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Amnesty: diritti umani violati è il prezzo della 'guerra al terrore'
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"I governi, da soli e collettivamente, hanno paralizzato le istituzioni internazionali, dilapidato risorse pubbliche per perseguire obiettivi di sicurezza limitati e di corto respiro, sacrificato valori in nome della "guerra al terrore" e chiuso gli occhi di fronte a violazioni dei diritti umani su scala massiccia. La conseguenza è che il mondo ha pagato un prezzo elevato, in termini di erosione dei principi fondamentali e di enormi danni arrecati alla vita e al benessere della gente comune". Non usa mezzi termini il Rapporto annuale di Amnesty International, presentato ieri a Roma. E punta il dito contro gli Usa che "sfidando il divieto assoluto di tortura e di maltrattamenti" hanno "subappaltato queste pratiche mediante il trasferimento di prigionieri in paesi come Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Marocco e Siria noti per praticare la tortura". Ma anche contro i governi di diversi Paesi europei "colpevolmente assenti con omissioni e reticenze sul programma di trasferimenti illegali perpetuati dalla Cia" - ha dichiarato il presidente della Sezione italiana, Paolo Pobbiati, alla presentazione del rapporto 2006.
Anche l'Italia sta dentro a questa vicenda: i voli hanno fatto scalo a Pisa e Ciampino e Maher Arar, canadese di origini siriane ha passato 13 mesi nelle civili carceri di Damasco dove è stato torturato senza un capo d'accusa: è stato quindi rilasciato senza imputazioni e senza aver subito un processo. In proposito c'è la prima richiesta di Amnesty: chiudere tutte queste prigioni e consegnare alle autorità giudiziarie quelle persone che sono sospettate di atti terroristici in maniera da sottoporli ad un processo equo.
Il Rapporto di Amnesty segnala inoltre che "l'Italia ha continuato a non voler introdurre nel proprio codice penale il reato di tortura così come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. Inoltre, non ha adottato alcuna misura per creare un istituto nazionale indipendente per la tutela dei diritti umani o un organo indipendente che accolga le denunce contro la polizia e ne individui le responsabilità. Le operazioni di mantenimento dell'ordine pubblico non sono risultate in linea con il Codice europeo di etica per la polizia che, ad esempio, richiede agli agenti di indossare in modo ben visibile qualche segno di identificazione, come il numero di matricola, per far sì che possano essere individuati e chiamati a rispondere delle proprie azioni".
"Nel 2005, l'Iraq è affondato in un vortice di violenza settaria. È questa la dimostrazione che quando le grandi potenze sono troppo arroganti per rivedere e mutare le proprie strategie, il prezzo più alto viene pagato dai poveri e da chi non ha potere: in questo caso donne, uomini e bambini iracheni" - ha denunciato Pobbiati. "Contemporaneamente, Israele e i Territori Occupati sono scomparsi dall'agenda internazionale: ciò ha acuito l'angoscia e la disperazione della popolazione palestinese, da un lato, e le paure di quella israeliana dall'altro".
La brutalità e l'intensità degli attacchi dei gruppi armati hanno raggiunto nuovi livelli nel corso del 2005, con un conseguente alto tributo di vite umane. "Il terrorismo dei gruppi armati è ingiustificabile e inaccettabile. I responsabili devono essere portati di fronte alla giustizia, ma attraverso processi equi e non con la tortura e le detenzioni segrete - ha sottolineato Pobbiati. "Purtroppo, la crescente brutalità di queste azioni in ogni parte del mondo ha rappresentato un ulteriore, amaro monito: la 'guerra al terrore' sta fallendo e continuerà a fallire fino a quando non verrà data precedenza ai diritti umani e alla sicurezza umana, anziché a interessi di sicurezza nazionale limitati e di corto respiro".
Nello scenario internazionale il Rapporto nota che "la discontinua attenzione e la flebile azione delle Nazioni Unite e dell'Unione Africana si sono dimostrate pateticamente inadeguate rispetto a quanto occorreva fare nel Darfur, la regione del Sudan in cui sono stati commessi crimini di guerra e crimini contro l'umanità ad opera di tutte le parti coinvolte in un conflitto che ha causato migliaia di morti e ha costretto alla fuga milioni di persone". In un anno in cui hanno speso gran parte del tempo a parlare di riforme e di composizione dei loro principali organismi, le Nazioni Unite non hanno prestato attenzione al comportamento di due membri-chiave come la Russia e la Cina, che hanno fatto prevalere i propri limitati interessi economici e politici nei confronti delle preoccupazioni sui diritti umani a livello nazionale e internazionale.
Ma soprattutto preoccupa Amnesty "l'uso di un doppio linguaggio e di doppi standard, da parte delle grandi potenze". Questo "indebolisce la capacità della comunità internazionale di affrontare gravi crisi dei diritti umani come quelle in Darfur, Cecenia, Colombia, Afghanistan, Iran, Uzbekistan e Corea del Nord. E questo atteggiamento consente agli autori delle violazioni dei diritti umani, in questi e altri paesi, di continuare ad agire in impunità". "Quando il governo di Londra rimane muto di fronte alla detenzione arbitraria e ai maltrattamenti a Guantánamo, quando gli Usa ignorano la proibizione assoluta di tortura, quando i governi europei tacciono sulle proprie responsabilità in tema di trasferimenti illegali di prigionieri, razzismo e rifugiati, essi pregiudicano la propria autorità morale di difendere i diritti umani nel mondo".
Il presidente di Amnesty Italia ha concluso la presentazione del Rapporto Annuale ricordando le principali richieste di Amnesty International: alle Nazioni Unite e all'Unione Africana, di affrontare il conflitto e gli abusi dei diritti umani nel Darfur; alle Nazioni Unite, di avviare i negoziati per un Trattato internazionale che regolamenti il commercio delle armi, in modo che queste non possano essere usate per commettere abusi dei diritti umani; all'amministrazione Usa, di chiudere Guantánamo Bay e rendere noti i nomi e i luoghi di detenzione di tutti i prigionieri della "guerra al terrore"; al nuovo Consiglio Onu dei diritti umani, di insistere nel pretendere i medesimi standard di rispetto dei diritti umani da parte di tutti i governi, che si tratti del Darfur o di Guantánamo, della Cecenia o della Cina. [GB]