Benvenuti nell’era Trump

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Benvenuti nell’era Trump. Non stiamo parlando del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti appena eletto, di cui ignoriamo (e temiamo) quasi completamente i provvedimenti concreti. Stiamo parlando del personaggio Trump, divenuto in pochi mesi, forse in una notte, un simbolo, un’icona capace di segnare un’epoca. “The Donald” è già l’emblema di una fase politica, di una stagione caratterizzata da un vento impetuoso che va in un’unica direzione. Quella che a noi non piace. Seguirla sembra però essere inevitabile per conquistare voti e per vincere le elezioni. Ovunque ci sia una democrazia o una parvenza di essa. A livello globale (e locale) la tendenza è univoca: dagli Stati Uniti, all’Europa, chi vuole cavalcare l’onda del consenso deve avere certe caratteristiche e tenere certi atteggiamenti. Vediamo di elencarne alcuni.

Non essere (e non essere stati mai) al governo. Il motto di Andreotti non vale più: il potere logora, eccome. Se sei invece all’opposizione, se non hai avuto incarichi esecutivi o amministrativi, sei già a cavallo. Puoi dire quello che vuoi, non devi scusarti per nulla, nessuno sa quali siano le tue reali capacità. Puoi costruire da zero la tua immagine e soprattutto hai un avversario ben definito. Semplice, immediato: il governo in carica, chi sta in quel momento al potere. L’establishment. Altrimenti devi subito cercartene un altro.

Trovare un nemico. Mai dare credito al proprio avversario politico. Attaccare sempre. Demonizzare. Mai mettersi sullo stesso piano. Mai concedere qualcosa. L’avversario è totale. Deve “andare a casa”. Non può fare niente di buono. È incapace di governare. È corrotto. Peggio, è un traditore. Perché bisogna far credere alla gente che le soluzioni per ridare benessere sarebbero a portata di mano: basterebbe volerlo. Ma l’avversario non lo vuole, perché succube dei “poteri forti”. Basterebbero pochi provvedimenti, ma chi è al governo pensa solo a se stesso, vuole affamare la gente. Non ci potrà mai essere dialogo con “lui”, con “loro”, che sono antropologicamente diversi da “me”, da “noi”. Non esiste, non può esistere un terreno comune.

Chi si trova al potere, invece è più impacciato. Ma, tranquilli, i nemici sono tanti e si possono anche inventare. Una volta erano soprattutto gli ebrei, ora le categorie sono aumentate. Negli Stati Uniti: gli afroamericani, i clandestini, i cinesi. In Europa: la moneta unica, i burocrati di Bruxelles, i mussulmani, i rom. Nelle Filippine: i tossicodipendenti. In Turchia: i curdi, i giornalisti, i professori universitari. In Russia: i gay, gli operatori umanitari, gli “occidentalisti”. Sempre: l’opposizione. Dappertutto: gli immigrati. Dipinti alla stregua di terroristi. In Italia i migranti stanno già attuando un invasione, bisogna fermarli. Si erigono muri, si generano paure, si minacciano soluzioni finali. E così si prendono i voti.

Essere vicini al “popolo”. Soprattutto nei suoi istinti. Essere disinibiti, volgari, come si fosse perennemente in una bettola. E magari un po’ alticci. Chissenefrega. Questo vuole il “popolo”. E intanto si vive in ville milionarie. Ma questo non importa, perché il “popolo”, una volta ingannato, si identificherà con te, crederà di diventare ricco come te. Storia già vista. Illusioni già sperimentate. Che tuttavia ritornano. Per sedurre meglio devi fare qualcosa di eclatante (che di solito riguarda i soldi). Rinunciare allo stipendio. Dare un’elemosina. È uno specchietto per le allodole: nessun problema, ci cascheranno. Devi poi attaccare i colti, gli intellettuali, ma pure i borghesi. La rivoluzione, così ci insegna Mao Zedong, smantella innanzitutto le élite.

Usare un linguaggio retrivo, scurrile, ma facilmente comprensibile. Anche in questo caso occorre proseguire con tenacia, senza mai guardarsi indietro. È necessario offendere sempre di più, superare qualsiasi limite della decenza. Ovvio che le allusioni sessuali – praticamente sempre piegate alla visione machista, ma sciaguratamente utilizzate e tollerate da troppe donne – sono le componenti essenziali di questa nuova grammatica politica. Seguono gli insulti ai deboli, ai diversi, ai poveri che sono sempre impostori, stravaganti, fannulloni, al di sotto dell’umanità. La pietà, l’educazione, il desiderio di creare una comunità solidale sono sentimenti “buonisti” che non fanno prendere voti.

Non fare ragionamenti complessi. In questa nuova era il confine tra verità e menzogna non esiste più. Quindi bando alle cifre reali, ai dati certi, a quello che fino a ieri sembrava consolidato e razionale. Basta parlare a slogan. E mettere insieme un po’ di tutto. A livello economico, sociale. Promettere, promettere, promettere. Nessuno si accorgerà delle contraddizioni.

Alimentare la paura. Potrebbe essere il primo punto dell’elenco. Gli altri ti sono ostili, devi avere paura di loro. Io verrò a salvarti. Questo terrore ha varie metamorfosi. A livello globale è il libero scambio. La Cina. Ma anche i disperati sui barconi. Ecco comparire muri, concreti o economici. Ma la soluzione c’è: il nazionalismo, il sovranismo. Nel cortile di casa: padroni in casa nostra, “prima i nostri”. Licenza di sparare agli intrusi. Tolleranza zero. Intanto però “gli altri” faranno i lavori più umili, saranno utilizzati finché servono. Poi scartati. Ma quasi sempre non votano.

Quanto durerà, come finirà un’epoca così? Questo, ovviamente, non ce lo dicono. 

Tratto dal Trentino del 20 novembre

Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.

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