Amnistia: uscire dai tatticismi e dal gioco del cerino

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Dichiarazione di Sergio Segio (associazione SocietàINformazione e Gruppo Abele di Milano), tra i promotori dell'appello per l'amnistia.

"Il provvedimento di amnistia e indulto per il quale ci stiamo battendo ormai da 5 anni, e attorno al quale si sta nuovamente raccogliendo un ampio cartello di associazioni, non deve essere occasione per reiterare polemiche e lacerazioni nel cortocircuito dei botta e risposta tra esponenti delle forze politiche. E' un dibattito che può prendere quota se riesce a prendere aria, ovvero a uscire dall'avvitamento stretto sul solo piano delle posizioni dei partiti, sul chi farà la prima mossa, per ascoltare anche le voci del sociale, di chi nel carcere lavora e vive, dei cappellani, dei volontari, delle realtà territoriali. Diversamente, rischiano di non esserci prime mosse, ma solo riproposizione di diffidenze e immobilismi".

L'amnistia e indulto, che abbiamo proposto nuovamente in questi giorni con un appello già ampiamente sottoscritto, non costituisce un'iniziativa "buonista", magari per strumentalizzare lo spirito natalizio.

È invece misura razionale e pragmatica, senza la quale non è possibile mettere mano ai problemi strutturali che affliggono il sistema penale e penitenziario, riforma del codice penale in primis, che tutti dicono di voler affrontare.

Ma anche l'amnistia non avrebbe senso ed effetto se non aprisse una nuova e diversa fase di politiche sulla giustizia e di politiche sociali. Non ha senso, ad esempio, fare con una mano la legge Cirielli e con l'altra l'amnistia. Oppure continuare con politiche di massima penalizzazione dei consumatori di droghe (dal 1990 sono stati scontati oltre 250.000 anni di carcere per possesso e piccolo spaccio). O continuare in politiche sull'immigrazione che rendono impossibile entrare in Italia legalmente, favorendo così i tessuti criminali e lo sfruttamento degli immigrati.

Occorre investire di più in integrazione, in politiche sociali: perché sono queste che garantiscono per davvero la sicurezza dei cittadini.

Le attuali carceri, oltre che incivili e invivibili, rappresentano un pessimo uso delle risorse economiche.

Tenere un tossicodipendente in carcere costa il quadruplo che non assisterlo in una comunità.

Così come sono ingenti e non risolutrici dei problemi i costanti investimenti in edilizia penitenziaria (spesso a discapito della sanità e della formazione): negli ultimi 30 anni è stata via via stanziata una cifra corrispondente a quasi tre miliardi di euro (2.967.045.195), quasi 6.000 miliardi di vecchie lire. Ulteriori 93 milioni di euro sono stati stanziati nel 2002 per la costruzione di penitenziari in leasing.

Ulteriori 320 milioni di euro sono stati stanziati per la costruzione di 9 nuovi istituti nel 2003-2004.

Come volontari, abbiamo provato a immaginare cosa si potrebbe fare di diverso con quest'ultima somma, utilizzandola per quel "piccolo piano Marshall" di sostegno al reinserimento che avevamo proposto già nell'anno del Giubileo: ebbene, basterebbe per rafforzare con 2000 nuovi operatori i tribunali di sorveglianza, gli uffici degli educatori e i Centri di servizio sociale;

per incentivare aziende e cooperative all'assunzione di 10.000 detenuti o ex detenuti;

per costituire una rete abitativa di accoglienza per 5000 dimessi dal carcere (un detenuto su 4 non ha luogo dove andare al termine della pena).

Un diverso impiego di una parte delle risorse, insomma, garantirebbe molta più sicurezza e prevenzione del crimine dell'attuale spreco, che nonostante l'impiego di miliardi di euro tiene accatastate 60.000 persone in 42.000 posti-cella (con una spesa giornaliera pro-capite per il vitto di soli 1,58 euro!).

Discutere dell'amnistia, e sperabilmente arrivare a vararla, deve essere occasione di ridiscutere e riformare tutto ciò, non essere palestra per un inutile ping-pong politico.

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