Anche il Kosovo va a elezioni

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Anche il Kosovo va a elezioni quest’anno al pari di molti altri Paesi europei. Elezioni anticipate però, dovute al crollo del governo di Isa Mustafa lo scorso 10 di maggio, colpito da una mozione di sfiducia dell’opposizione accolta dalla maggior parte dei parlamentari, anche quelli del suo stesso partito conservatore, il LDK. Sfiduciato per 120 voti a 78, Mustafa, il musulmano della Lega Democratica del Kosovo (LDK), sembra in parte scontare il mancato appoggio popolare che lo avevano accompagnato sin dall’assunzione della carica di primo ministro nel dicembre 2014 ottenuta a seguito di un accordo con l’opposizione del Partito Democratico del Kosovo (PDK) di Hashim Thaci, vincitore delle elezioni nel giugno dello stesso anno ma divenuto pochi mesi dopo presidente della Repubblica. Secondo molti, proprio l’accordo di allora tra PDK e LDK spianò la strada a Thaci per l’incarico alla presidenza dello Stato. Oggi dunque è stato proprio lo stesso Thaci a sciogliere la sola Camera di cui è composto il parlamento kosovaro e a indire nuove elezioni per il prossimo 11 giugno.

Di certo in questi ultimi anni, al di là della congiuntura politica tra PDK e LDK per il supporto al governo Mustafa, il sostegno dei cittadini è apparso diviso tra il favore all’azione più europeista e di normalizzazione delle relazioni del Kosovo con gli altri Paesi della ex Jugoslavia, in primis Serbia e Montenegro, promessa da Thaci, e le politiche nazionaliste generalmente proposte da Mustafa. Di fatto però l’accordo di governo si è tradotto nell’avvio di una generale distensione nelle relazioni tra Belgrado e Pristina, specie dopo che è stato sciolto un nodo politico che aveva a lungo rallentato il complesso cammino verso una pacifica convivenza di serbi e albanesi kosovari: la richiesta avanzata al Kosovo dalle istituzioni europee e dagli Stati Uniti di istituire un Tribunale interno “speciale” che vada a fare luce sugli eventuali crimini commessi dall’UÇK, l’Esercito di liberazione del Kosovo, durante la guerra. Nel 1998-1999, infatti, durante la guerra in Kosovo, furono uccise più di 10mila persone e si contarono oltre 5mila dispersi. Tuttavia la richiesta appariva ben lungi da ottenere un semplice avallo fintantoché al potere restava Hashim Thaci, durante il conflitto capo dell’UÇK, anch’egli accusato per omicidio, traffico di stupefacenti e di armi. Come lui, molti altri ex miliziani dell’UÇK sono oggi membri dell’elite politica kosovara e detengono ruoli determinanti all’interno della società, percepiti in linea generale come eroi dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, coloro che hanno riscattato il Paese dal giogo in cui Belgrado li aveva rilegati. Nonostante le ovvie difficoltà nel fare i conti con il proprio recente (e tragico) passato, nell’agosto 2015 il parlamento kosovaro ha approvato l’istituzione del Tribunale Speciale, come parte del sistema giudiziario nazionale ma con giudici e pubblici ministeri internazionali.

Al di là del sistema di giustizia istituito e nonostante siano passati quasi 20 anni dal conflitto civile, lo strappo tra le due comunità è ancora lungi dall’essere ricucito e solo negli ultimi mesi sono molte le ragioni di scontro bilaterale. C’è la vicenda della costruzione di un muro (poi demolito) nella parte nord della città di Mitrovica, sul confine settentrionale del Kosovo con la Serbia e dove si concentra la minoranza serba, relegata in un settore della città. Ma anche la proposta del presidente Thaci di istituire un esercito kosovaro anche senza il consenso della minoranza serba, nonché il caso dell’ex primo ministro kosovaro e comandante dell’Uçk, Ramush Haradinaj, accusato dai serbi di crimini di guerra ma assolto dal Tribunale dell’Aja, di cui Belgrado ha chiesto a più riprese l’estradizione. E infine i rapporti tra Serbia e Kosovo sono riapparsi estremamente tesi dopo che un treno partito da Belgrado ha attraversato lo Stato kosovaro con scritte esterne in ben 21 lingue che rivendicavano l’appartenenza del territorio alla Serbia: un atto che ha ribadito sulla stampa internazionale il mancato riconoscimento di Belgrado alla creazione della neo-Repubblica nel 2008.

Nondimeno anche l’Albania è apparsa un attore nello scontro bilaterale, a seguito dell’intervento del premier Edi Rama riportato dai media nel quale il politico ha evocato il progetto di creazione di una “Grande Albania”, proprio mediante l’annessione del Kosovo (a maggioranza albanese) al Paese. Seppur smentita a breve la dichiarazione, si tratta da sempre di un vero e proprio “spettro” per Belgrado che negli anni di esistenza della Jugoslavia ha determinato lo stretto controllo del territorio. Inoltre, le elezioni politiche fissate in Albania per il prossimo 25 giugno sembrano poter suggerire campagne elettorali che pongano al centro dell’attenzione il carattere del forte nazionalismo di alcuni candidati.

Non sono solo le relazioni con la Serbia a restare insolute. Nonostante la necessità di stabilire confini formali tra Kosovo e Montenegro sia stata definita da Bruxelles quale una delle condizioni principali per concedere ai cittadini kosovari la possibilità di varcare le frontiere dell’UE senza visto fino a 90 giorni (condizione già attiva per altri Stati dell’ex Jugoslavia), non è stato ancora stipulato un accordo.

Questa la situazione a meno di un mese dal voto dell’11 giugno in Kosovo. Al pari di altre elezioni ritenute strategiche per il futuro dell’Europa, anche questa appare determinante per definire la stabilità dei Balcani nei prossimi anni, specie tenendo conto della rotta dei migranti da est e della lotta al terrorismo internazionale. Per tale ragione, la rappresentanza dell’UE a Pristina non ha mancato di lanciare già un appello affinché le elezioni si svolgano in modo libero, corretto e democratico, oltre che ribadiscano l’intenzione della cittadinanza e dei loro rappresentanti di proseguire il cammino sulla strada della possibile integrazione europea.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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