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Commercio: dall'Onu alla Wto, accordi ingiusti
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All'Onu dei Popoli si è tenuta una sessione parallela dedicata al futuro del commercio internazionale. Antonio Tricarico della Campagna per la riforma della Banca Mondiale ha esordito subito che "l'impatto delle politiche commerciali dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) sono chiare a tutti non solo nel sud del mondo, ma anche nel nord. Ora la società civile e gli enti locali sono pronti per portare proposte alternative alla conferenza ministeriale del Wto che si terrà ad Hong Kong dal 13 al 18 dicembre". Secondo molti opinionisti, a dieci anni dalla sua istituzione e dopo il fallimento delle ultime due conferenze ministeriali di Seattle e Cancùn, la Wto potrebbe capitolare, già nella prossima conferenza ministeriale perché vittima della stessa globalizzazione che voleva promuovere "senza se e senza ma".
Nell'analisi proposta da Roberto Meregalli sul sito della Rete di Lilliput emerge un quadro molto meno fosco, considerato che si sta parlando di un negoziato globale che influenza le politiche di 148 paesi membri. A partire proprio dall'agricoltura l'Ue alla fine ha acconsentito a cancellare (in data da stabilire e con un accordo pieno di scappatoie) i suoi sussidi all'esportazione, il totale di quelli domestici distorsivi sarà in qualche modo ridotto perché la voce del G20 non è di quelle che si possono ignorare. All'Europa brucia l'atteggiamento USA sui sostegni all'esportazione: "abbiamo visto progressi molto limitati sui crediti all'esportazione, ma davvero pochi, se non nessuno, sulle imprese di stato e sugli aiuti alimentari" ha dichiarato l'UE il 28 luglio scorso. Quello che manca è dunque un accordo USA-UE sulla data di fine sussidi e sull'impegno su crediti e aiuti alimentari soddisfacente per l'Europa.
Nel settore dei servizi, nonostante l'insoddisfazione di tutti, se si guardano i numeri non si può dire che la situazione sia così sconfortante: sul tavolo ci sono 70 offerte che rappresentano 95 paesi e 30 sono le offerte di "seconda generazione". Ci si lamenta che non sono molto innovative ma si tratta anche di affermazioni che rientrano nella dinamica del negoziato. "La verità è che se i paesi occidentali aprissero sul movimento delle persone fisiche, l'India darebbe il beneplacito del G20 e alcune offerte cambierebbero.
Anche qui il blocco è euroamericano.Intanto, sempre l'Europa, si sta impegnando a fondo per cambiare il metodo negoziale e passare dall'approccio richiesta-offerta al famoso benchmark, una sorta di prerequisito per definire accettabili le nuove liberalizzazioni nei servizi" commenta Roberto Meregalli dell'Osservatorio sul commercio mondiale - Tradewatch secondo cui "il cammino per la Wto è difficile, ma non impossibile".
Ora ci si attende una nuova ondata retorica sul ruolo del commercio come strumento per ridurre la povertà in linea con gli obiettivi del Millennium di cui si discuterà nel vertice ONU che aprirà i battenti il 14 settembre.Del resto un ciclo negoziale votato allo sviluppo è esattamente in linea con gli obiettivi dichiarati. La Commissione ha già preparato un bellissimo sito "Europe cares" sui famosi Mdg's. Ma analizzare gli emendamenti proposti dagli Stati Uniti vale più di mille parole per capire che quando si negozia, la retorica svanisce nel nulla. La delegazione USA ha chiesto di richiamare l'obiettivo di raggiungere il "programma di lavoro di Doha" che stabiliva fra le altre cose che investimenti, regole di concorrenza e appalti pubblici erano fuori del Doha round. Inoltre gli USA hanno chiesto di cancellare altri antipatici riferimenti, come quello al cotone e che il passaggio in cui ci si impegna a "sostenere sforzi per risolvere il problema della volatilità dei prezzi delle derrate agricole", che costituisce il principale problema dei paesi poveri, sia levato via.
Per finire anche nel passaggio in cui si sotiene l'impegno ad "accellerare e facilitare" l'entrata nel WTO dei paesi in via di sviluppo, sulla parola "facilitare" è stata tirata una bella riga. Giusto, va bene accellerare ma anche facilitare è troppo! Anche perché gli ultimi paesi poveri che sono entrati nell'organizzazione ginevrina (Nepal e Vietnam) hanno dovuto accollarsi impegni più pesanti degli altri PVS già membri. Ecco perché secondo Roberto Meregalli gli emendamenti Usa mostrano il volto autentico del Doha Round e spiegano perché la strada verso Hong Kong è una strada estremamente in salita in cui i paesi poveri hanno poche chance di guadagnare qualcosa. "Cancun però insegna che attendere l'ultimo minuto per calare le carte non è più garanzia di successo, pertanto, dopo il Summit mondiale dell'ONU, c'è da attendersi qualche novità in vista del Consiglio generale di ottobre" commenta Meregalli. [AT]
Altre fonti: Osservatorio sul commercio mondiale - Tradewatch