www.unimondo.org/Notizie/Bangladesh-le-ingiustizie-sociali-e-il-mercato-jihadista-in-Asia-158625
Bangladesh, le ingiustizie sociali e il «mercato jihadista» in Asia
Notizie
Stampa
«Amar sonar bangla», il «nostro Bangladesh dorato», come recita l’inno nazionale scritto dal premio nobel Tagore. Bangladesh, 180 milioni di persone, un paese poverissimo di infrastrutture e di lavoro ma ricchissimo di materie prime, gas naturale sopratutto, e storica apertura ai «videshi», gli stranieri noti ai milioni di migranti bangladeshi in cerca di lavoro. Un panorama quasi idilliaco, descritto al passato da Matteo Miavaldi su il Manifesto. Negli ultimi cinque anni tutto è stato trasformato da violenze e tensioni interne che ha creato i presupposti per un’avanzata dell’estremismo islamico inedita nel paese e di natura diversa rispetto al resto del mondo. Dunque, in Bangladesh il jihadismo aveva attecchito da tempo, ma l’ordine dello governo era negare o minimizzare. Eppure solo due settimane fa sono state arrestate 11mila persone sospettate di essere vicine a gruppi terroristici. Le proteste che nascono da povertà, devastazione sociale, sfruttamento delle multinazionali manifatturiere, vengono perseguite come terrorismo. E il terrorismo vero ringrazia.
In questo contesto, analizza Simone Pieranni, sempre su Il Manifesto, sorgono gruppi che si rifanno più o meno a Daesh o al Qaeda. Ad esempio, Jamaat ul Mujahidden Bangladesh (più vicino a Isis), o Ansarullah Bangla Team (più vicino ai qaedisti). In Bangladesh e in gran parte dell’Asia - è la osservazione chiave della riflessione-analisi - il terrorismo jihadista è differente da quello di altre zone del mondo. Nel 2010 si apre a scoppio decisamente ritardato un processo per crimini di guerra per i fatti del 1971, quando il Pakistan orientale si staccò sanguinosamente da quello occidentale diventando, appunto, Bangladesh. Alla sbarra numerosi esponenti dei partiti di opposizione, varie gradazioni di islamismo, con accuse di terrorismo e collaborazionismo con le forze pakistane. Condanne a morte. Lo zelo del sistema giuridico, usato come arma per annientare l’opposizione capitanata da Zia Khaleda.
Nel 2013, migliaia di studenti e manifestanti laici espressione del movimento di piazza Shahbagh, chiedevano che venisse fatta giustizia col sangue per i criminali di guerra. Accontentati dal tribunale per i crimini del ‘71, le stesse anime di Shahbagh diventano a loro volta bersagli della vendetta dell’estremismo islamico. Aggressioni fulminee a colpi di machete, con piccoli commando di due o tre persone a colpire professori universitari, blogger, fedeli hindu, cristiani, attivisti Lgbtq fino ad allargare il cerchio assassinando i cooperanti Cesare Tavella e il giapponese Kunio Hoshi nel 2015.
Severo Miavaldi critica l’incasellamento superficiale delle molte espressioni di terrorismo dietro sigle note, cancellando le differenze che esistono e aiuterebbero a meglio capire. Ora è «Isis in Bangladesh», che le autorità locali continuano a negare contro ogni evidenza. Le turbolenze interne del Bangladesh hanno fatto e fanno gola alle organizzazioni terroristiche islamiche internazionali, con al-Qaeda in declino costante e Isis a combattere una guerra mediatica a distanza rispetto alle recenti sconfitte sul campo di battaglia. La strage a Dhaka, lo ripetiamo, è arrivata a due settimane dalla controffensiva della polizia bangladeshi, che aveva arrestato migliaia di persone sospettate di essere vicine agli ambienti terroristici locali.