due.

Questa segnalazione fa seguito al rapporto di Amnesty International secondo cui le milizie locali dell'est del Congo continuano a ricevere grandi quantità di armi da parte di società con sede in Gran Bretagna, Israele, Sudafrica, Stati Uniti ed Europa Orientale.

Intanto dal Comitato permanente della Conferenza episcopale della Repubblica democratica del Congo giunge una 'dichiarazione' in cui si "deplorano" le violenze avvenute lo scorso 30 giugno a Kinshasa e in altre città del Paese. In quella data - giorno dell'indipendenza dal Belgio nel 1962 - migliaia di manifestanti erano stati dispersi dalle forze dell'ordine durante le proteste contro il rinvio delle elezioni e il prolungamento del governo di transizione, con un bilancio finale di almeno una decina di vittime. "Stigmatizziamo il fatto che questi atti indegni provengano dalle forze dell'ordine che dovrebbero mantenere l'ordine nel Paese e garantire la sicurezza di persone e beni" viene scritto nel documento firmato dal presidente Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kisangani. Per i presuli è riprovevole che alcuni congolesi "si coalizzino con forze straniere per attentare alla vita umana e continuare a distruggere il Paese e le sue strutture sociali"; nel documento si chiede infine al governo una commissione d'inchiesta per individuare gli autori di questi crimini. Per chiedere una nuova data per le elezioni era stata attivata una catena di digiuno internazionale che è rimasta attiva per tutto il mese di giugno. [AT]

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