Burkina Faso. Un colpo aperto e (quasi) chiuso?

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17-22 settembre 2015. Diario di una settimanaVivere a distanza una crisi politica che potrebbe diventare un grave attentato alla democrazia del paese è un’esperienza interessante, anche se faticosa, soprattutto quando alla testa di un movimento di resistenza c’è una società che crede in se stessa.

Guardare da lontano è sicuramente rischioso. Le cose non sono mai quello che sono, non sono mai così come vengono rappresentate, sia quando vengono edulcorate sia quando vengono negativamente enfatizzate. Ci sono situazioni in cui non si può fare diversamente: allora si guarda da lontano, dall’Italia con lo sguardo rivolto verso il Burkina Faso. In mezzo c’è il filtro della rete, i social Facebook e Twitter, in particolare, ma anche le reti a diffusione internazionale come France 24 e TV5Monde. La rete ha fatto da ponte in questi cinque giorni, ha legato le nostre storie con quelle di chi in questi giorni si è misurato faccia a faccia con la stupidità esibita di un potere anacronistico alla ricerca del suo posto al sole. Ovattato in un mondo clientelare, di potere becero, privo di amore per la cosa pubblica. Perché un colpo di stato in un paese impegnato in un processo di transizione pacifica, a tre settimane dall’elezione presidenziale (prevista per l’11 ottobre) ha delle gravissime ripercussioni sulla vita di 18 milioni di persone (dato stimato): scuole chiuse, ospedali a rischio, botteghe supermercati mercati chiusi, banche chiuse; significa diritti umani e sociali negati e pesanti sanzioni economiche pendenti su un paese qui se cherche, che fatica a fare progetti di futuro e cerca di vivere dignitosamente di presente.

Quindi, la questione è che dopo un anno di vita “democratica” faticosamente ottenuta a voce di popolo nell’ottobre 2014 e avviata con la destituzione dal trono pluridecennale (1987-2014) di Blaise Compaoré, le velleità e la gestione arbitraria del potere da parte di chi si crede forte con le armi non possono vanificare gli sforzi di un intero popolo e pretendere di essere pure legittimati. Non c’è stata persona che sia rimasta a guardare con le mani in mano: la società burkinabé vive la pienezza di un’età adulta in cui i sogni non sono solo ideali, ma progetti concreti da difendere; non si tratta più della società “adolescenziale” degli anni ’80 del secolo scorso. Oggi la società burkinabé sa per cosa sta lottando: e la parola “resistenza” ha un connotato chiaro di “voglia di presa in carico”, desiderio di scrivere la propria storia.

Questa storia comincia mercoledì 16 alle 14.30 (ora del Burkina; 16.30 in Italia). Una riunione del Consiglio dei ministri è stata interrotta da dei militari del RSP (Régiment de sécurité présidentielle) e si è conclusa con la presa in ostaggio di Michel Kafando, presidente della transizione, del primo  ministro Isaac Zida e di altri due ministri.

Giovedì 17 settembre. Gilbert Diendéré, ex capo di stato maggiore dell’ex presidente Blaise Compaoré e storico comandante delle RSP ha dichiarato, attraverso il luogotenente colonnello Mamadou Bamba, di aver messo fine al régime déviant de la transition.

Una trovata del tutto anacronistica per un uomo del passato abitato dai suoi fantasmi, dalla paura di una storia che in Burkina è più attuale che mai – il dossier di Thomas Sankara riaperto dal governo della transizione –, dal fallimento di un corpo militare “eteronomo”, quello delle RSP, oramai privo di significato e in fase di dissolvimento, creato nel 1995 da Compaoré per difendere il suo progetto di autoritarismo dispotico. Una serie di ragioni, quindi, profonde, ancorate nella storia del paese, nel sangue versato durante trent’anni di potere tirannico, nella memoria di chi oggi fa il paese.

18-19-20 settembre. È chiaro che un sogno non può essere calpestato da un corpo militare élitario, fatto di poco più di mille uomini “fedeli” a qualcuno che ha contribuito all’inerzia di un paese schiacciandolo nel vortice del clientelismo e della corruzione. Oggi c’è chi è disposto a metterci la faccia. In questi giorni i social sono stati un continuo invito alla mobilitazione, alla presa in carico, alla lotta: tutti inclusi, dal docente universitario al commerciante ambulante, dall’artista più noto al bricoleur della porta accanto. “Résistence!” è stata la parola chiave con chiamate continue dai quartieri per sorvegliare le strade, gli angoli delle case, gli spazi pubblici e privati, tutti vigili in modo che la situazione non precipitasse. 

Venerdì 18. L’arrivo dei “mediatori”, il presidente senegalese Macky Sall e il suo omologo beninese Thomas Yayi Boni, sotto il mandato della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO) – presieduta da H. E. Kadré Désiré Ouédraogo, primo ministro burkinabé dal 1996 al 2000, vicino al partito di Compaoré  – avevano fatto intravvedere degli spiragli di risoluzione della crisi. Il testo del progetto per uscire dalla crisi è stato reso noto lunedì 21, dopo alcuni giorni di trattative, ed è in discussione ad Abuja oggi 22 settembre durante una convocazione straordinaria dei capi di stato della CEDAO. La società burkinabé ritiene che il progetto sia vergognoso perché legittima il colpo di stato e le esigenze del RSP. Tra i punti più critici e criticati del testo troviamo la proposta di amnistia per i fautori, l’inclusione delle persone(si tratta di candidati molto vicini all’ex-presidente Compaoré e membri del suo partito, il CDP – Congrès pour la Démocratie et le Progrès) le cui candidature all’elezione presidenziali erano state dichiarate non ammissibili secondo il nuovo codice elettorale votato dall’Assemblea nazionale ad interim il 7 aprile 2015. Il documento prevede inoltre il ritorno di Kafando e la liberazione incondizionata di tutte le persone che sono detenute a seguito delle manifestazioni del 17 settembre. 

Lunedì 21 settembre. Gli eventi si sono susseguiti velocemente. Tutte le unità dell’esercito regolare del Burkina hanno iniziato il loro viaggio verso la capitale lasciando Bobo-Dioulasso e Dédougou a ovest, Ouahigouya a nord, Kaya e Fada N’Gourma a est e trovando il consenso popolare e l’acclamazione. Gilbert Diendéré, accerchiato (1.000 uomini contro 10.000), alla ricerca di qualche consiglio presso l’autorità morale più importante del Burkina, il mogho naaba Baongo II, imperatore dei Mossi, tradito da alcuni degli uomini del RSP è apparso alla televisione alle ore 18.15 circa, ora del Burkina (20.15 in Italia), scusandosi con il popolo e con la comunità internazione per quanto accaduto: “Nous Général de brigade Gilbert DIENDERE, Président du CND, le Régiment de Sécurité Présidentielle; déplorons les pertes en vies humaines, les blessées et les dégâts matériels, et présentons nos condoléances aux familles éplorées ; confirmons notre engagement à remettre, le pouvoir aux autorités civiles de la Transition, à l’issue de l’accord définitif de sortie de crise sous l’égide de la CEDEAO. Acceptons la libération du Lieutenant-colonel Yacouba Isaac ZIDA en signe d’apaisement conformément au projet d’accord. Nous engageons à œuvrer pour la cohésion de l’Armée. Présentons toutes nos excuses à la Nation et à la Communauté internationale”.

Martedì 22 settembre. La sua dichiarazione ha ridato speranza, ma resta pur sempre l’uomo più informato del Paese. Colui che sa, che ha reti ovunque, sostegni in ogni stanza.

Cosa sta accadendo oggi a Ouagadougou? Come sta andando la riunione dei capi di stato riuniti in Nigeria? Condannato fin da subito da François Hollande – “Je condamne ce coup d'État, je le condamne fermement parce qu'un processus électoral était en cours, les dates étaient arrêtées, le corps électoral était recensé et il y avait donc un processus […] Il ne peut pas être expliqué que des groupes puissent empêcher cette transition démocratique qui était en cours. J'appelle donc ceux qui ont commis cet acte à libérer les personnes qui sont retenues, et notamment le président de la transition qui encore aujourd'hui est pris en otage, et j'appelle ces groupes à cesser immédiatement leur action” – , condannato dall’Unione Africana, non c’è storia che questo colpo di stato faccia storia. Purtroppo però i “ma” sono latenti perché il sospetto che ci siano pericolose manovre di manipolazione dei discorsi e delle persone è alto. Facendo i conti ci sono ancora molte questioni che non hanno risposta o calcoli che non tornano. Se Diendiéré uscirà profondamente sconfitto dal suo tentativo di prendere il potere, i giorni della verità e della giustizia dovranno avere il loro corso. Se la fine della crisi gli riserverà la possibilità di restare, magari “condividendo” il potere, fino alle elezioni, con il serio rischio di ottenere l’amnistia e rinviare ancora la paura del giudizio, o forse di farla tacere per sempre, allora ci sarà chi non potrà accettare. Certamente, “résistence active” è la parola d’ordine di questo martedì mattina 22 settembre pieno di tensioni, dichiarazioni, rischio di scontri anche se nessuno sembra volere “un bagno di sangue”. 

Sara Bin

(1976) vive in provincia di Treviso e lavora a Padova. É dottore di ricerca in geografia umana; ricercatrice e formatrice presso Fondazione Fontana onlus dove si occupa di progetti di educazione alla cittadinanza globale e di cooperazione internazionale; è docente a contratto di geografia politica ed economica; ha insegnato geografia culturale, geografia sociale e didattica della geografia. Collabora con l’Università degli Studi di Padova nell'ambito di progetti di educazione al paesaggio e di formazione degli insegnanti. Ha coordinato lo sviluppo e l'implementazione dell'Atlante on-line in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione, del'Università e della Ricerca. Dal 2014 fa parte del gruppo di redattori e redattrici di Unimondo. Ha svolto attività didattica e formativa in varie sedi universitarie, scolastiche ed educative ed attività di consulenza nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Tra i suoi principali ambiti di ricerca e di interesse vi sono le migrazioni, la cittadinanza globale, i progetti di sviluppo nell’Africa sub-sahariana, lo sviluppo locale e la sovranità alimentare. Ha svolto numerose missioni di ricerca e studio in Africa, in particolare in Burkina Faso, Senegal, Mali, Niger e Kenya. E' membro dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia e presidente della sezione veneta

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