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Balene: Giappone sperona Greenpeace, a rischio il caviale
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Il Giappone ha minacciato di mandare la polizia a scortare la sua flotta di baleniere che, impegnata nella caccia alle balene nell'Artico, a sud dell'Australia, da tre settimane viene disturbata da due imbarcazioni di Greenpeace, l'Esperanza e l'Artic Sunrise. Le due barche di Greenpeace tentano con le loro incursioni di impedire l'uccisione delle balene e anche il trasporto della loro carne dalle baleniere alle navi dove vengono lavorate. Hideki Moronuki, vice capo dell'Agenzia della pesca giapponese, ha dichiarato che potrebbe chiedere l'intervento della polizia marittima nipponica nel caso di un'escalation delle azioni di disturbo di Greenpeace, alle quali tra l'altro partecipa anche una marinaia italiana, Caterina Nitto. "Il governo di Tokyo ha chiesto oggi ai Paesi Bassi, dove ha sede la flotta di Greenpeace, di intervenire per far cessare le sue pericolose attività non dissimili dalla pirateria - ha dichiarato Moronuki - Se i militanti dovessero incrementare le loro azioni violente, dovremmo provvedere a misure più severe".
Domenica scorsa una delle baleniere giapponesi ha anche speronato volutamente una delle due navi di Greenpeace, per fortuna causando solo danni all'imbarcazione, e non alle persone a bordo. "Quello che è accaduto è un tentativo deliberato di speronamento che ha messo a repentaglio la sicurezza della nostra nave e la vita del nostro equipaggio", ha dichiarato il capitano della spedizione a bordo dell'Arctic Sunrise. Un simile incidente si era già verificato il 21 dicembre scorso, quando la nave baleniera Kyo Maru è entrata in collisione con l'Esperanza, la seconda barca di Greenpeace presente sul teatro delle operazioni. Tutto questo nonostante Greenpeace abbia più volte ribadito la modalità nonviolenta con la quale si oppone alla caccia alle balene. Nell'Impero del sol levante la caccia alle balene è autorizzata in deroga ad una moratoria decretata nel 1986 sulla caccia commerciale del cetaceo dalla Commissione baleniera internazionale. La scusa ufficiale di questa deroga è "la ricerca scientifica". Il Giappone ha recentemente annunciato che quest'anno intende raddoppiare la sua quota, uccidendo 850 balenotteri e dieci balene.
Ma se nell'Oceano le acque sono agitate, dalle acque interne arriva una buona notizia. La Convenzione Onu contro il traffico delle specie in via di estinzione ha deciso di non approvare per il 2006 le quote di esportazione di caviale dei paesi del bacino del Mar Caspio. Questo perché i dati scientifici forniti dai paesi esportatori che si affacciano sul Mar Caspio, sul Mar Nero, sul Danubio e sul fiume Amur, al confine tra Russia e Cina, indicano che la popolazione di molte specie di storione in queste riserve di pesca sta dando segni di declino. Circa il 60% di tutto il caviale commerciato illegalmente ogni anno è importato dai paesi dell'Europa occidentale. La maggior parte del caviale sul mercato europeo proviene dall'Iran e dalla Federazione Russa, i più grandi esportatori al mondo delle uova di storione e la sua vendita al dettaglio frutta centinaia di milioni di Euro all'anno. E' necessario l'impegno dei paesi importatori ed esportatori a vigilare, sia facendo rispettare misure restrittive contro la pesca di frodo che adottando sempre più le prescrizioni della Convenzione.
Secondo la Convenzione Onu CITES le autorizzazioni (e le quote) di esportazione dovrebbero essere consentite solo se basate su informazioni scientifiche, che assicurino che il commercio del prodotto in questione sia sostenibile. In base al sistema di etichettatura della CITES, infatti, tutti i prodotti di caviale devono riportare un'etichetta che renda possibile l'individuazione della filiera di produzione. Le etichette che sigillano il prodotto devono contenere informazioni sulla fonte del caviale, sulla nazione di provenienza o di imballaggio, sul codice della fabbrica che lo ha lavorato e sui numeri delle autorizzazioni. "Questo sistema di etichettatura - fa presente Massimiliano Rocco, responsabile del Programma Specie e TRAFFIC del WWF Italia - è una garanzia per lo stesso mercato del caviale, perché tutela i produttori come i consumatori, e contribuisce sensibilmente a contrastare il mercato illegale di questo prodotto. E' un impegno concreto che l'Europa deve perseguire nel più breve tempo possibile. L'Italia, come consumatore e produttore di caviale deve dare pieno e puntuale adempimento alle disposizioni CITES anche in questa materia". [AT]