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Burkina Faso: l’ora della democrazia è scoccata?
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29 novembre 2015. Elezioni presidenziali ed elezioni amministrative fanno voltare pagina al Burkina Faso che prova a ripartire dopo un anno di transizione politica che è costata un duro colpo all’economia del Paese. La partecipazione della popolazione è stata significativa: il 60% degli aventi diritto ha espresso la sua preferenza. Roch Marc Christian Kaboré è uscito vincitore; finalmente però i voti non gli conferiscono un potere assoluto: molti sono i partiti che entrano nel nuovo gioco della democrazia.
All’inizio del 2015 ci siamo chiesti quale futuro avrebbe atteso il Burkina Faso. Dal 30 ottobre 2014, - giorno in cui Blaise Compaoré, dopo ventisette anni, ha dichiarato di dimettersi da un potere gestito arbitrariamente, attraverso il compromesso clientelare, talvolta la violenza –, ad oggi, sono accadute alcune cose.
Gli sforzi della transizione di Michel Kafando e del suo gruppo di lavoro, le attività dei movimenti cittadini, non da ultimo, tra il 16 e il 22 ottobre, il tentativo, da parte di qualche sopravvissuto dell’ancien régime, di interrompere con un colpo di stato un movimento democratico. Infine, il 29 novembre, con un ritardo di un mese e mezzo rispetto alle previsioni iniziali, uomini e donne burkinabé sono andati alle urne per scegliere il loro presidente e i loro rappresentanti all’Assemblea Nazionale. Il Burkina è un repubblica semipresidenziale, come la madre Francia. Il presidente viene eletto direttamente dai cittadini.
Il 29 novembre (mentre papa Francesco si trovava a Bangui ad aprire la porta del Giubilo), in Burkina 3.309.988 votanti su 5.517.015 iscritti alle liste elettorali, cioè il 60%, hanno fatto la loro scelta; 191.293 schede sono risultate nulle. I dati sono della CENI, la Commissione elettorale nazionale indipendente.
Su 14 candidati, Roch Marc Christian Kaboré ha ricevuto il 53,49% delle preferenze ed è diventato il Président du Faso, Presidente di diciotto milioni di burkinabé senza esclusione.
All’indomani dell’elezione, i titoli dei giornali puntavano sul carattere libero, partecipato, sfidante di questa tornata elettorale, esaltando la capacità del Paese di lanciarsi verso una nuova era all’insegna della democrazia e della trasparenza.
Dietro a questa ondata di entusiasmo, salivano, però, quasi in parallelo, le critiche. Da un lato denunciavano le inefficienze di un sistema legate alla mancanza delle liste elettorali, non esposte in bene il 76% dei seggi, l’apertura tardiva degli stessi, la mancanza di materiale e l’insufficienza delle schede elettorali. Dall’altro, queste critiche volevano mostrarsi come contraltare dell’euforia.
Quale cambiamento dunque? É stata la questione al centro dei dibattiti. Secondo alcune analisi, le ultime elezioni presidenziali hanno scritto un pezzo di storia recente in continuità con quella del passato, all’ombra non del baobab, ma di Blaise Compaoré. Solo guardando le provenienze dei canditati si deduce che almeno la metà ha fatto parte del defunto CDP, il partito del Congresso per la Democrazia e il Progresso, il grande escluso dalla corsa presidenziale. Pure i due favoriti al palazzo di Kossyam, sede della presidenza non sono da meno.
Roch Marc Christian Kaboré: classe 1957; partito di appartenenza: Mouvement du peuple pour le progrès - MPP; originario del Ganzourgou, provincia del Burkina centrale; il suo villaggio natale è Zorgho, terra dei mossi; è stato primo ministro dal 1994 al 1996 e presidente dell’Assemblea Nazionale dal 2002 al 2012 durante il regime precedente.
Zephirin Diabré: classe 1959; partito di appartenenza: Union pour le progrès et le changement – UPC; originario del Zoundwéogo, nel centro-sud del Paese; il suo villaggio natale è Foungou, terra dei bissa; è stato ministro delle finanze (dell’economia, del commercio, dell’industria e delle miniere) durante gli anni ’90 del Novecento.
È evidente che le passate cariche di Kaboré e Diabré siano state onorate dai due uomini giurando fedeltà al CDP che è stato il partito assoluto del regno di Blaise. Non sarebbe stato possibile altrimenti: lavorare in Burkina senza la tessera del partito era, durante il trentennio Compaoré, ambizione impossibile (o quasi) da perseguire.
Entrambe hanno preso le distanze dalla politica di Compaoré. In particolare Kaboré, nei primi giorni del 2014, quando l’ex despota dimostrò l’intenzione di modificare l’articolo 37 della Costituzione per potersi ripresentare alle elezioni del 2015, annunciò le sue dimissioni, insieme ad altri membri del CDP, alle quali ha fatto seguito la nascita del MPP. Qualcosa c’era nell’aria del Faso. Nulla accade per caso dentro e fuori le stanze del palazzo. Quasi dopo due anni di intenso movimento dall’alto e dal basso, lo stesso Kaboré ha preso le redini del Paese. Gli elementi per far parlare le lingue sono tutti posti.
Al di là di ogni legittima critica, l’elemento più innovativo di questo momento post-elettorale è la certezza che il partito del nuovo presidente non ha la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale: 55 deputati su un totale di 127. Oltre che per il presidente, infatti, i bukinabé erano chiamati a voltare per il loro deputati e deputate. Sulle legislative non ci sono dubbi; sono forse le più democratiche della storia del Burkina. Per la prima volta chi governa deve costruire il suo discorso e le sue pratiche negoziando con altri piccoli, ma significativi partiti. Innanzitutto l’UPC con 33 deputati e il CDP con 18. Il partito sankarista ha ottenuto 5 seggi parlamentari, gli altri partiti meno di 3. Questo è sicuramente il segnale più interessante che il Paese stava attendendo da tempo, un segnale che il Paese stesso è riuscito a costruire da sé. Buon “viaggio” Presidente nella terra degli uomini e delle donne integri. Wende siki laafi.
Sara Bin

(1976) vive in provincia di Treviso e lavora a Padova. É dottore di ricerca in geografia umana; ricercatrice e formatrice presso Fondazione Fontana onlus dove si occupa di progetti di educazione alla cittadinanza globale e di cooperazione internazionale; è docente a contratto di geografia politica ed economica; ha insegnato geografia culturale, geografia sociale e didattica della geografia. Collabora con l’Università degli Studi di Padova nell'ambito di progetti di educazione al paesaggio e di formazione degli insegnanti. Ha coordinato lo sviluppo e l'implementazione dell'Atlante on-line in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione, del'Università e della Ricerca. Dal 2014 fa parte del gruppo di redattori e redattrici di Unimondo. Ha svolto attività didattica e formativa in varie sedi universitarie, scolastiche ed educative ed attività di consulenza nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Tra i suoi principali ambiti di ricerca e di interesse vi sono le migrazioni, la cittadinanza globale, i progetti di sviluppo nell’Africa sub-sahariana, lo sviluppo locale e la sovranità alimentare. Ha svolto numerose missioni di ricerca e studio in Africa, in particolare in Burkina Faso, Senegal, Mali, Niger e Kenya. E' membro dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia e presidente della sezione veneta.