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Balcani: l'8 marzo delle donne dell'Est
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Ogni paese ha i suoi fiori per l'8 marzo. In Bosnia Erzegovina e nella memoria di molte donne dell'Est ci sono i garofani rossi distribuiti, regalati, agitati per un 8 marzo ad orario ridotto. Negli ultimi dieci anni questa giornata è divenuta sempre meno comunitaria, sempre più vicina a qualcosa tra la Festa della mamma e San Valentino che ad una commemorazione politica. Una reazione spontanea ad un "femminismo di stato" durato per troppo tempo. Ma l'essere state precipitate dentro il caos delle guerre ha portato le donne della regione a lottare ancora una volta i propri diritti e la propria emancipazione.
In questo scenario, un gruppo composito di giovani donne di diverse associazioni, come C.U.R.E (Ragazze), ha scelto di organizzare oggi a Sarajevo una passeggiata storica in costume presentando con cartelloni l'8 marzo nel mondo e in Bosnia Erzegovina. Una dimostrazione per far sentire la propria voce e passione politica. Come cita l'invito, una passeggiata in costume (mimohodanje) "per dire che esistiamo, che siamo forti, creative, che non vogliamo solo garofani, ma diritti e opportunità". Il titolo dice tutto: "Senza garofani".
E che la scena femminile e femminista dei Balcani si stia rinnovando lo dimostra un uso consapevole di internet che connette in rete e rafforza singole voci in una realtà sempre più vasta. Organizzazioni composte da donne di meno di trent'anni che dividono la propria giornata tra lavori formali e passione politica: un attivismo delle "ore piccole", come quello di Natasha di Zene na Delu, impegnata con le sue amiche e colleghe a creare un portale interattivo (WiTT) mentre lavora come impiegata alla compagnia dei telefoni serba. O come Nora di Akcija Zdruzenska che in Macedonia ha fatto una ricerca sull'uso di internet nelle associazioni di donne scoprendo ben 52 organizzazioni attive nel settore. Un impegno di donne che vale il doppio in una realtà dove il settore non governativo funziona spesso come una piccola impresa sociale senza una posizione politica chiara e riconoscibile.
A Sarajevo, intanto, accanto alle organizzazioni storiche di donne, nate dalle leghe socialiste e dallo sfacelo della guerra come risposta umanitaria alle questioni della sopravvivenza e della violenza, cresce oggi una realtà che unisce arte e politica e decide di uscire allo scoperto, mostrando in piazza il proprio volto e la propria passione politica, a metà fra memoria e protesta. Dejana, Andrea, Taida sono solo alcune di loro.
Che i diritti vadano difesi e gridati lo provano le nuove versioni liberali delle leggi sulla maternità che hanno drasticamente accorciato il diritto delle donne ad una maternità retribuita. In Macedonia si parla di tre soli mesi di contributi, il resto è a proprio rischio e pericolo. Stesso discorso, in Serbia e in Bosnia Erzegovina. Le associazioni di donne insorgono, ma da sole non bastano. E' necessario richiamare tutte le donne alle piazze, alla protesta e alla parola affinchè i governi conservatori della regione - pressati dal liberismo internazionale e dai crediti e "doni" del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale - non finiscano per liquidare il sistema di garanzie sociali con articoli sparsi in leggi e leggine.
Per questo la rete funziona benissimo. Le donne dell'Est ne hanno riconosciuta la potenzialità, la capacità di scavalcare la rigidità dei mezzi di comunicazione tradizionale. Hanno costruito siti multilingua, aprono gruppi di discussioni che sorpassano la versione statica della pagina web per connettere, rafforzare, comunicare. Ne sono un esempio il Network East-West delle donne che dalla Polonia diffonde informazione dai Balcani all'ex-Unione sovietica. E il WiTT (Women Information Technology Transfer) che, utilizzando i prodotti del software libero, ha messo le donne della regione in condizione di saltare frontiere, visti, governi conservatori e tradizionalisti che le "rappresentano" nei grandi tavoli internazionali. Ma anche South East Europe, il portale della società civile presente nelle quattro lingue locali (albanese, macedone e serbo-croato-bosniaco) ed in inglese che tra l'altro ha fornito, grazie anche al contributo della Provincia di Trento, seminari di formazione per donne su media e nuove tecnologie. Una parola in rete e nelle proprie lingue che permette ai garofani delle ragazze di Sarajevo di arrivare ovunque e in una maniera simbolica, creativa e coinvolgente di essere attive in politica.
di Valentina Pellizzer
LA SCHEDA
Otto marzo: tra memoria e diritti
0tto marzo 1908: le operaie dell'industria tessile Cotton di New York stanno scioperando per le terribili condizioni in cui sono costrette a lavorare. Il proprietario, Mr. Johnson, blocca tutte le porte della fabbrica ed appicca il fuoco. Le 129 operaie prigioniere all'interno muoiono arse dalle fiamme. Trae origine da questo evento nefasto la "Giornata di lotta internazionale per i diritti delle donne". Successivamente, la data ha assunto un'importanza mondiale diventando, grazie alle associazioni femministe, il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, ma anche il punto di partenza per il riscatto delle condizioni lavorative e sociali delle donne.
Oggi due dichiarazioni internazionali sono particolarmente significative. La Convenzione C100 del 1953 che stabilisce il diritto ad una eguale remunerazione fra uomini e donne che svolgono lo stesso lavoro. E la Convenzione C111 del 1960 che garantisce alle donne l'accesso al mondo del lavoro e delle professioni senza vincoli e limitazioni.
A partire dagli anni sessanta il tema dei diritti si è allargato al divorzio e alla procreazione responsabile, spesso confusa con un "diritto all'aborto", che invece intende promuovere una scelta consapevole e responsabile delle donne alla maternità. Un tema che ha visto posizioni contrastanti durante la Conferenza delle Nazioni Unite sui diritti delle donne conclusa nei giorni scorsi a New York indetta per fare il punto a dieci anni dalla storica Conferenza di Pechino. (G.B.)