Casa delle Libertà: libertà di armarsi

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A gennaio 2006 il governo ha riformato l'articolo 52 del Codice Penale sulla legittima difesa. Non cambiano le condizioni per ottenere o portare un'arma, ma il loro uso, esteso dalla difesa della persona a quella della proprietà privata. La costituzione USA stabilisce il diritto alla difesa armata della proprietà privata, ma i paesi europei sono molto più restrittivi: in Germania non è permessa, in Gran Bretagna, Francia, Spagna, è permessa solo a determinate condizioni di particolare imminenza e gravità del pericolo. Secondo il Ministero dell'Interno i privati italiani armati sono 4,5 milioni. I permessi per portare le armi sono 1,3 milioni, mentre quelli per la detenzione circa 3,3. Tuttavia ultimamente stanno aumentando le autorizzazioni a detenere e portare fucili e pistole ad uso sportivo, a tutto vantaggio dei produttori d'armi, un settore vicino al governo.

La Beretta è la più antica fabbrica al mondo, conta 2500 dipendenti ed un fatturato annuo di 388 milioni di euro: è leader nella produzione di fucili da caccia e pistole. Le forze armate e le polizie di stato italiane, statunitensi, francesi e spagnole usano pistole Beretta92. Ugo Gussalli Beretta, il proprietario, è amico di Bush e della National Rifle Association, la lobby statunitense dei produttori d'armi. Appoggia la destra italiana ed apprezza la nuova legge sulla legittima difesa: "i cittadini hanno il diritto di difendersi se lo stato non riesce a proteggerli" ha dichiarato.

A febbraio 2006 il governo ha approvato il decreto per le olimpiadi Torino2006. Istituiva l'assunzione straordinaria di 1.115 poliziotti ed una lotteria istantanea come finanziamento, ed aggiungeva una frase: "con la licenza di fabbricazione sono consentite le attività commerciali connesse e la riparazione delle armi prodotte". Questa frase non serviva alle Olimpiadi, ma all'amico di Berlusconi Ugo Gussalli Beretta. Nel febbraio 2005 i Carabinieri italiani in Iraq trovarono delle pistole Beretta92 in mano alle forze ribelli. Risultarono essere del Ministero dell'Interno dal 1978-80. Come potevano averle i ribelli?

Tra febbraio 2003 ed aprile 2004 il Ministero dell'Interno aveva dichiarato fuori uso oltre 44.000 pistole Beretta92 e le aveva rivendute alla Beretta per un prezzo irrisorio. Tale vendita è illegale: il Ministero della Difesa non aveva deliberato la dismissione e la Beretta, dal 2002, non ha più la licenza per riparare armi. La Beretta comprò e riparò le armi e nel luglio 2004 ne vendette 20.000 alla sconosciuta società inglese Super Vision International Ltd (SVI). Chiese l'autorizzazione all'esportazione al prefetto di Brescia e l'ottenne. Ma nei documenti non appare il nome della SVI, bensì quello della più conosciuta ed accreditata fabbrica inglese Gunsmith. Il prefetto, che la legge obbliga a verificare l'affidabilità del compratore, non lo fece, fidandosi del fatto che venditore e compratore erano noti. "Da quanto si apprende dalle ricostruzioni giornalistiche non c'è stata un'inadempienza del prefetto, ma un dolo della Beretta" che avrebbe mentito - dice Giorgio Beretta, membro del consiglio scientifico di OPAL (Osservatorio permanente sulle armi leggere).

La magistratura aveva aperto un'inchiesta, sequestrando le armi già vendute a SVI per 2,5 milioni di euro. Se la Beretta fosse stata processata e condannata, avrebbe perso il denaro e la licenza per fabbricare armi. Aveva fatto ricorso, ma il tribunale del riesame aveva confermato il sequestro. Poi, 2 giorni prima della fine della legislatura, il governo ha cambiato la legge, approfittando dell'occasione offerta delle Olimpiadi: chi fabbrica pistole può anche ripararle e commercializzarle. Salvando così la Beretta ed il Ministero dell'Interno. Luca Mantovani, portavoce del Ministero, non ha voluto rilasciare dichiarazioni "poiché le questioni sono oggetto d'inchiesta da parte della magistratura". Neanche Sergio Locatelli, portavoce della Beretta, ha voluto commentare l'accaduto.

"Io distinguerei la riforma dell'articolo 52 dal commercio sospetto di armi" - dice Beretta: la riforma non promuove direttamente la vendita di armi, "benché indirettamente mandi un messaggio" che incita a comprarle. Le armi si dividono secondo la loro capacità e potenza (leggere e pesanti) e la loro finalità (civili o militari). Le armi (leggere e pesanti) militari sono vincolate alla legge 185/90, quelle civili alla legge 110/75. Le pistole dello scandalo, armi leggere destinate a corpi di polizia (perciò non militari), sono interessate dalla legge 110/75.

Per Daniela Carboni, direttrice dell'ufficio Ricerche della sezione italiana di Amnesty International (AI) "Due dati di fatto legano insieme questi avvenimenti. Primo: il commercio d'armi, e in particolare modo d'armi leggere, è uno dei business più proficui al mondo, in particolare per l'Italia. Secondo: esportare armi leggere e di piccolo calibro, triangolarle e venderle, anche a chi le userà per violare i diritti umani, è ancora troppo semplice. L'Italia, infatti, non si è dotata di una normativa che impedisca le triangolazioni o che regoli severamente le esportazioni. Ad aggravare questa situazione è il progressivo svuotamento della legge 185/90". Questa legge vieta l'esportazione di materiale bellico (leggero o pesante) di uso militare a paesi belligeranti, con embargo totale o parziale da parte di organismi internazionali (ONU o UE), o responsabili di comprovate violazioni dei diritti umani. Inoltre il Ministero degli Esteri deve autorizzare le transazioni economiche formalizzate attraverso le banche ed informarne annualmente il Parlamento.

I produttori d'armi come Ugo Gussalli Beretta e Carlo Festucci, segretario generale dell'AIAD (associazione delle industrie aerospaziali e della difesa), si sono lamentati di queste limitazioni, considerandole eccessive. In seguito a queste pressioni, dice Carboni, "questa legge viene applicata sempre meno strettamente", in favore di un settore importante per l'economia italiana. La legge 110/75 sull'uso delle armi civili in Italia e loro esportazione, spiega Beretta, è nata durante il terrorismo (1975); "è rigidamente restrittiva per l'Italia, anche se poi d'armi in Italia ce ne sono molte, ma non per le esportazioni: infatti lascia la decisione al prefetto". "Tuttavia il Ministero dell'Interno aveva indicato ai prefetti tutta una serie di paesi verso i quali non permettere nessuna esportazione perché sotto embargo, o perché governati da dittatori, parallelamente a quanto previsto per le armi militari dalla legge 185/90. C'è stata un forte polemica da parte dell'unione degli industriali armieri bresciani, secondo i quali queste limitazioni potevano valere per le armi militari ma non per quelle civili".

La differenza, ha esemplificato Beretta, è spesso molto sottile: "le pistole automatiche sono considerate militari, quelle semiautomatiche, civili. Inoltre le stesse armi destinate a polizie straniere, sarebbero considerate militari (quindi sotto la legge 185/90) se fossero destinate ad eserciti stranieri". "Per evitare altre triangolazioni, basterebbe estendere alcune caratteristiche della legge 185/90 alla legge 110/75 sulla vendita d'armi civili. Per una maggiore trasparenza su venditori e compratori, basterebbe che le aziende con commesse estere, avvisassero il Ministero delle Finanze della banca sulla quale sarà effettuato il pagamento", come si fa per le armi militari. Con questo "doppio controllo si sarebbe saputo che il prefetto autorizzava l'esportazione d'armi ad un'impresa, mentre i pagamenti arrivavano da un'altra. L'inchiesta invece è partita da tutt'altra parte: dopo aver scoperto delle armi laddove non dovevano essere: solo dopo la fine della triangolazione, un anno dopo la vendita!".

Un altro problema dell'attuale legislazione concerne gli intermediari, soprattutto stranieri: "manca qualunque controllo o repressione". Beretta fornisce due letture del fatto che armi italiane destinate alla polizia irachena fossero in mano ai ribelli: 1) la guerriglia è appoggiata ed armata da qualcun altro, oltre a Al Quaeda, che ne ha tutto l'interesse economico; 2) in Iraq è così fluido il limite tra legalità e illegalità che le armi possono passarlo facilmente.

L'Italia è uno dei maggiori produttori mondiali d'armi. Per AI il traffico illegale rappresenta solo il 10%. L'industria bellica italiana occupa 50.000 persone, fattura 7,5 miliardi d'euro l'anno, costituisce lo 0,6-0,8 del PIL ed il 10-15% delle esportazioni. L'Italia è il 7⺀ esportatore mondiale d'armi (leggere e pesanti) militari: nel 2004 il Ministero degli Esteri ne ha autorizzato esportazioni per oltre 1,4 miliardi d'euro. Per le armi civili, invece, è, secondo dati ONU, al 2° posto: nel 2003 ne ha vendute per oltre 306 milioni d'euro.

"La lobby italiana delle armi è molto potente" - dice Beretta, che pero esclude che il governo italiano sia entrato in guerra in Iraq per favorirla. Tanto la destra come la sinistra riconoscono l'importanza dell'industria bellica e la necessità di sostenerla. Inoltre "governi tanto di destra come di sinistra hanno venduto armi a paesi cui non avrebbero potuto". Però "il governo Berlusconi ha sostenuto particolarmente quest'industria, per la sua importanza strategica militare e produttiva". Durante l'ultima legislatura il parlamento ha ratificato degli "accordi per la cooperazione nel campo della difesa" con Lituania, Romania, Bulgaria, Croazia, Egitto, Uzbekistan, Giordania, Israele, Algeria, Georgia, Kuwait, Indonesia. Sono in discussione quelli con la Cina e l'India. Nonostante alcune differenze, questi accordi prevedono "acquisizioni e produzioni congiunte" di "bombe, mine, missili, siluri, esplosivi, equipaggiamenti per la guerra elettronica". Tali accordi, come ha sottolineato l'ex-ministro della difesa Sergio Mattarella, possono costituire un rischio di "grave svuotamento delle norme contenute nella legge 185/90".

"Purtroppo - dice Carboni- nessun governo italiano ha applicato un severo controllo sulle esportazioni d'armi, che hanno eluso gli embarghi internazionali, crescendo sulle spalle delle vittime di violazioni del diritto umanitario in paesi come Turchia, Bosnia-Erzegovina, Colombia, Afganistan, Iraq, Pakistan, India, Cina, Malesia, Algeria, Russia". Nel 1998 l'UE ha approvato un Codice di Condotta sull'esportazione d'armi, per Carboni "uno dei migliori accordi regionali in materia".

Beretta ha sottolineato che tale Codice, che si riferisce solo alle armi militari, "non è vincolante né sanzionatorio. Il suo indubbio valore sta nell'aver messo sullo stesso piano tutti i paesi dell'UE, inclusi i nuovi membri, che avevano normative molto più lasse e d'imporre degli incroci di sicurezza: se un paese membro vieta la vendita d'armi ad un terzo paese, deve avvisarne gli altri membri, giustificando la decisione".

Per le armi civili, invece, manca una legge europea o internazionale: tutto è lasciato alle diverse legislazioni nazionali. Gran Bretagna, Francia, Germania, stanno molto attente ai destinatari finali, mentre Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia sono considerati veri e propri paesi di triangolazione". Per Carboni, il numero effettivo di triangolazioni "è incalcolabile: la maggior parte di esse non viene scoperta, ed è comunque quasi impossibile ricostruire il percorso delle armi, perché non esistono meccanismi di tracciabilità". "AI con la campagna Control Arms sta spingendo sull'UE affinché rinforzi le sue regole e sostenga l'opportunità dell'adozione di un trattato internazionale sul commercio di armi entro il 2006, con norme comuni e vincolanti". La campagna, nata nell'ottobre del 2003 è appoggiata dalla IANSA (International Action Network on Small Arms), e da Oxfam (organizzazione benefica britannica).

Francesco Screti
IPS-INTER PRESS SERVICE

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