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Carta di Trento: per una nuova cooperazione internazionale
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La Fondazione Fontana si propone di elaborare e redigere un documento culturale per una migliore cooperazione, mediante il contributo di alcuni operatori italiani di solidarietà internazionale (ONG ed Enti Locali), con l'obiettivo di arricchire la riflessione sulla filosofia e sulla metodologia dell'attività di cooperazione, nonché di offrire un contributo alla nuova legge sulla Cooperazione allo sviluppo. Il documento sarà presentato in occasione del Seminario del 14 marzo 2008, dedicato al tema di una 'Nuova Cooperazione'.
Metodo
Con l'intenzione di raccogliere contributi e sviluppare una riflessione, proponiamo nel testo seguente alcune caratteristiche - a partire dalle quali vi invitiamo a interloquire - che ci paiono qualificare (o de-qualificare) l'odierno mondo della cooperazione. Tra esse, talune sono ascrivibili maggiormente alla cooperazione promossa e realizzata dal mondo nongovernativo, altre appartiene alla cooperazione degli enti locali, altre ancora si riferiscono al mondo governativo. Sfumature che lasciamo a voi intercettare, a seconda della vostra collocazione e del vostro punto di osservazione/azione. Indichiamo queste caratteristiche come interrogativi più che come certezze, con l'intento, anche, di sondarne la condivisione tra i dialoganti.
Il contributo di ogni partecipante può essere espresso:
- per sviluppo, a partire da (alcuni o tutti) gli spunti proposti;
- per integrazione, proponendo altri spunti ritenuti cruciali.
Nella libertà di espressione di ciascun contributo, auspichiamo un approccio problematizzante, che orienti a:
- ricercare buone domande;
- esplorare condizioni di cambiamento;
- evidenziare proposte costruttive.
I contributi individuali vanno inviati a Silvia Nejrotti [email protected], entro lunedì 25 febbraio 2008.
"Sortirne insieme": Spunti di riflessione per una cooperazione possibile
Contenuto
Osserviamo una cooperazione:
Autocentrata? L'inversione tra mezzi e fini pare caratterizzare l'azione delle ONG, tese a salvaguardare la propria esistenza e sussistenza, anziché a co-promuovere autosviluppo. Questa inversione pare essere anche un'inversione interno-esterno: la ragione d'esistenza, lo sguardo e l'azione delle ONG, è spesso rivolto a sé stesse, anziché al mondo, alle comunità. E' possibile ri-acquisire uno sguardo rivolto verso l'alterità, verso l'esterno, verso il mondo? Uno sguardo che delinei una cooperazione dialogica? O, forse meglio, dialettica?
Dipendente? L'esigenza di finanziamenti vincola la cooperazione all'aiuto pubblico. E' senz'altro vero che senza risorse non è possibile procedere, ma la dimensione finanziaria pare assumere l'aspetto di un pretesto semplificatorio per evitare una problematizzazione più radicale. Si ha l'impressione, talvolta, che la cooperazione 'si vincoli' all'aiuto pubblico. Quale rilievo assume, in questo quadro, la difficoltà ad attivare risorse locali (nei luoghi) e a coinvolgere le comunità, con l'effetto di un'inevitabile unidirezionalità ed impoverimento sociale? Fare buona cooperazione dipende esclusivamente da un maggiore stanziamento del PIL?
Frammentata? Uno sguardo al panorama della cooperazione, nelle sue diverse forme, ci restituisce l'impressione di una realtà composta da reti verticali e orizzontali, che risultano frammentate e disarticolate, sia tra loro sia al loro interno (a livello amministrativo, a livello territoriale, a livello settoriale⅀). Reti in cui gli attori (un ente locale, un'organizzazione nongovernativa, un'organizzazione governativa) perdono la loro peculiarità (quale il compito di un'istituzione nel fare cooperazione? quale l'apporto della dimensione nongovernativa? quale il ruolo dei governi?), confondendosi in un indistinto 'intervenire', sia a livello politico sia a livello operativo, caratterizzato da sovrapposizioni, inefficacia, improduttività. Reti disegnate sulla carta, che appaiono come un insieme di punti sconnessi nell'operatività perché privi di linee che li colleghino, di una visione d'insieme. Quali spazi per tracciare connessioni nell'approccio e nell'operatività?
Imbrigliata? E' immaginabile un'erogazione dei contributi economici per la cooperazione svincolata da logiche clientelari e scandita invece da criteri, che muovano da una valutazione dell'operato sul campo delle organizzazioni e da logiche d'azione interne ed esterne (ad es. la formazione del proprio staff)? E' immaginabile una visione della cooperazione che abbandoni il paradigma economicista della crescita economica per approdare ad un'idea e ad una pratica di sviluppo co-promosso e includente parametri di qualità della vita? Ed infine, sul piano legislativo, è delineabile una cooperazione che, da un lato, veda appliacate completamente le buone leggi che la riguardano (ad es. la legge 209 sulla cancellazione del debito) e, dall'altro, veda equilibrato il rapporto tra investimenti per la morte ed investimenti per la vita (es. spese militari)?
Plurale? Urgente appare l'esigenza di riconosce il ruolo del pluriverso di attori di solidarietà internazionale, che agiscono in diverse forme ed in base alla propria specificità: economia solidale, mondo del lavoro, enti locali, istruzioni, associazionismo non profit, onlus, fondazioni, botteghe del mondo, associazioni di migranti. Quali specificità e quali connessioni possibili? Quali sfide di fronte al moltiplicarsi dei soggetti?
Salvifica? Le ONG si rappresentano mediaticamente, da un lato, e si comunicano secondo il linguaggio ufficiale, dall'altro, come 'donatori'. Donatori di beni materiali e immateriali democrazia. Ma, soprattutto, si percepiscono nell'agire cooperativo come tali, alimentando un rapporto asimmetrico con l'alterità, ridotta - e talvolta offesa - nella sua essenza identitaria ad 'essere bisognoso' di qualche cosa, ad essere non autosufficiente e non autonomo. Tale sindrome impedisce, va da sé, l'autosviluppo e l'autopromozione sociale. E' possibile lavorare su questa asimmetria? Sulle ambivalenze (ambiguità?), sulle ombre, dell' 'umanitario'? O su una dissimmetria meno mistificata? Come smascherare le implicazioni di una relazione di reciproca dipendenza?
Sporadica? La cooperazione fatica ad esprimere relazioni tra luoghi e volti. Pare essere in sintonia con un tempo, il nostro, che arranca nel valorizzare, attivare ed alimentare logiche di processo, di continuità, di tessitura, di durata e predilige, invece, interventi spot ad apparente alta efficacia. Si configura così una cooperazione 'a tempo determinato', segnata da scadenze progettuali, dalla dimensione quantitativa delle molteplici scoordinate relazioni, di volta in volta innescate sull'onda dell'emergenza. E' possibile riguadagnare il tempo del processo (la relazione) sul tempo del progetto (l'azione)?
Statica? In un mondo che corre a ritmi sempre più rapidi, segnato da continue dinamiche di cambiamento nelle relazioni internazionali (e non solo), l'approccio e le modalità di intervento dell'azione nongovernativa e governativa (culture e strumenti) risultano spesso inadeguate: non solo non si riesce a pensare la propria azione, ma nemmeno ad aggiornare/sintonizzare il pensiero (e, di conseguenza, l'azione) al mondo. Quale spazi per elaborare una filosofia di intervento? Quale luoghi per ri-appropriarsi dell'anima politica dell'azione cooperativa? Quali strumenti legislativi ad essa connessi (una legge sulla cooperazione in sintonia con i tempi)?