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Cina: mobilitazione per la condanna di due attivisti
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Amnesty International ha adottato come prigioniero di coscienza l'attivista per i diritti umani cinese Chen Guangcheng, condannato il 24 agosto a quattro anni e tre mesi di carcere. L'associazione ha duramente condannato la sentenza, motivata unicamente dal pacifico impegno di Chen Guangcheng in difesa dei diritti umani; le accuse nei suoi confronti, secondo Amnesty, sono state dettate da ragioni politiche e il processo è risultato clamorosamente irregolare dall'inizio alla fine.
Gli avvocati di Chen Guangcheng sono stati costantemente ostacolati, tanto nella raccolta delle prove quanto nella stessa presenza in tribunale; uno è stato improvvisamente arrestato. Il processo in sé è durato solo due ore e l'aula era piena di agenti che hanno impedito l'ingresso al pubblico e a gran parte dei familiari dell'imputato.
La Corte della contea di Yinan, riporta AsiaNews, lo ha riconosciuto colpevole di "aver provocato danni alla proprietà in maniera intenzionale" e di "aver incitato la popolazione a bloccare il traffico locale". L'attivista si è rifiutato di parlare nel corso del dibattimento in segno di protesta per l'arresto del suo avvocato, Xu Zhiyong, avvenuto alla vigilia del processo con l'accusa di furto: sono stati nominati due legali sostituti un'ora prima dell'inizio dell'audizione, che - riporta l'agenzia - hanno solo riferito di non avere obiezioni. Il giudice ha interpretato il silenzio di Guangcheng come "un'accettazione delle accuse presentate". Yuan Weijing, moglie del condannato, ha affermato che la famiglia si appellerà contro il verdetto, anche se con molta probabilità non potranno ottenere alcun aiuto legale.
I danni alle proprietà pubbliche e l'incitazione della popolazione a creare blocchi stradali sarebbero avvenuti nel febbraio e marzo scorso. Dall'agosto 2005 l'attivista ha subito gli arresti domiciliari; è stato imprigionato nel marzo 2006, ma la sua detenzione ufficiale data al 21 giugno scorso.
Chen è famoso nel Paese per l'attività che svolge a favore dei disabili e per la campagna contro la politica governativa di pianificazione delle nascite. E' stato lui ad aiutare alcuni cronisti del Washington Post a trovare le prove della campagna di aborti forzati condotta contro le donne della sua città. Grazie ai suoi dati, il giornale americano ha potuto provare che nel corso dello scorso anno le autorità della provincia centro-orientale hanno sterilizzato con la forza oltre 7 mila persone. Dopo la denuncia, l'Agenzia cinese per la pianificazione familiare è stata costretta ad ammettere, il 19 settembre scorso, che alcuni rappresentanti governativi "hanno effettuato aborti forzati e sterilizzazioni contrari ai diritti legali dei cittadini".
Una simile giustizia sommaria è toccata ieri a Zhao Yan, attivista per i diritti umani poi divenuto giornalista, accusato di aver rivelato all'estero segreti di Stato: una Corte di Pechino ha fatto cadere le accuse di spionaggio, ma lo ha condannato a tre anni di reclusione per frode. Non sono stati resi pubblici i dettagli dell'accuse né le prove che lo hanno condannato.
Secondo la sentenza, afferma la Reuters, non c'erano "prove sufficienti" per condannare Zhao per aver fornito segreti di stato al New York Times. Il giornale aveva riportato correttamente nel 2004 che l'ex presidente cinese Ziang Zemin avrebbe lasciato l'incarico di capo delle forze armate. Tuttavia il tribunale ha condannato Zhao a una multa di 2.000 yuan (250 dollari) e a restituire 20.000 yuan "guadagnati con mezzi fraudolenti". Zhao è stato accusato di aver preso del denaro da un abitante di un villaggio nella Cina nordorientale nel 2001 con una promessa su un programma di rieducazione al quale avrebbe potuto partecipare.
Il tribunale di Pechino ha annunciato il suo verdetto contro Zhao quasi due anni dopo che l'uomo era in stato di detenzione: Zhao dovrebbe lasciare il carcere nel settembre 2007. [CA]
Fonti: Asianews, Amnesty International