Colombia: i retroscena del piano di smobilitazione

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La desmovilizaci㳀n⅀es una farsa. Es una manera de acallar el sistema y volver otra vez, comenzando por otro lado. Sono le parole di uno dei numerosi paramilitari colombiani "smobilitati" intervistati da Human Rights Watch e contenute nel rapporto "Las apariencias enga㱀an. La desmovilizaci㳀n de grupos paramilitares en Colombia" dell'inizio di agosto. I paramilitari colombiani hanno raggiunto una posizione dominante in molte zone del paese: controllano i corridoi strategici attraverso i quali si muovono armi e droga, grazie alla connivenza ed all'appoggio, costanti negli anni, da parte dell'esercito regolare.

Da due anni il governo Uribe ha intrapreso più attentamente il dialogo con le diverse forze paramilitari, prevedendo entro la fine del 2005 la loro smobilitazione. Alla fine del 2004 ben cinque blocchi paramilitari consegnarono le armi. Ma la guerra civile è decisamente lontana dalla tregua definitiva. Il 21 giugno scorso, il Congresso ha approvato la "Ley de Justicia y Paz", la cosiddetta legge di smobilitazione, che secondo HRW regala ai paramilitari tutto ciò che desiderano. La legge riduce drasticamente i tempi utili per condannare i crimini dei paramilitari, rendendo quasi impossibile il cammino della giustizia. Le pene, inoltre, invece di inasprirsi, sono ridotte. Pochi anni (da cinque a otto) non basteranno ad indebolire il loro potere economico e politico. E soprattutto pene così basse non spingono i paramilitari a collaborare con la giustizia.

Dal 2003 sono quasi 6.000 i paramilitati smobilitati: fino all'aprile di quest'anno solo 25 di questi sono detenuti per le atrocità commesse. Il rapporto afferma chiaramente che "i paramilitari smobilitati che sono stati intervistati descrivono la loro partecipazione e quella dei rispettivi gruppi a gravi crimini, includendo massacri, assassini, sequestri ed estorsioni. Nessuno di loro è stato arrestato né interrogato per tali crimini".

La critica al governo

La critica dell'organizzazione non governativa per la difesa dei diritti umani si fa quindi più aspra e diretta nei confronti del governo Uribe, responsabile di non aver compiuto nessuno sforzo serio per conoscere la verità sulle migliaia di vittime e per garantire giustizia.

Ma soprattutto il governo non ha neppure tentato di affrontare il problema del reintegramento degli ex-paramilitari nella vita civile. È chiaro che la maggior parte di loro, non appena consegnate le armi, si venderà di nuovo al miglior offerente. Confermando ancora una volta che il potere economico dei gruppi paramilitari resterà intatto anche dopo l'applicazione della legge. Anche Amnesty International, attraverso le parole del suo portavoce per la Colombia, non lascia alcun dubbio sulla qualità di questa legge: Marcello Pollack ha affermato che "essa non rispetta il diritto alla verità ed agli indennizzi per le vittime, consolida l'impunità e non prende alcun provvedimento per prevenire la reintegrazione dei membri delle autodefensas nel conflitto".

Il rapporto prosegue con una lista di errori concreti che secondo HRW il governo sta commettendo durante la messa in atto della legge: i paramilitari non sono obbligati a dichiarare il loro nome di battaglia, il governo non ha un registro delle armi consegnate, gli interrogatori non sono condotti in maniera sistematica ed approfondita, non esiste una stretta collaborazione con le autorità locali e regionali ed infine, decisamente l'errore più grave, "[⅀] Il governo non ha stabilito alcuna politica orientata a prevenire il reclutamento dei gruppi paramilitari. In questo modo sarà molto facile che questi gruppi rimpiazzino le truppe smobilitate reclutando nuovi membri con la promessa di alti salari [⅀]"

Uribe in Europa

Poco dopo l'approvazione della legge, ecco che il presidente colombiano cerca consensi all'estero per proseguire nella sua opera di pacificazione interna. Dal 10 al 13 luglio Uribe viaggia tra Madrid e Londra cercando appoggio di fronte alle critiche che gli arrivano un po' da tutte le parti: opposizioni, mezzi di comunicazione a livello internazionale, organismi internazionali ed ONG. Il periodo è sicuramente molto propizio: gli attentati di Londra mantengono caldo il tema dell'antiterrorismo ed Uribe può quindi contare su un terreno a dir poco recettivo.
Zapatero ha risposto con un timido si alla proposta del presidente colombiano di formare una commissione europea che segua l'esecuzione della legge di smobilitazione. Il presidente spagnolo si è però guardato bene da prendere una posizione netta ed ha allungato la mano forse più per non dispiacere al presidente Uribe che per una decisione vera e propria. La Spagna rimane del resto il paese europeo più legato all'America Latina e non può certo permettersi di rovinare i rapporti con un paese così strategico come la Colombia. Con Tony Blair invece non c'è stato alcun dubbio: l'alleato europeo più vicino agli Stati Uniti non poteva certo non appoggiare il suo equivalente latinoamericano. Il premier inglese ha affermato, infatti, che per situazioni speciali bisogna prendere dei provvedimenti non convenzionali e che nel lungo periodo anche i critici più accaniti si convinceranno dei buoni risultati. Quella di Blair è stata sicuramente una prova d'appoggio incondizionato.

di Marco Coscione

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