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'Banche armate': nuove linee di UBI Banca sull'export armi
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Il Consiglio di Gestione di UBI Banca ha approvato le nuove linee guida di Gruppo per l'operatività nel settore degli armamenti, "in linea con l'orientamento etico proprio di banca popolare". Il documento è stato elaborato anche attraverso il confronto con organizzazioni non governative competenti in materia (Rete Disarmo, Mani Tese, CRBM, Gruppo Editoriale Vita) e ha come riferimento da una parte il dettato costituzionale del nostro Paese - "che ripudia la guerra come strumento per la composizione di controversie internazionali" - e i principi etici del rispetto della persona e della promozione dei diritti umani, dall'altra "la consapevolezza della necessità di provvedere al mantenimento di strumenti e forze militari orientate ad assicurare la pace e la difesa della democrazia nei rapporti interni e internazionali".
"Un ulteriore e significativo passo in risposta alle domande di trasparenza e di responsabilità etica messe in campo, fin dal 2000, dalla Campagna di pressione alle 'banche armate'" - afferma Giorgio Beretta - coordinatore della Campagna in un documento a commento diffuso dalla Rete Italiana per il Disarmo. "A fronte di istituti di credito che negli anni scorsi avevano adottato politiche diverse sulla fornitura di servizi all'esportazione di armi italiane, valutiamo positivamente che il gruppo UBI Banca abbia definito una precisa e rigorosa linea di condotta comune anche confrontandosi con le associazioni della società civile che in questi anni hanno sostenuto la campagna" - continua Beretta. "Seppur non si tratti di una totale cessazione delle operazioni è certamente positivo che siano stati introdotti criteri oggettivi, trasparenti e soprattutto più stringenti per la fornitura di servizi in appoggio al commercio di armi" - sottolinea il coordinatore della Campagna 'banche armate' promossa dal 2000 dalle riviste Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia.
Nel merito, Andrea Baranes (Fondazione Culturale Responsabilità Etica e CRBM) evidenzia che "UBI Banca cita esplicitamente alcune reti e organizzazioni attive nell'ambito dei diritti umani, degli armamenti e della trasparenza, dichiarando di prenderle a riferimento per valutare l'ammissibilità di ogni singola operazione". "E' da notare anche la decisione di segnalare il numero di operazioni alle quali è stata rifiutata l'autorizzazione in base a questa nuova policy - aggiunge il coordinatore della Rete Francesco Vignarca - e ciò costituisce uno strumento molto utile, per il pubblico e per la stessa banca, per valutare l'efficacia delle scelte approvate".
Il gruppo UBI Banca si qualifica come il quarto gruppo bancario italiano con una quota di mercato del 6,3% e una presenza significativa nelle regioni a più alto potenziale del Paese. Nato dall'integrazione tra Banche Popolari Unite (BPU, Banca Popolare di Bergamo, Banca Popolare Commercio e Industria) e il gruppo Banca Lombarda, annovera alcune banche da tempo attive nella fornitura di servizi al commercio di armi come il Banco di Brescia - che nel solo 2006 ha assunto operazioni per oltre 76 milioni di euro tra cui due collegate all'esportazione di elicotteri militari Agusta AW139 per un valore di oltre 67 milioni di dollari e una alla vendita al Messico di 3000 fucili automatici Beretta SC-70/90 del valore di quasi 2,7 milioni di dollari - e per il Banco di San Giorgio per operazioni di 9,8 milioni di dollari verso gli Emirati Arabi Uniti.
La decione del gruppo appare ancor più significativa in considerazione della presenza nell'azionariato e nel consiglio di gestione di Ubi della famiglia Gussalli Beretta, storica azionista di Banca Lombarda (Banco di Brescia), e della presenza di tante piccole aziende armiere sparse sul territorio bresciano - riporta l'agenzia Ansa. Ma non va dimenticato che, invece, una parte del gruppo UBI Banca, e specificamente BPU (Banca Popolare di Bergamo, Credito Varesino...) avevano da tempo deciso di non fornire servizi in appoggio all'export di armi italiane.
Il gruppo UBI, ha quindi deciso che "ogni banca del Gruppo dovrà astenersi dall'intrattenere rapporti relativi all'export ci armi con soggetti che siano residenti in paesi non appartenenti all'Unione Europea o alla NATO", "siano direttamente o indirettamente coinvolti nella produzione e/o commercializzazione di armi di distruzione di massa e di altri sistemi d'armamento quali bombe, torpedini, mine, razzi, missili e siluri". Inoltre verrà tenuto conto "delle indicazioni fornite dalle principali Organizzazioni non governative di riferimento e in particolare le liste dei paesi in conflitto comprese ogni anno nel SIPRI, i rapporti di Amnesty International e di Human Right Watch sulle violazioni dei diritti umani e i dati UNDP (United Nations Development Program) relativamente al tasso di sviluppo umano e al rapporto tra spesa militare e spesa per sanità e istruzione dei singoli Paesi.
"Le migliori linee guida hanno ben poco valore pratico se non vengono applicate in maniera rigorosa e puntuale" - commenta la nota diffusa da Rete Disarmo. "Per questo motivo, le reti e organizzazioni della società civile impegnate sui temi della pace e del disarmo continueranno a monitorare con attenzione il comportamento del gruppo UBI Banca (che ha dichiarato di esplicitare i criteri di scelta tramite sito internet e bilancio sociale) e di tutte le altre banche italiane, chiedendo come primo passo l'applicazione completa e trasparente delle linee guida riguardanti i rapporti con il settore degli armamenti" - conclude la nota della Rete Disarmo.
Va segnalato che lo scorso luglio il gruppo IntesaSanpaolo ha deciso di sospendere definitivamente "la partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano il commercio e la produzione di armi e di sistemi d'arma pur consentite dalla legge 185/90", mentre il gruppo Unicredit-Capitalia non ha ancora adottato una linea al riguardo e anzi, nonostante le dichiarazioni dell'Amministratore Delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, di aver emesso "ordini di servizio che disponevano dal 1° gennaio 2001 di non assumere più nuovi contratti di questo tipo" pur ridicendo nel tempo il volume di servizi forniti Unicredit da due anni ricompare con quote rilevanti: erano 101 milioni di euro nel 2005 e sono 86,7 milioni di euro nel 2006 i servizi forniti al commercio di armi italiane.
L'entrata in vigore di una buona legge come la 185 del 1990 non ha però impedito la fornitura di armi anche a Paesi in conflitto come l'Eritrea, ma anche a India e Pakistan che anzi risultano tra i principali acquirenti di armi italiane, a paesi dove si compiono gravi e reiterate violazioni dei diritti umani e civili come Cina, Algeria, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, e a Paesi poveri e altamente indebitati che spendono ingenti risorse nel settore militare come lo stesso Pakistan, il Cile e il Perù. La nostra analisi dei dati del quindicennio dell'entrata in vigore della legge 185/90 mostra infatti che più del 40% delle esportazioni di armi italiane è diretta a Paesi fuori dall'Unione europea e della Nato e, nello specifico, a Paesi del Sud del mondo. Per il futuro la Rete per il Disarmo auspica che dalle banche vengano segnalate "non solo le transazioni di pagamento relative a vendita di armamenti, ma anche destinatari e importi dei finanziamenti e delle aperture di credito". [GB]