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CPT: a quando la chiusura?
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Lo scorso 16 ottobre è avvenuto il secondo suicidio in sole 48 ore nel Centro di Permanenza Temporanea di Modena, gestito dalla locale sezione delle Misericordie. Monam Ajouli aveva 23 anni ed era tunisino, Mohammed Turi aveva 25 anni ed era giunto nel Cpt solo una settimana prima. Durissimi i comunicati stampa emessi dall'ARCI e dall'ASGI (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione).
L'ARCI evidenzia come "nel rapporto della Commissione De Mistura, di cui l'Arci ha fatto parte, il Cpt di Modena è stato segnalato tra i peggiori, per le condizioni logistiche, la mancanza di relazioni umane, le condizioni alienanti a cui sono costretti i detenuti". Una situazione disumana che "spiega i ripetuti tentativi di fuga, l'esasperazione che porta ad atti violenti contro altri e contro se stessi. Ci si ribella ad una ingiustificata condizione di costrizione, alla perdita di dignità, alla fine coatta di ogni speranza." L'ARCI chiede al governo infine di impegnarsi per cercare i parenti delle due vittime per "restituire i corpi e per risarcirle del danno irreparabile di cui è responsabile il nostro paese." Governo nei confronti del quale l'ARCI afferma che "Il suicidio di due giovani migranti a distanza di poche ore nel Centro di permanenza temporanea di Modena carica di responsabilità questo governo, che fa pagare le sue contraddizioni e i suoi ritardi a tanti disperati giunti in Italia sperando in una possibilità di futuro".
L'ASGI a sua volta riprende le conclusioni della commissione De Mistura sui Cpt ed invita il governo a porre in essere immediatamente alcuni provvedimenti: "ridurre drasticamente i casi di invio degli stranieri ai CPTA e dall'altro a strutturare i servizi di tutela legale e psicosociale nei centri in maniera completamente rinnovata nelle logiche e nelle forme".
In una lettera pubblica scritta da Gradisca d'Isonzo, sede di uno dei Cpt più importanti d'Italia, diffusa dall'Associazione Senzaconfine, durissime sono le parole riservate alla tragedia di Modena. "In quarantotto ore due esseri umani sono stati portati a togliersi la vita da un sistema violento che produce ogni giorno precarietà esistenziale, disperazione, arbitrio, tragedie. Queste due morti devono farci riflettere tutti. Sono la dimostrazione che anche i Cpt umanizzati del centrosinistra uccidono come e più degli altri. Devono riflettere innanzitutto quelli della piazza del 20 di ottobre che di fatto sostengono il governo responsabile di ciò che succede oggi nelle galere etniche e nelle strade, quotidianamente, a danno di tutti i migranti. Non ci si può lavare la coscienza chiedendo l'abrogazione di una legge, la Bossi-Fini, di fatto già superata e in peggio. Dovranno riflettere bene se, per salvare le poltrone dei partiti 'amici' che stanno dentro quel governo, si possa passare sopra anche a questa tragedia, come si è fatto già per la guerra".
Intanto, il 28 settembre scorso il gup del tribunale di Lecce, Nicola Lariccia, ha condannato don Cesare Lodeserto, ex direttore della Fondazione Regina Pacis e del Centro di Permanenza Temporanea gestito a San Foca, a 5 anni e 4 mesi insieme con il nipote Luca (condannato a tre anni e due mesi) e due collaboratori (uno ha subito solo una multa) mentre un altro collaboratore del centro è stato assolto. Lunga la lista delle accuse contro il prelato: sequestro di persona, abuso di mezzi di correzione, estorsione, calunnie, ingiurie e minacce. La condanna è stata più mite rispetto a quanto richiesto dall'accusa, oltre 7 anni, perché Lodeserto ha chiesto il rito abbreviato.
Il suo arresto nel 2005 fu al centro di numerose polemiche e prese di posizione, divise tra chi - soprattutto politici e persone della curia leccese, compreso il vescovo mons. Ruppi - solidarizzò con lui e le associazioni antirazziste e per i diritti civili dei migranti che auspicarono venisse fatta giustizia delle violenze perpetrate in quello che definivano il "lager del Salento".
Le accuse contro Lodeserto sono di aver obbligato le donne a lavorare presso la fabbrica di mobili Soft Style di Carmiano, assunte in modo irregolare per circa otto ore al giorno, dal lunedì al venerdì, e ulteriori cinque ore il sabato, per soli 25 euro al giorno. Se rifiutavano venivano minacciate di essere rinchiuse nel centro, senza possibilità di uscire. L'inchiesta che ha portato alla condanna di questi giorni era partita da un processo per maltrattamenti nei confronti di alcuni migranti maghrebini che tentarono la fuga dal centro nel 2002 per evitare il rimpatrio. Alcune ragazze moldave raccontarono che don Cesare aveva impedito loro di uscire dal centro privandole anche del loro permesso di soggiorno e avrebbe anche indotto un teste chiave di quel processo a dichiarare il falso.
Quel processo si concluse con la condanna di Lodeserto a 16 mesi per violenza privata e lesioni mentre in un altro processo celebrato in questi anni fu riconosciuto colpevole di simulazione di reato e condannato a 8 mesi. L'accusa era di aver simulato l'invio al suo cellulare di messaggi di minaccia contro lui e la madre per screditare le proteste contro l'attività del Centro di Permanenza Tempolranea (Cpt) da lui diretto e ottenere una scorta. Il Cpt gestito dalla Fondazione Regina Pacis è stato negli anni scorsi infatti al centro di numerose proteste per le violenze, ora dimostrate in tribunale, e le vessazioni subite da migranti detenuti. Tra i primi ad occuparsene ci fu il compianto Dino Frisullo, segretario dell'Associazione Senzaconfine e fondatore dell'Associazione Azad, morto nel 2003. Nello stesso anno il giornalista e regista Stefano Mencherini ha realizzato il documentario Mare Nostrum, mai trasmesso in televisione e al centro di numerosi casi di censura, in cui don Cesare Lodeserto e le attività da lui gestite occupano larga parte. Dopo l'arresto nel 2005 il centro di San Foca, dove sono avvenuti i reati contestati al sacerdote, è stato chiuso mentre sono tutt'ora in attività i centri aperti in Romania, Moldavia e Ucraina.
di Alessio Di Florio